Marcos Scholz Filippine

L’Altra Asia – Marcos il “turista”, difensore delle Filippine

In Asia Meridionale, Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Il grande attivismo diplomatico del presidente delle Filippine, Ferdinand Marcos Jr., che difende la sovranità di Manila sul Mar cinese meridionale. Poi la politica interna filippina, molto vivace. Si va verso lo scioglimento del Move Forward in Thailandia, gli aggiornamenti dal Myanmar, l’economia del Laos, il “nuovo” Nepal (più filo-cinese?), il blocco di X in Pakistan e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente

«Turismo? Quale turismo?». Così il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. ha risposto (un po’ piccato) all’accusa che fosse sempre all’estero più per piacere che per questioni di interesse nazionale. Un’insinuazione abbastanza pretestuosa sollevata, neanche a dirlo, dall’ex presidente ed ex “alleato” Rodrigo Duterte lo scorso 12 marzo, durante un comizio a sostegno di Apollo Quiboloy, predicatore evangelico accusato di traffico di esseri umani e sfruttamento sessuale (dal 15 marzo su di lui pende un mandato d’arresto: è latitante). Mentre rispondeva a Duterte, il 14 marzo, Marcos si trovava in Repubblica Ceca per la seconda e ultima tappa del suo viaggio in Europa.

Prima di rientrare a Manila il 16 marzo, a Praga il presidente ha incontrato l’omologo ceco Petr Pavel e il primo ministro Petr Fiala, ai quali ha chiesto maggiori investimenti nel paese e il sostegno della Repubblica Ceca sulla ripresa dei negoziati (sospesi a luglio 2023) per la firma di un accordo di libero scambio tra Filippine e Unione Europea. Lo stesso appello Marcos lo aveva rivolto anche al cancelliere tedesco Olaf Scholz durante la sua visita in Germania, dall’11 al 13 marzo. A Berlino il presidente filippino aveva poi incontrato i dirigenti di alcune grandi aziende tedesche (come Bosch e Siemens) e si era assicurato circa 4 miliardi di dollari di investimenti. Il 28 e 29 febbraio Marcos si era inoltre recato in Australia – dove sarebbe tornato dal 4 al 6 marzo per il summit speciale ASEAN – per un’altra visita prolifica: Canberra ha promesso a Manila 1,5 miliardi di dollari per lo sviluppo di una serie di settori, dall’energia rinnovabile alle infrastrutture.

Insomma, negli ultimi venti giorni il presidente filippino ha passato più tempo in aereo che a Manila, ma non lo ha fatto né per turismo, né solamente per assicurarsi qualche miliardo di investimenti. Dal suo insediamento a giugno del 2022 Marcos ha iniziato a lavorare incessantemente sul fronte della diplomazia, spostando le Filippine sempre più verso “occidente” e allontanandosi dalla sfera di influenza cinese, nella quale si era invece spinto Duterte, il suo predecessore. Il posizionamento diplomatico di Marcos, molto più assertivo nel difendere la sovranità delle Filippine nel Mar cinese meridionale (che per Manila è “Mar delle Filippine occidentale”), ha riacceso le dispute marittime con Pechino. Che si è anche irritata per il fatto che Manila abbia aumentato il numero delle proprie truppe nelle isole dell’arcipelago più vicine a Taiwan.

Negli ultimi mesi sono diventanti sempre più frequenti gli incidenti tra le imbarcazioni filippine e quelle cinesi, che hanno usato laser, cannoni ad acqua e boe per impedire l’accesso dei pescherecci o delle navi di Manila agli atolli che il diritto internazionale riconosce come filippini, ma sui quali la Repubblica popolare rivendica la propria sovranità. In particolare Pechino cerca continuamente di bloccare i rifornimenti verso Second Thomas Shoal, atollo sul quale nel 1999 la marina filippina ha incagliato la Sierra Madre (una vecchia nave da guerra) allo scopo di renderla una sorta di struttura semi-permanente utile a legittimare il controllo di Manila sulla scogliera. Nella controversia più recente, a inizio marzo, c’è stata una collisione tra le navi delle due guardie costiere.

Durante la sua visita a Canberra, Marcos ha tenuto un discorso molto deciso davanti al parlamento australiano, ribadendo un concetto già espresso in passato: «Non permetterò a nessuna potenza straniera di appropriarsi anche di un solo centimetro quadrato del nostro territorio sovrano». Nel discorso la Cina non viene mai menzionata, ma il riferimento è evidente, mentre compare 13 volte la parola “pace” (quella più pronunciata dopo “Australia”, 18 volte). Il punto in cui è espressa con maggior forza riguarda proprio il Mar cinese meridionale, definito «un’arteria cruciale per il mantenimento della pace non solo regionale, ma mondiale». Non a caso, Marcos è tornato dall’Australia con la firma di diversi Memorandum of Understanding per rafforzare la cooperazione non solo economica, ma anche nel settore della Difesa e della sicurezza marittima.

