Taiwan Files – La sparatoria in California e Taiwan/Repubblica di Cina

In Asia Orientale, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Qualche riflessione sulla vicenda di Laguna Woods, sulla questione identitaria taiwanese e su aspetti interni. Poi le manovre militari cinesi, la polemica sulle armi dagli Usa e le voci sull’interesse di TSMC per l’Italia. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Una sparatoria in California motivata dall’odio contro Taiwan di un immigrato cinese. Forse in qualche modo persino diretto dal Partito comunista. Su molti media internazionali e italiani è stata presentata così la vicenda di Laguna Woods, dove un uomo è entrato in una chiesa presbiteriana e ha aperto il fuoco sui fedeli, membri di una congregazione taiwanese. Una persona morta e cinque persone sono rimaste ferite. Il sospetto è stato arrestato. Una tragica vicenda di cronaca è diventata occasione dunque per parlare ancora una volta di tensioni sullo Stretto e progetti di invasione della Repubblica Popolare, con cittadini taiwanesi nel mondo possibili bersagli di agenti armati di Pechino.

La realtà, però, è un po’ (anzi molto) diversa. La sparatoria in California sta facendo molto discutere a Taiwan. Ma non nella chiave con cui la vicenda è raccontata dai media internazionali. Non si parla di teorie del complotto che vedrebbero in qualche modo coinvolto il Pcc, né (almeno in riferimento a questo) di piani di invasione o tensioni intrastretto. Anche perché la vicenda è significativa soprattutto per aspetti puramente interni a Taiwan/Repubblica di Cina che sfuggono spesso visto che solitamente si parla di Taiwan solo in riferimento a Usa e Repubblica Popolare.

Partiamo dalla cosa più semplice, il luogo di nascita dell’uomo che ha aperto il fuoco contro la congregazione taiwanese. David Wenwei Chou, 68 anni, è un cittadino taiwanese-americano. Questo non toglie che lui possa essersi introdotto come “cinese”, così come le autorità possano averlo inizialmente descritto come tale visto che i passaporti emessi prima del 2021 recano in bella vista la scritta Republic of China sopra quella di “Taiwan”. E, come possono raccontare diversi taiwanesi residenti all’estero, certamente non tutti gli agenti di pubblica sicurezza conoscono la differenza tra Repubblica di Cina e Repubblica Popolare Cinese. Anche per questo lo scorso anno il governo di Taipei ha deciso di cambiare l’aspetto dei passaporti, lasciando solo la scritta Taiwan in alfabeto latino e 中華民國 (Repubblica di Cina) in caratteri tradizionali.

Su Taiwan Files abbiamo raccontato tante volte (per esempio qui) le diverse sfumature identitarie della popolazione taiwanese e la percezione dei rapporti con la Repubblica Popolare.

Comunque, l’attentatore è uno 外省人 (waishengren) di seconda generazione. Che cosa significa? Significa che i suoi genitori sono arrivati a Taiwan/ROC dalla Cina continentale nel 1949 dopo la guerra civile persa dai nazionalisti di Chiang Kai-shek. Ed è cresciuto a Taiwan prima di trasferirsi negli Stati Uniti. I 外省人 rappresentano tradizionalmente il bacino maggiore di elettori del Guomindang, il Partito Nazionalista sconfitto da Mao e a lungo partito unico a Taiwan, durante la legge marziale imposta da Chiang (archiviata nel 1987, a Matsu solo nel 1992).

Il sentimento di odio alla base dell’attentato ci dice qualcosa di significativo non solo (e non tanto) delle tensioni attuali tra Pechino e Taipei, ma ci dice molto di più delle sfaccettature politico-identitarie dei taiwanesi stessi. La chiesa presbiteriana è infatti tradizionalmente molto vicina al DPP (il partito taiwanese della presidente Tsai Ing-wen). 

Quando l’attentatore dice di essere contrario all’indipendenza di Taiwan a che cosa si riferisce? Significa che vorrebbe l’unificazione (o riunificazione come la chiama Pechino)? Può essere, visto che avrebbe frequentato alcune riunioni della National Association for China’s Peaceful Unification, che il dipartimento di Stato americano ha designato come missione straniera cinese vicina al Fronte unito.

