Taiwan Files – Nancy Pelosi a Taipei? Significato e possibili conseguenze

In Relazioni Internazionali, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Le indiscrezioni sulla prossima visita della speaker della Camera degli Stati Uniti e la reazione cinese. I nazionalisti spingono per manovre militari “decise” durante l’eventuale visita, come incursioni aeree sull’isola. L’ex segretario alla Difesa di Trump chiede l’abbandono dell’ambiguità strategica. Un cacciatorpediniere Usa sullo Stretto. Il dibattito sulla riforma delle forze armate. Foxconn investe sui semiconduttori di Pechino. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Sei sicuro che alla fine verrà qui?” La domanda viene posta in modo forse retorico da ambienti della politica e dei media di Taiwan, il giorno dopo l’indiscrezione del Financial Times sulla possibile visita di Nancy Pelosi a Taipei durante il mese di agosto. E c’è anche chi aggiunge: “E’ possibile che la visita venga cancellata”. Pechino, come prevedibile, ha minacciato “serie conseguenze”. In aumento le voci che vorrebbero un’azione militare decisa, per esempio un blocco aereo o una “scorta aerea” a Pelosi fin sopra il cielo di Taipei con una incursione senza precedenti. Una visita che doveva già avvenire ad aprile ma che fu cancellata all’ultimo momento a causa di un contagio da Covid-19 per la speaker della Camera degli Stati Uniti (ne avevo scritto qui). A qualche mese di distanza, molto è cambiato. Questa volta non sarà semplice gestire la faccenda per la Casa Bianca. Sia confermando la visita sia cancellandola si rischierebbe di mandare segnali sbagliati all’una o all’altra sponda dello Stretto, aumentando potenzialmente i rischi di tensione. Forse anche per questo l’indiscrezione è comunque circolata prima della prevista telefonata tra Joe Biden e Xi Jinping. Facciamo un passo indietro: partiamo con il contenuto dell’indiscrezione spiegando la portata della possibile visita, poi passiamo alla reazione della Repubblica Popolare Cinese, finendo poi con qualche riflessione. Per poi passare, come sempre, alle altre notizie della settimana.

L”indiscrezione sulla visita di Nancy Pelosi a Taiwan e il suo significato

Secondo quanto riportato dal Financial Times, che cita sei fonti al corrente del dossier, Pelosi si recherà a Taipei durante il suo prossimo tour asiatico che prevede tappe anche in Giappone, Singapore, Indonesia e Malesia. Lo stesso quotidiano cita anche una settima fonte, la quale sottolinea che non è scontato che la tappa taiwanese resti in calendario e che anzi possa anche saltare. Sempre il Financial Times dà anche conto di qualche divisione all’interno della Casa Bianca sul viaggio. Tre persone a conoscenza della situazione hanno dichiarato che la Casa Bianca ha espresso preoccupazione per il viaggio. Il momento è delicato per la Cina perché coincide con l’anniversario del 1° agosto della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione e anche perché il Partito Comunista Cinese terrà il suo 20° congresso il prossimo ottobre. Alcuni funzionari ritenevano che fosse più facile giustificare una visita in aprile, subito dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Meno adesso. Anche se Bill Bishop nota che “per quanto si possa parlare di tempismo sbagliato a causa dell’imminente 20° Congresso del Partito, il tempismo non sarà mai ok dal punto di vista della RPC”.

Il Ministero degli Affari Esteri di Taiwan ha dichiarato di non averricevuto informazioni” sul viaggio, ma ha detto che accoglie con favore qualsiasi visita dagli Stati Uniti. I media locali hanno riferito che il legislatore indipendente Freddy Lim ha nuovamente invitato Pelosi durante un vertice sul Tibet a giugno.

Pelosi, che viaggerebbe con altri undici membri del Congresso, sarebbe la figura in carica più alta in grado a visitare Taiwan dal 1997, quando si recò a Taipei l’allora speaker della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano Newt Gingrich. Già allora Pechino osservava con fastidio e ancora i postumi dell’onta subita dall’invio della flotta americana da parte di Bill Clinton per proteggere Taiwan dopo il lancio di missili che avevano dato vita alla terza crisi sullo stretto. E’ proprio sul fatto che una visita di questo livello è già avvenuta che si basa il tentativo di Washington (e Taipei). Ma in questi 25 anni è tutto cambiato. A partire dall’assertività di una Cina che, dopo aver risolto la pratica di Hong Kong, vuole affrontare il dossier taiwanese “entro la nuova era”.