In Germania il leader filippino ha ribadito l’importanza del Mar cinese meridionale e delle sue acque dove «passa il 60% del commercio globale», ma si è anche trovato a dover commentare uno sviluppo recente sul tema. L’11 marzo il Manila Times, citando un anonimo funzionario cinese, ha scritto che le Filippine non avrebbero mai risposto a undici proposte di Pechino per la “normalizzazione” delle relazioni dei due paesi nel Mar cinese meridionale, dimostrando dunque la poca volontà a cooperare. Durante la conferenza stampa con Scholz, Marcos ha detto di non aver rifiutato nessuna proposta di collaborazione, ma che le offerte cinesi partivano da presupposti inammissibili, come l’accettazione filippina della linea a 10 tratti «che non riconosce nessun paese al mondo». La linea a 10 tratti (evoluzione della linea a 9 tratti) rappresenta una proiezione cinese, basata su rivendicazioni storiche e contraria al diritto internazionale, del territorio sul quale Pechino avrebbe sovranità nel Mar cinese meridionale. «Se questa premessa non cambia, è difficile intravedere una strada da percorrere» per risolvere la questione, ha detto Marcos.

Nonostante sia rientrato da un’intensa serie di viaggi all’estero, il presidente non fermerà il suo lavoro diplomatico. Il 19 marzo Marcos incontrerà il segretario di Stato americano Antony Blinken, con in agenda sempre questioni economiche e di sicurezza. Dettaglio importante: Blinken si trova in Asia, ma quella nelle Filippine sarà la sua unica tappa non legata a summit o incontri multilaterali. Dall’insediamento di Marcos alla presidenza i legami di Difesa tra Washington e Manila si sono rafforzati, con annesse critiche da parte di Pechino. Il 15 marzo il colonnello Zhang Xiaogang, portavoce del ministero della Difesa cinese, ha detto che «alcuni paesi non regionali dovrebbero interrompere la retorica che incoraggia gli atti provocatori delle Filippine e astenersi dall’essere un elemento di disturbo nel Mar cinese meridionale», ribadendo un concetto che le autorità cinesi hanno espresso più volte nell’ultimo anno e mezzo.

Di tutta risposta, è già in programma per metà aprile un incontro trilaterale a Washington tra Marcos, il presidente americano Joe Biden e il primo ministro giapponese Fumio Kishida. Sarebbe il primo meeting di questo tipo, volto forse a formalizzare le relazioni di sicurezza tra i tre paesi, in un viaggio più ampio nel quale Marcos e Biden rafforzeranno la cooperazione di Difesa tra Stati Uniti e Filippine. Dopo una breve pausa, dunque, il presidente filippino tornerà presto a fare il “turista”.

FILIPPINE/2 – GLI EMENDAMENTI (ECONOMICI) ALLA COSTITUZIONE

Non solo esteri. È stata una settimana importante anche sul fronte interno, per le Filippine. Dopo tre giorni di dibattito, il 13 marzo la camera ha approvato la seconda lettura della proposta di emendamento della costituzione del 1987: l’approvazione finale è prevista per il 23 marzo. Se tutto andrà bene, e la proposta passerà anche al senato, verranno modificate tre disposizioni costituzionali (contenute agli articoli XII, XIV e XVI) che limitano gli investimenti esteri nel paese. Per esempio, l’attuale costituzione limita al 40% la quota massima che uno straniero può detenere all’interno di una società che offre servizi pubblici. Secondo il leader della maggioranza alla camera, Manuel Jose Dalipe, le nuove norme serviranno ad «accelerare la crescita economica» del paese. Nelle ultime settimane c’era stata una polemica tra Duterte e il suo successore, con il primo che accusava Marcos di voler cambiare la costituzione per rimuovere il limite del mandato presidenziale: la costituzione prevede che si possa essere presidenti solo per una legislatura, della durata di 6 anni. Marcos inizialmente si era detto aperto alla possibilità, ma poi ha fatto marcia indietro. La questione preoccupa anche perché suo padre, Ferdinand Marcos, ha cambiato la costituzione del 1935 per restare al potere oltre il limite dei due mandati presidenziali da 4 anni, guidando il paese in modo autocratico dal 1965 al 1986.