Ma non è detto. A prescindere dalle intenzioni del singolo in questione, c’è un segmento della società taiwanese che non vuole l’indipendenza in quanto Repubblica di Taiwan, ma a cui va benissimo l’indipendenza de facto come Repubblica di Cina. Un segmento del quale ci si dimentica quasi sempre o di cui semplicemente si ignora l’esistenza.

Si tratta di un tema di cui ho parlato, tra le altre volte, raccontando la vicenda di Wu Rwei-ren, il primo taiwanese a rischiare una condanna con la legge di sicurezza nazionale di Hong Kong. Riprendo qui un estratto dell’intervista pubblicata su il Manifesto (si trova qui e presto in integrale su Taiwan Files):

Fare passi avventati e recidere il legame con la sfera storico-culturale cinese, come per esempio cambiare il nome Repubblica di Cina, avrebbe conseguenze non solo e non tanto sul piano esterno con la prevedibile reazione di Pechino ma anche sul piano interno. Una parte della popolazione taiwanese non vuole perdere quel legame: seppure non si opponga all’indipendenza de facto percepisce ancora l’appartenenza al mondo cinese”.

La sparatoria in California ci ricorda che le dinamiche interne taiwanesi sono più complesse di quanto si creda e di quanto vengano raccontate. Proprio vista la contingenza attuale, andrebbero approfondite.

Sulla vicenda californiana e sul tema identitario in sé da leggere l’articolo di Brian Hoe su New Bloom, che fornisce dettagli aggiuntivi per capire quanto la sparatoria abbia risvolti prettamente interni a Taiwan. 

“Molti a Taiwan hanno subito sottolineato il parallelismo tra l’azione di Chiu e il Partito per la Promozione dell’Unificazione della Cina (CUPP), o i sostenitori di Han Kuo-yu (il candidato del Gmd alle presidenziali sconfitto nel 2020 da Tsai, ndr) come gli “800 eroi”. Questi gruppi sembrano sempre più disposti a usare la violenza politica contro gli attivisti pro-indipendenza negli ultimi anni, come si è visto negli incidenti in cui gli “800 eroi” hanno attaccato i giornalisti o quando il CUPP ha attaccato gli studenti dimostranti pro-indipendenza nel campus dell’Università Nazionale di Taiwan nel settembre 2017. Altri episodi di violenza commessi da membri del campo pro-unificazione includono attacchi ad attivisti pro-democrazia di Hong Kong in visita o residenti a Taiwan”.

Altro passaggio fondamentale:

“Un simile incidente sembra più caratteristico del passato, quando le tensioni sub-etniche a Taiwan erano più forti. Nella Taiwan di oggi, le linee di demarcazione tra benshengren (i taiwanesi di nascita di etnia han che hanno vissuto la colonizzazione giapponese, ndr) e waishengren si stanno attenuando: i waishengren di terza generazione si identificano per lo più con Taiwan piuttosto che con la Cina e i matrimoni tra waishengren e benshengren sono stati culturalmente accettati per decenni”.

E poi una risposta in merito alle varie teorie complottistiche emerse sui media internazionali:

“È difficile immaginare che il Fronte Unito cinese possa pensare che la causa dell’unificazione possa essere portata avanti sparando a una delegazione ecclesiastica indifesa. In realtà, le azioni di Chou sembrano più caratteristiche della cultura americana delle armi e della cultura americana delle sparatorie di massa“.

In conclusione, utilizzando sempre le parole di Hoe:

“L’inquadramento dell’incidente come un atto di violenza politica commesso da cinesi contro taiwanesi potrebbe essere utilizzato dai repubblicani (statunitensi, ndr) falchi sulle questioni relative alla Cina per invocare azioni di escalation da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, come generalmente accade a questi falchi repubblicani, tali azioni sono volte a colpire rapidamente la Cina più che a favorire Taiwan, e a volte rischiano di mettere Taiwan in un fuoco incrociato, se la Cina prende di mira Taiwan come proxy degli Stati Uniti con azioni di ritorsione. Allo stesso modo, si nota che questi repubblicani hanno spesso abbracciato una retorica sinofobica: in un periodo di violenza senza precedenti contro gli asiatici americani negli Stati Uniti, a cui questa retorica bellicosa ha contribuito, non ci si aspetta che i razzisti facciano distinzioni tra taiwanesi e cinesi”.