L’eventuale missione è percepita inoltre di portata diversa da Pechino rispetto a quella del 1997. Questo perché Pelosi è dello stesso partito del presidente Biden, mentre 25 anni fa il repubblicano Gingrich era all’opposizione di Clinton. E dunque quella visita viene raccontata più come il prodotto di uno scontro politico domestico americano. Quella di Pelosi, invece, non darebbe a Pechino la possibilità di giustificare quanto accade come il risultato di una divisione interna a Washington. Anzi, al contrario, sarebbe letto come un segnale di volontà esplicita da parte dell’amministrazione Biden di utilizzare Taiwan nella contesa con Pechino. Un po’ l’opposto di quello che era successo a marzo, quando Biden aveva mandato con successo una delegazione bipartisan per anticipare la visita dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo prendendo dunque le distanze da quanto avrebbe detto o fatto (avevo raccontato tutto qui).

La reazione di Pechino

Come prevedibile, la reazione di Pechino è stata molto dura. Il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che una visita a Taiwan di Pelosi minerebbe seriamente la sovranità e l’integrità territoriale della Cina e gli Stati Uniti dovrebbero “sopportare le conseguenze” della loro azione. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha dichiarato che la Cina adotterà “misure forti” per salvaguardare la propria sovranità e integrità territoriale.

L’ex redattore del Global Times, Hu Xijin, suggerisce ai suoi oltre 20 milioni di follower su Weibo che i jet dell’Esercito popolare di liberazione “accompagnino” l’aereo di Pelosi e sorvolino l’isola principale di Taiwan. Linea ribadita anche in un commento pubblicato dal media di stato. Eccone uno stralcio.

Quando ad aprile è stato reso noto che Pelosi avrebbe visitato Taiwan, ho scritto un articolo in cui sostenevo che la Cina continentale avrebbe dovuto istituire una no-fly zone su Taiwan, oppure che gli aerei da guerra dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) avrebbero dovuto sorvolare l’isola. Oggi vorrei ribadire la mia posizione. Suggerisco inoltre che gli aerei da guerra del PLA possano “accompagnare” l’aereo di Pelosi a una distanza adeguata, entrare nell’isola nello stesso momento in cui lo fa lei, sfiorare il suo punto di atterraggio, quindi sorvolare l’isola e tornare sulla terraferma cinese. In questo modo ci sarebbe una bassa probabilità di provocare un confronto militare diretto e, una volta che gli aerei da guerra del PLA voleranno e attraverseranno l’isola, si tratterebbe di un precedente ancora più emblematico della visita di Pelosi a Taiwan.

In tal caso, dovremmo probabilmente ringraziare Pelosi per aver creato l’opportunità per gli aerei da guerra del PLA di sorvolare l’isola, aprendo uno spazio completamente nuovo per gli aerei da guerra del PLA per esercitare la sovranità sull’isola di Taiwan. La Cina continentale deve essere abbastanza coraggiosa da compiere questo passo di sorvolo dell’isola da parte degli aerei da guerra che, a differenza del volo degli aerei da guerra intorno a Taiwan, può davvero riflettere la sovranità della Cina sul territorio ed è più sostanziale di qualsiasi visita a Taiwan di alti funzionari stranieri.

L’utilizzo della visita di Pelosi a Taiwan per completare questo salto è molto probabile che renda la transizione pacifica. Naturalmente, affinché gli aerei da guerra del PLA possano sorvolare l’isola di Taiwan, dobbiamo essere pienamente preparati al confronto militare, e credo che tali preparativi da parte del PLA siano in corso. Non abbiamo intenzione di veder scoppiare una guerra nello Stretto di Taiwan in questo momento, ma siamo senza dubbio la parte che meno teme lo scoppio di una guerra nello Stretto in questo momento.

Un editoriale pubblicato sul tema sempre dal Global Times è meno esplicito sul tema militare ma punta di più sulle conseguenze per Pelosi. Eccone qui un passaggio.