I Duterte stanno diventando sempre più ostili al presidente (va ricordato lo scambio di inizio febbraio, con accuse reciproche di “tossicodipendenza” tra Rodrigo Duterte e Marcos e le minacce di secessione di Mindanao), ma secondo il Diplomat è presto per dire che siano la nuova opposizione del paese. Sara Duterte è ancora la vicepresidente – che, tra l’altro, fa le veci di Marcos mentre è fuori dalle Filippine – nonché parte del governo, in quanto segretaria all’Educazione. Secondo molti, i dissidi tra i Duterte e i Marcos sono iniziati quando il presidente ha tolto alla sua vice la possibilità di gestire in autonomia il budget del proprio dicastero. Poi Rodrigo Duterte non avrebbe apprezzato lo spostamento di Manila verso gli Stati Uniti e alcune dichiarazioni di Marcos che avevano aperto all’indagine della Corte Penale Internazionale nei confronti del suo predecessore (accusato di crimini contro l’umanità per le modalità della sua guerra alla droga), poi ampiamente ritrattate. Alle elezioni di metà mandato del 2025 Marcos si gioca molto, bisognerà vedere anche che tipo di alleanze si formeranno.

Intanto, Human Rights Watch ha criticato la situazione dei diritti umani nelle Filippine, che sarebbe solo leggermente migliorata da quando Marcos è al potere. Attivisti e giornalisti continuano a essere bersagliati, così come proseguono le uccisioni extragiudiziali della polizia legate alla guerra alla droga.

THAILANDIA – COSA VERRÀ DOPO IL MOVE FORWARD

Il Move Forward non è ancora stato sciolto, ma non è presto per parlarne: cosa succederà se (quando) il partito verrà smantellato? Il 12 marzo la commissione elettorale thailandese ha deciso all’unanimità (5 voti favorevoli) di inviare una petizione alla corte costituzionale per chiedere lo scioglimento del Move Forward, visto che ci sono «prove ragionevoli» per sostenere che il partito abbia cercato di rovesciare la monarchia costituzionale (come sentenziato proprio dalla corte costituzionale a gennaio) proponendo di emendare la legge sulla lesa maestà. Sulla base dell’articolo 92 della legge sui partiti, qualunque forza politica tenti di smantellare la monarchia può andare incontro allo scioglimento. La palla passa di nuovo alla corte costituzionale (qui per tutti i dettagli del procedimento giudiziario: c’è in ballo anche un’altra causa per gli stessi motivi, alla commissione nazionale anti-corruzione). Nel 2020 lo stesso tribunale aveva sciolto il Future Forward, predecessore del Move Forward, a due mesi di distanza dalla petizione della commissione elettorale. Questa volta potrebbe volerci meno tempo, sia perché il caso è più “grave”, sia perché esiste già il precedente della sentenza di gennaio. Se il partito verrà smantellato, i suoi vertici (tra cui Pita Limjaroenrat) rischiano una squalifica di 10 anni dalla vita politica.

In Thailandia i partiti sono stati sciolti per molto meno, ricorda il Thai Enquirer. Una sentenza contro la dissoluzione sarebbe una sorpresa per tutti. Stando a quanto suggerisce la storia, e come hanno anticipato gli stessi leader del Move Forward, dopo l’eventuale scioglimento accadrà una sola cosa: nascerà un nuovo partito. È già successo a seguito dello smantellamento del Future Forward, così come dopo i vari tentativi dell’esercito di liberarsi degli Shinawatra (il Pheu Thai è la terza reincarnazione del partito di Thaksin). Non significa che la sentenza non farà male – servirà ricostruire tutta una serie di istituzioni burocratiche, reti locali, formare una nuova generazione di leader -, ma il danno sarà probabilmente temporaneo. Secondo uno degli ultimi sondaggi, il gradimento del Move Forward è al 44% (contro il 24% del Pheu Thai, seconda forza), cioè superiore al 36,23% preso alle elezioni di maggio 2023. «È più facile sciogliere un partito che dissolvere la lealtà politica» dei suoi sostenitori, scrive il Thai Enquirer.

Thaksin è tornato a Chiang Mai, nonostante sia in libertà vigilata, per una visita alla sua terra natale. Si trattava teoricamente di un viaggio per ragioni familiari, ma l’ex premier ha incontrato anche vari esponenti politici, compreso il primo ministro Srettha Thavisin. Si dice che il Pheu Thai stia cercando di ricostruire la sua base politica nel nord-est. Intanto, proprio nelle foreste attorno Chiang Mai vanno avanti da giorni degli incendi che stanno rendendo l’aria irrespirabile, ma per Srettha è tutto ok (si può anche andare tranquillamente in bicicletta, d’altronde). La zona non verrà dichiarata in stato di emergenza per non danneggiare il turismo.