Ecco, forse bisognerebbe prendere spunto da questa vicenda per fare un po’ di riflessioni su come si raccontano le vicende relative a Taiwan.

Manovre militari e la polemica Taipei-Washington sugli armamenti

Si continua a discutere delle possibili lezioni che l’esercito cinese può trarre dalla guerra in Ucraina (tema al quale ho dedicato una puntata di Taiwan Files qualche settimana fa). “La lezione potenzialmente più importante che la Cina ha imparato dalla guerra in Ucraina è che gli Stati Uniti non prenderanno in considerazione un intervento militare diretto contro un avversario dotato di armi nucleari”, scrive Foreign Affairs.

Intanto, un’analisi delle recenti esercitazioni dell’esercito cinese sembra dimostrare che Pechino stia testando una strategia per limitare la capacità degli altri paesi di rispondere a un tentativo di conquistare Taiwan, che Pechino considera parte del suo territorio. In particolare bloccando la possibilità di Taipei di ricevere aiuti militari o di altro genere. scrive il South China Morning Post.

La portaerei cinese Liaoning ha mostrato una ampia prontezza di combattimento attraverso operazioni aeree ad alta frequenza, hanno detto gli analisti militari giapponesi. Proprio Tokyo è stata destinataria di un messaggio di avvertimento del ministro degli Esteri Wang Yi, che ha parlato con l’omologo Yoshimasa Hayashi dicendo che “le mosse negative del Giappone su Taiwan e altre questioni riguardanti gli interessi fondamentali e principali preoccupazioni della Cina sono diventate importanti”.

Contestualmente, quattro velivoli hanno varcato il perimetro sud-occidentale della zona d’identificazione di difesa aerea di Taiwan. La sortita è avvenuta mentre è in corso a Taiwan la prima fase delle esercitazioni annuali Han Kuang, quella dedicata ai wargames. Nel 2021 erano stati posticipati e ne avevo scritto qui.

Nel frattempo, diversi gruppi imprenditoriali degli Stati Uniti hanno criticato l’amministrazione del presidente Joe Biden, imputandole eccessive restrizioni alla vendita di armamenti a Taiwan. In una lettera inviata a diversi funzionari del governo Usa, la Camera di commercio Usa a Taiwan e il Consiglio economico Usa-Taiwan affermano che i vincoli posti alle forniture di armamenti esponga Taipei al rischio di una aggressione militare. Resistere a un’invasione completa richiederebbe armi diverse da quelle necessarie per respingere altri tipi di aggressione da cui anche Taipei vuole difendersi, come le incursioni cinesi nella sua zona di identificazione della difesa aerea o un blocco marittimo. Mentre il governo taiwanese crede più a queste ipotesi, il Pentagono insiste sulla possibilità di un’invasione su larga scala.

“Taiwan ha dichiarato di prendere le proprie decisioni in merito all’acquisto di armi e che non saranno influenzate dagli Stati Uniti, ai quali non sarà consentito di imporre i propri piani per contrastare l’ipotesi di invasione cinese”, scrive Lawrence Chung riportando le parole del ministro della Difesa di Taipei.

Nel frattempo, il capo dell’intelligence di Taiwan ha dichiarato che alcune celebrità locali di Internet sono state pagate dal Partito Comunista Cinese (PCC) per condurre campagne di “guerra cognitiva” e aiutare Pechino a diffondere la sua propaganda a Taiwan.

Semiconduttori taiwanesi in Italia?

Qualche giorno fa, il Corriere della Sera ha riportato la notizia secondo la quale TSMC sarebbe pronta ad aprire uno stabilimento in Italia. Ho scritto dell’argomento su Wired, provando a raccontare il contesto della situazione fornendo alcuni dettagli provenienti da fonti informate sulla vicenda. Qui di seguito un breve estratto del pezzo:

I discorsi su una possibile cooperazione sono in realtà partiti, timidamente e sotto traccia, già nella primavera del 2021, quando la carenza globale di microchip aveva attratto l’interesse del governo Draghi e in particolare del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Il tentativo di accelerata è delle ultime settimane, in concomitanza con l’impasse nel quale è entrato il negoziato già in corso da tempo tra Tsmc e Germania. L’interlocuzione tra fronte italiano e fronte taiwanese esiste ma, secondo fonti informate della vicenda, non c’è ancora niente di concreto. Dalle recenti discussioni portate avanti nell’area tra il Milanese e la Brianza, viene spiegato, non hanno dato risultati significativi. La speranza di chi crede nel progetto è che lo stallo sulla Germania e la possibile chiusura dell’affare tra Berlino e Intel per una fabbrica del gigante statunitense su suolo tedesco possano aprire spiragli per l’Italia.