In primo luogo, riteniamo che, indipendentemente dal fatto che Pelosi faccia o meno il viaggio, Washington debba fornire alla Cina una dichiarazione chiara e smettere di fare il doppio gioco o di essere ossessionata dai giochi di parole. In secondo luogo, se Pelosi visitasse davvero Taiwan, verrebbe inclusa nella lista delle sanzioni della Cina. In precedenza, i media statunitensi hanno riportato che il marito di Pelosi ha una serie di affari nella Cina continentale. Una volta che Pelosi sarà sulla lista, i beni della sua famiglia dovrebbero essere immediatamente congelati. In terzo luogo, le forze secessioniste “indipendentiste di Taiwan” non dovrebbero farsi illusioni. L’anno scorso, dopo le tre visite a Taiwan dei legislatori statunitensi, le azioni di dissuasione imposte dall’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) sono gradualmente aumentate e si sono avvicinate sempre più a un vero e proprio combattimento. In questo contesto, se Pelosi insisterà nel seguire la sua strada, porterà all’incubo le forze “indipendentiste di Taiwan”.

Qualche riflessione sulla possibile visita di Pelosi

Zhang Baohui, professore di scienze politiche all’Università Lingnan di Hong Kong, ha dichiarato al South China Morning Post che la Cina è “estremamente insoddisfatta, ovviamente, perché il viaggio la renderebbe il più alto funzionario statunitense a visitare Taiwan”. Ma Zhang ha affermato che la visita di Pelosi non influirà su un eventuale vertice tra Xi Jinping e Joe Biden. “La Cina potrebbe essere arrabbiata, ma sa che la traiettoria delle relazioni tra Stati Uniti e Cina è decisa dagli Stati Uniti. Come potenza in ascesa, la Cina è ancora motivata a mantenere, per quanto possibile, legami amichevoli, espandere la cooperazione e stabilizzare le relazioni”.

Bill Bishop si occupa invece anche dell’aspetto commerciale e geoeconomico: “Non sono sicuro che ci rendiamo pienamente conto di come potrebbe essere la versione 2022 di una crisi dello stretto di Taiwan, o di come potrebbero reagire i mercati, gli investitori e le imprese, ma mi aspetto che una reazione eccessiva della RPC a un viaggio a Taiwan aggiunga ulteriori pressioni per aumentare la copertura, se non il disaccoppiamento dalla RPC”. E le aziende in queste settimane si stanno muovendo per prefigurare scenari di crisi sullo Stretto.

Qualche ulteriore nota personale. Le indiscrezioni sul viaggio di Pelosi non mettono Washington in una posizione comoda. Anzi. Che Taipei non sia Kiev è stato ripetuto tante volte su Taiwan Files, ma i messaggi diretti e indiretti che possono arrivare dal fatto che la visita si compia o meno assumono una rilevanza forse ancora maggiore perché in concomitanza della guerra in Ucraina. Se la visita venisse confermata, Pechino potrebbe (al di là del rischio legato alle possibili reazioni) utilizzarla per veicolare il messaggio che sta provando a veicolare da molto tempo e che rappresenta la base del suo sostegno retorico a Vladimir Putin: “Gli Usa gettano benzina sul fuoco e rischiano di costringerci alla guerra, come fatto dalla Nato in Est Europa”. Se invece la visita venisse cancellata, sembrerebbe un segnale di cedimento agli occhi tanto di Taipei quanto a quelli di Pechino.

Non è forse un caso che le indiscrezioni siano state fatte circolare prima della probabile telefonata da Biden e Xi, che potrebbe nella migliore delle ipotesi smussare gli angoli e nella peggiore essere vista da Pechino come la continuazione di quella che definisce strategia del “bad cop, good cop“. In definitiva, un’ennesima prova che degli Usa e di Biden non ci si può fidare. Proprio questo è il pericolo, come raccontato brillantemente dagli speaker di questo webinar organizzato da Carnegie sull’evoluzione dell’esercito cinese: il rischio che Usa e Cina si possano anche parlare ma non si ascoltino più.

Il contesto intorno a Pelosi: vendita di armi, navi Usa nello Stretto, Esper da Taipei chiede di abbandonare l’ambiguità strategica

La vicenda Pelosi si inserisce in un contesto più ampio nel quale Pechino e Washington osservano con sospetto e rabbia le reciproche mosse. Proprio in questi giorni si trova a Taipei l’ex segretario alla Difesa di Donald Trump, Mark Esper, il quale ha chiesto alla Casa Bianca di abbandonare l’ambiguità strategica. Nella delegazione guidata da Esper anche l’italiano Stefano Stefanini, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato, che è stato intervistato da Agenzia Nova. “La percezione di Taiwan in Europa è molto cambiata nell’ultimo anno e l’Unione europea condivide oggi con gli Stati Uniti l’interesse a mantenere lo status quo nella regione, a maggior ragione in uno scenario internazionale reso molto più complesso dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”, dice l’attuale non resident senior fellow dell’Atlantic Council. 