MYANMAR – I ROHINGYA, SENZA PACE

Il governo ombra (NUG) ha denunciato la coscrizione forzata dei Rohingya, il gruppo etnico musulmano dello stato del Rakhine i cui membri sono regolarmente discriminati dalle autorità birmane. Nel 2017 quasi un milione di loro è dovuto scappare in Bangladesh per sfuggire a delle persecuzioni che per molti osservatori internazionali sono ascrivibili a “genocidio”. Oggi, il timore è che vengano usati dall’esercito come “carne da cannone”, mentre la gran parte di loro rischia di morire di fame. Dozzine di loro sarebbero già stati uccisi, riporta Frontier. Secondo alcuni osservatori, inoltre, anche l’Arakan Army (AA) avrebbe introdotto la leva dei Rohingya. Si tratterebbe in entrambi i casi di un possibile crimine di guerra.

Aggiornamenti dal fronte. Dopo quasi tre mesi di combattimenti, l’AA ha conquistato una città molto importante, Ramsee, vicino alla zona economica speciale cinese nella costa meridionale del Rakhine. Si tratta delle nona città conquistata in quattro mesi nello Stato, non senza danni collaterali: l’Irrawaddy riporta come siano state distrutte scuole, ospedali, strutture religiose e tanti altri edifici. Intanto il Kachin Indepedent Army (KIA) sostiene di aver conquistato 20 basi militari nello Stato Kachin (dell’offensiva ne avevamo parlato la scorsa settimana, qui). Si sono poi registrate delle esplosioni a Yangon – colpiti alcuni punti strategici dell’esercito, riporta il Nikkei – e a Mandalay, dopo che la giunta ha bombardato i ribelli ai margini della città, causando 9 morti civili. La guerra non era mai arrivata così vicino ai principali centri del paese, dove il regime ha già iniziato a raccogliere le generalità dei giovani birmani da sottoporre alla leva obbligatoria, in particolare a Yangon e nella capitale Naypyitaw.

Nel frattempo, nella porzione di Stato Shan conquistata dai ribelli della Three Brotherhood Alliance (3BHA) si lavora per tornare alla normalità e amministrare le zone controllate. Una delle priorità è riaprire gli scambi con la Cina, ma Pechino è restia ad alleggerire i controlli, mentre il regime sta cercando di bloccare le principali rotte commerciali. La giunta ha anche tagliato le comunicazioni internet (e in alcuni casi telefoniche) in quasi 80 città del paese. Un articolo dello storico giornalista Bertil Lintner per capire di più quale sia la situazione nello Stato Shan.

LAOS – RISOLLEVARE L’ECONOMIA

Il primo ministro laotiano Sonexay Siphandone ha ordinato al ministero dell’Energia e delle Miniere di richiedere alle imprese del settore minerario di lavorare i minerali grezzi in Laos, prima di esportarli. La misura ricorda quella adottata dal presidente uscente Joko Widodo in Indonesia con il Nichel (qui per maggiori dettagli). L’obiettivo è quello di creare maggiore lavoro per i cittadini laotiani e risollevare un’economia stagnante, creando valore aggiunto nel paese. Negli ultimi 20 anni, riporta Radio Free Asia, sono state aperte oltre mille miniere (di oro, rame, argento, nichel etc.) su quasi il 3% della superficie del Laos. Per la stragrande maggioranza si tratta di progetti cinesi, spesso molto criticati per i danni ambientali e per il fatto che causano l’esproprio delle terre ai residenti. Molto più ben accetti sono gli investimenti cinesi nel settore dell’energia idroelettrica. Grazie alle dighe finanziate da Pechino, come quella di Nam Ou nel nord del paese, il Laos riesce a vendere energia elettrica ai paesi vicini e ad accumulare valuta straniera vitale per Vientiane. L’articolo del Nikkei.

Nei primi giorni di marzo sono state confermate tre infezioni di antrace (o “carbonchio) in Laos, causate da un batterio molto pericoloso e contagioso. La Thailandia ha subito rafforzato i controlli ai confini.