Sul tramonto dell’era di Angela Merkel e all’alba dell’era Scholz, l’accordo tra Tsmc e Berlino sembrava cosa fatta. Ed era emersa già con insistenza la collocazione del possibile stabilimento: Dresda. Poi è cambiato qualcosa. La frenata tedesca è stata in qualche modo anticipata a fine gennaio, quando l’acquisizione da 4,35 miliardi di euro della tedesca Siltronic da parte della taiwanese GlobalWafers è saltata dopo che l’accordo non ha ricevuto il via libera dalle autorità regolatorie entro il tempo utile. GlobalWafers aveva reagito esprimendo “forte disillusione“, spiegando che avrebbe “analizzato la mancata decisione del governo tedesco considerando il suo impatto sulla strategia di investimento futura”. Ergo, più che probabile stop al piano tedesco. La mancata acquisizione ha portato a uno studio su un altro paese europeo? Per ora no, anzi l’azienda taiwanese sta dedicando le sue attenzioni agli Stati Uniti. Un indizio sul fatto che non necessariamente lo stallo tedesco debba portare a un riposizionamento sull’Italia. 

Continua qui.

Per approfondire la rilevanza dei semiconduttori per Taiwan sia da un punto di vista commerciale e tecnologico, sia da un punto di vista diplomatico e geopolitico (anche in riferimento ai rapporti con Pechino) si può recuperare questo pezzo di qualche mese fa.

Altre cose

La pandemia continua a colpire Taiwan, coi contagi giornalieri saliti sopra quota 80 mila. La prossima settimana si potrebbe toccare il picco. Focolaio anche su una nave militare.

Il produttore di elettronica taiwanese Foxconn sta progettando di costruire una fabbrica di wafer in Malesia. La malese Dagang NeXchange Berhad (DNex) ha annunciato di aver firmato un memorandum d’intesa con la filiale Big Innovation Holding Limited (BIH), interamente controllata da Foxconn, per la creazione di una joint venture per la costruzione di un impianto di wafer da 12 pollici. L’impianto dovrebbe produrre chip a 28 e 40 nanometri e avere una capacità produttiva mensile di 40.000 wafer.

Di Lorenzo Lamperti

Taiwan Files 14.05.22 – Status quo, documenti e bersagli, Oms, semiconduttori

Taiwan Files 07.05.22 – Covid, Chu negli Usa, armi, Nato/Quad, diritti

Taiwan Files 30.04.22 – Tra Isole Matsu e la storia di Wu Rwei-ren

Taiwan Files 23.04.22 – Lezioni ucraine

Taiwan Files 16.04.22 – Negoziazioni, giustificazioni, esercitazioni

Taiwan Files 09.04.22 – Tra Lee Teng-hui e Nancy Pelosi

Taiwan Files 02.04.22 – Tsunami e cambiamento climatico

Taiwan Files 19.03.22 – Biden/Xi, manovre militari e normative

Taiwan Files 07.03.22 – Pompeo a Taipei e Taiwan nella “nuova era”

Taiwan Files 28.02.22 – Taipei non è Kiev, neanche post invasione russa

Taiwan Files 19.02.22 – La prospettiva taiwanese sull’Ucraina

Taiwan Files 12.02.22 – Pechino vista da Taipei

Taiwan Files 05.02.22 – Le Olimpiadi secondo Taiwan

Taiwan Files 29.01.22 – La Cina osserva la Russia in Ucraina, ma Taipei non è Kiev

Taiwan Files 22.01.22 – Il multiverso di Taiwan. Intervista ad Audrey Tang

Taiwan Files 15.01.22 – Commercio, sicurezza nazionale, sondaggi Chengchi, chip, diritti civili

Taiwan Files 08.01.22 – Arcobaleni, zero Covid, estradizioni, Xi/Tsai

Taiwan Files: speciale 2021

Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files