Pechino attacca gli Usa per il nuovo passo normativo per favorire la vendita di armi a Taiwan. Intanto, il cacciatorpediniere classe Arleigh Burke Uss Benford della marina militare degli Stati Uniti è tornato a navigare attraverso lo Stretto di Taiwan, appena tre giorni dopo due operazioni consecutive di “libertà della navigazione” nel Mar Cinese Meridionale che avevano già suscitato durissime risposte da parte della Cina. 

La riforma dell’esercito taiwanese

Che cosa sta insegnando la guerra in Ucraina? Secondo l’Economist, “i nazionalisti cinesi stanno certamente diventando più facilmente eccitabili e pronti a chiedere azioni dure contro i nemici percepiti, in particolare contro la leadership cinese scettica di Taiwan. Dopo la morte di Abe, Sima Nan, uno dei più noti nazionalisti cinesi con quasi 3 milioni di follower su Weibo, ha riflettuto online sulla possibilità di assassinare la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen. (…) Su Weibo sono circolati video in cui due nazionalisti si spingono oltre, sostenendo che la Cina dovrebbe cogliere l’occasione ora, mentre l’America è distratta dall’Ucraina, per lanciare un assalto militare. Uno di loro, Li Yi, un accademico che ha 43.000 iscritti su YouTube e migliaia di follower su Weibo, sostiene che potrebbe finire il lavoro in tre giorni. Li Yi tiene conferenze in Cina in merito alla sua convinzione che l’unificazione pacifica con Taiwan, che rimane l’obiettivo ufficiale del partito, sia irraggiungibile. Una delle sue recenti conferenze su questo tema è stata tenuta in un’accademia di formazione per funzionari gestita da un comitato di partito a livello distrettuale a Pechino”.

Ma, aggiunge l’Economist, “le opinioni di Li sono controverse, anche all’interno dell’establishment. Nel 2020, Qiao Liang, un ex generale di parte avversa, ha pubblicato un insolito rimprovero a coloro che hanno chiesto un’invasione di Taiwan. Nessuna decisione del governo, ha detto, viene presa solo sulla base delle opinioni pubbliche”. Hu Xijin, ex redattore del Global Times, un tabloid di Pechino, ha suggerito in un recente vlog che l’opinione pubblica non spingerà la Cina ad agire. “Se pensiamo che i tempi non siano maturi per risolvere militarmente il problema di Taiwan”, ha detto, “nessuna forza può costringerci a iniziare un conflitto”.

A Taipei, invece, prende quota il dibattito sulla necessità di riformare l’esercito. “Taiwan non ha un senso di urgenza sufficiente per prepararsi a un attacco cinese”, ha avvertito l’ex capo di stato maggiore delle forze armate taiwanesi, Lee Hsi-min, in un’intervista a Nikkei Asia. Le opinioni di Lee sulla riforma delle forze armate di Taiwan godono di un forte sostegno negli Stati Uniti, ma devono ancora essere ampiamente accettate all’interno dell’establishment taiwanese. Senza fare nomi, Lee si è scagliato contro i politici taiwanesi che sostengono la necessità di prevenire un attacco cinese spingendo Taiwan ad accettare l'”unificazione” e contro altri che accusa invece di provocare inutilmente Pechino. “Le differenze nelle ideologie politiche e nell’identità nazionale influenzano anche la volontà di difesa”, ha detto Lee. “Le divisioni politiche stanno minando la nostra volontà nazionale e le nostre capacità di respingere l’aggressione di Pechino”.