NEPAL – LA CINA È PIÙ VICINA

Il cambio di esecutivo in Nepal ha portato i due partiti comunisti più importanti del paese di nuovo al governo insieme. Secondo alcuni osservatori, questo potrebbe riaccendere la competizione tra Cina e India per l’influenza sul paese, con Pechino che trarrebbe vantaggio dai suoi storici rapporti con il Partito Comunista Marxista-Leninista Unificato (CPN-UML) di Khadga Prasad Sharma Oli. Come nelle Maldive, all’interno dei partiti nepalesi si starebbe sviluppando una forte antipatia nei confronti di Nuova Delhi, e anche gli Stati Uniti sarebbero preoccupati dal fatto che il nuovo governo di Pushpa Kamal Dahal – leader del Partito Comunista di Centro Maoista (CPN-MC) – possa spostarsi verso Pechino. Oltre alle questioni economiche, legate principalmente alla Belt and Road Initiative (BRI), la Cina ha interessi di sicurezza in Nepal, dove vuole prevenire le attività anti-cinesi degli attivisti tibetani. Sia la Repubblica popolare che l’India hanno poi delle dispute territoriali aperte con Kathmandu. In ogni caso, va detto che Nuova Delhi resta di gran lunga il principale partner commerciale del Nepal, al quale è legata da sempre per ragioni storiche.

PAKISTAN – IL BLOCCO DI X E IL NUOVO GOVERNO

Dal 17 febbraio in Pakistan non si riesce più ad accedere con continuità a X (l’ex Twitter). Il 17 febbraio non è una data casuale: quel giorno un funzionario della commissione elettorale di Rawalpindi aveva confessato di aver manipolato i risultati del voto dell’8 febbraio in diversi collegi (ne avevamo parlato qui). Da allora le autorità hanno praticamente bloccato gli accessi al social, che è molto usato dai principali leader politici del paese e dai giornalisti, anche se relativamente poco popolare nel paese. Su 241 milioni di abitanti, solo 4,5 milioni di pakistani usa X, secondo il Nikkei. Chi può usa una VPN, ma l’interruzione degli accessi al social – la cui efficacia resta discutibile – rischia di aggravare i problemi economici di Islamabad. Oltre a essere un ulteriore sintomo del restringimento della libertà di espressione nel paese, la mossa potrebbe aumentare la percezione dell’inaffidabilità delle infrastrutture digitali pakistane, scoraggiando le aziende straniere a investire in Pakistan. Come riportato da Arab News, diverse associazioni (tra cui Amnesty International e Human Rights Watch) hanno chiesto il ripristino di X.

L’11 marzo, intanto, ha giurato il nuovo governo guidato da Shehbaz Sharif. Sarà un esecutivo composto da soli uomini (18), eccetto un’unica donna, la ministra delle Telecomunicazioni e delle Tecnologie informatiche, Shaza Fatima Khawaja. Alle finanze c’è Muhammad Aurangzeb, ex dirigente di JP Morgan. La stabilità finanziaria del paese è tra le priorità del nuovo esecutivo ed è per questo, secondo Michael Kugelman di Foreign Policy, che Shehbaz ha optato per un tecnocrate.

LINK DALL’ALTRA ASIA

Il 1° marzo l’Assemblea Nazionale cambogiana ha ratificato la bozza di legge per la costruzione di un nuovo canale (“Funan Techno”) che devierà il corso del Mekong a partire dal porto fluviale della capitale, Phnom Penh. Il Vietnam si è lamentato per i danni ambientali (ed economici). Il progetto è finanziato da un’azienda di Stato cinese: ne ha parlato il direttore editoriale di China Files, Lorenzo Lamperti, sul Manifesto.

Il Vietnam ha protestato anche per la nuova linea di base tracciata dalla Cina nel Golfo del Tonchino: qui per maggiori dettagli.

Accuse di manipolazioni elettorali in Indonesia. Non si parla di brogli: uno dei candidati perdenti, Anies Baswedan, contesta al presidente Jokowi di aver favorito in diversi modi la candidatura di Prabowo Subianto, alterando i risultati del voto. Per maggiori dettagli: qui, qui, e qui.

L’11 marzo il principe ereditario del Brunei, Al-Muhtadee Billah, ha incontrato a Tokyo il premier giapponese Fumio Kishida. I due si sono impegnati a elevare le relazioni diplomatiche tra i rispettivi paesi al rango di partenariato strategico.

Nel Golfo del Bengala, in Bangladesh, si ritornerà a trivellare per cercare nuovi giacimenti di petrolio e gas.

Una delegazione militare cinese ha visitato Maldive, Sri Lanka e Nepal.

A cura di Francesco Mattogno