Foxconn investe sui semiconduttori di Pechino
Un ramo di Foxconn Technology Group, quotato a Shanghai, ha acquisito una partecipazione nel principale produttore di chip cinese durante il suo salvataggio da 9 miliardi di dollari: l’ultimo di una serie di investimenti che l’azienda taiwanese ha effettuato nell’industria dei semiconduttori della Cina continentale. Foxconn, nota soprattutto per l’assemblaggio dell’iPhone di Apple Inc, è interessata a produrre chip per auto, in particolare per espandersi nel mercato dei veicoli elettrici. L’azienda sta cercando di acquisire impianti di produzione di chip a livello globale, in quanto la carenza di chip a livello mondiale sta mettendo in crisi i produttori di beni, dalle automobili all’elettronica. Un funzionario del ministero dell’Economia di Taiwan, che deve approvare gli investimenti su larga scala in Cina, ha dichiarato di aver contattato la Foxconn e di averle “ricordato che il caso deve essere riesaminato prima di fare qualsiasi cosa”.
Altro che decoupling tech, come già avevamo raccontato mesi fa Taipei nonostante la retorica non vuole rompere il cordone tecnologico con Pechino per motivi economici ma soprattutto politici e diplomatici (una delle poche leve nel rapporto). Ne ho scritto varie volte, per esempio qui. Il tutto mentre gli Usa cercano di bloccare le esportazioni della olandese ASML (che ha un monopolio sui macchinari litografici necessari per il complicato processo di fabbricazione dei semiconduttori) verso Pechino.
TSMC lavora ai semiconduttori da 2 nanometri

Più piccolo è, meglio è. Quantomeno nella sempre più strategica industria dei semiconduttori. I microchip di dimensioni inferiori non valgono maggiormente di quelli più grandi. Semplicemente, saperli produrre significa avere capacità tecniche superiori rispetto ai concorrenti. Qualità che la Taiwan semiconductor manufacturing company, nota in tutto il mondo come Tsmc, ha dimostrato da tempo di avere. Il più grande produttore di chip a contratto del mondo inizierà la produzione di massa di chip a 2 nanometri entro il 2025. Tsmc ha comunicato che i chip da 2 nanometri saranno più veloci del 10-15% a parità di potenza e risparmieranno il 25-30% di energia a parità di velocità rispetto a quelli da 3 nanometri. E saranno caratterizzati dalla nuova tecnologia architettura a transistor nanosheet per migliorare le prestazioni e l’efficienza energetica.

Di Lorenzo Lamperti

Taiwan Files 13.07.22 – L’omicidio di Abe visto da Taipei

Taiwan Files 06.07.22 – “Il cielo ora sembra limpido”

Taiwan Files 25.06.22 – Ponti e portaerei

Taiwan Files 11.06.22 – Guomindang-Usa, Austin-Wei, caso “fact sheet”, manovre giapponesi

Taiwan Files 1.06.22 – Chen Shui-bian, manovre militari, Top Gun

Taiwan Files 27.05.22 – Tra ambiguità e chiarezza, Kinmen e Matsu

Taiwan Files 19.05.22 – La sparatoria in California e Taiwan/Repubblica di Cina

Taiwan Files 14.05.22 – Status quo, documenti e bersagli, Oms, semiconduttori

Taiwan Files 07.05.22 – Covid, Chu negli Usa, armi, Nato/Quad, diritti

Taiwan Files 30.04.22 – Tra Isole Matsu e la storia di Wu Rwei-ren

Taiwan Files 23.04.22 – Lezioni ucraine

Taiwan Files 16.04.22 – Negoziazioni, giustificazioni, esercitazioni

Taiwan Files 09.04.22 – Tra Lee Teng-hui e Nancy Pelosi

Taiwan Files 02.04.22 – Tsunami e cambiamento climatico

Taiwan Files 19.03.22 – Biden/Xi, manovre militari e normative

Taiwan Files 07.03.22 – Pompeo a Taipei e Taiwan nella “nuova era”

Taiwan Files 28.02.22 – Taipei non è Kiev, neanche post invasione russa

Taiwan Files 19.02.22 – La prospettiva taiwanese sull’Ucraina

Taiwan Files 12.02.22 – Pechino vista da Taipei

Taiwan Files 05.02.22 – Le Olimpiadi secondo Taiwan

Taiwan Files 29.01.22 – La Cina osserva la Russia in Ucraina, ma Taipei non è Kiev

Taiwan Files 22.01.22 – Il multiverso di Taiwan. Intervista ad Audrey Tang

Taiwan Files 15.01.22 – Commercio, sicurezza nazionale, sondaggi Chengchi, chip, diritti civili

Taiwan Files 08.01.22 – Arcobaleni, zero Covid, estradizioni, Xi/Tsai

Taiwan Files: speciale 2021

Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files