L’Altra Asia – Uno, nessuno, centomila Prabowo Subianto

In Asia Meridionale, Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Le tante facce (problematiche) del futuro presidente dell’Indonesia, Prabowo Subianto. Le serie accuse di brogli in Pakistan, il ritorno di Hun Sen in Cambogia, il dramma dei giovani birmani e le contraddizioni della giustizia thailandese. Poi Vietnam, Maldive, Kazakistan. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente

I sondaggi avevano ragione, l’Indonesia ha già un nuovo (futuro) presidente. Per mesi l’ascesa di Prabowo Subianto è stata verticale, inarrestabile, ma fino a qualche settimana fa pochi avrebbero potuto prevedere la sua vittoria al primo turno elettorale dello scorso 14 febbraio. L’ex generale indonesiano ha vinto le elezioni senza passare dal ballottaggio ottenendo tra il 57% e il 59% dei voti, umiliando per certi versi i suoi due avversari: Anies Baswedan si è fermato al 24-25%, Ganjar Pranowo al 15-17%. Si tratta ancora di risultati preliminari, quelli ufficiali usciranno entro il 20 marzo, ma che Prabowo possa perdere nel riconteggio quasi il 10% dei voti è utopia. A ottobre sarà lui a prendere il posto di Joko Widodo.

E proprio a Jokowi deve tanto, forse quasi tutto. L’endorsement malcelato del presidente uscente, che dopo dieci anni al potere può ancora vantare un tasso di approvazione vicino all’80%, ha permesso a Prabowo di iniziare la corsa verso le elezioni con diversi metri di vantaggio rispetto agli sfidanti. La nomina a vice del primogenito di Jokowi (Gibran Rakabuming Raka) ha completato l’opera, e non hanno certo fatto male le generose politiche di welfare che il capo di stato ha dispensato nelle fasi finali della campagna elettorale. Votare Prabowo significava votare Jokowi, appoggiando indirettamente la dinastia politica che il presidente ha iniziato a costruire durante il suo secondo mandato. Alla maggior parte degli indonesiani, abituati alle meccaniche elitarie e familistiche della politica nazionale e locale, è andata bene così.

Per molti altri, invece, quella di Prabowo è una vittoria problematica, “gravissima”. Prima di essere ministro della Difesa dell’attuale secondo governo Jokowi, infatti, Prabowo è stato molte altre cose.

Già due volte candidato alla presidenza, imprenditore, ex genero del dittatore Suharto (ha divorziato da sua figlia, Titiek Suharto, nel 1998) e soprattutto ex generale dell’esercito. Si ritiene – con basi molto solide – che da comandante delle Kopassus, le forze speciali dell’esercito indonesiano, abbia avuto un ruolo diretto nelle operazioni di controinsurrezione che portarono al massacro di centinaia di abitanti di Timor Est nel 1983, al tempo occupata da Giacarta. La stessa violenza l’avrebbe usata poi a Papua e contro le proteste per la democrazia degli studenti nel 1998. All’epoca a capo di un altro comando, il Kostrad, Prabowo fu responsabile del rapimento e della tortura di una ventina di universitari (tredici di loro risultano tuttora scomparsi). Lui stesso ha ammesso il suo coinvolgimento nei sequestri: «Ho fatto solo il mio dovere di ufficiale», ha detto ad Al Jazeera nel 2014.

Di lì a poco sarebbe caduto il Nuovo Ordine di Suharto, e per Prabowo sarebbe iniziato un auto-esilio di qualche anno in Giordania. Da allora non ha mai affrontato un processo. Una volta rientrato in Indonesia si è reinventato ed è tornato alla ribalta in politica, correndo contro Jokowi per la presidenza nel 2014 e nel 2019, vestendo prima i panni del nazionalista autoritario e poi del candidato vicino all’estremismo musulmano. Sempre senza successo. Dopo le due sconfitte, l’ex generale ha accettato l’offerta di pacificazione di Jokowi ed è entrato nel suo secondo governo come ministro della Difesa, diventando un fedele alleato del presidente. Ma con sempre in testa il desiderio di essere lui il leader del paese.

Alla sua terza campagna elettorale Prabowo ha cambiato nuovamente strategia e ha indossato i panni del “Gemoy”. È diventato un nonno “carino”, goffo, che fa i balletti sui palchi dei comizi, i video su TikTok. Un simpatico ma rispettabile signore che un’immagine creata con l’intelligenza artificiale in stile Pixar disegnerebbe esattamente così.

Indonesia

Una delle varie immagini di Prabowo Subianto create con l’intelligenza artificiale.

Non si tratta nemmeno di una novità per il Sud-Est asiatico, a dire il vero. Anche i due ex generali golpisti della Thailandia avevano tentato lo stesso approccio alle elezioni del maggio 2023, fallendo su tutta la linea. La nuova maschera di Prabowo invece ha funzionato, facendo presa su un elettorato giovane (quasi la metà dei votanti aveva meno di 40 anni) e senza memoria storica. Ma il futuro presidente ha vinto anche grazie all’idea che potesse garantire continuità al paese proseguendo sulle stesse orme di Jokowi. Ha promesso una crescita del Pil annua del 7% (la media attuale è al 5%), la creazione di 19 milioni di posti di lavoro, una serie di nuovi progetti infrastrutturali, l’allargamento del welfare e molte altre politiche espansive, tanto da creare una certa preoccupazione sulla sostenibilità fiscale della “sua” Indonesia.

Per Prabowo inizia però anche un periodo complesso, a partire dalla gestione degli equilibri di potere tra lui e Jokowi. Difficilmente il capo di stato uscente, anche se fuori dalle istituzioni, si metterà in disparte. Secondo alcuni osservatori quello di Prabowo (che inizierà il suo mandato a 73 anni) sarà un interregno tra padre e figlio: tutto sembra far pensare che non correrà nel 2029, e che lascerà il posto al suo vice Gibran. È presto per parlarne, ma è presto anche per supporre, vista la sua storia, che non cercherà la rielezione.

Intanto dovrà pensare a costruire una coalizione in grado di governare. Se alle presidenziali la vittoria dell’ex generale è stata netta, alle parlamentari il suo partito, il Gerindra, è arrivato terzo con circa il 13% delle preferenze. A essersi classificato primo è stato il Partito Democratico Indonesiano di Lotta (PDI-P) di Ganjar Pranowo (17%), seguito dal Golkar, lo storico partito di Suharto (15%) che fa parte degli alleati del Gerindra. La coalizione di Prabowo, Advance Indonesia Coalition, raccoglie circa il 42-43% dei 580 seggi parlamentari. Troppo pochi. Servirà convincere qualcun altro, forse tra i partiti che hanno sostenuto Anies. Per il momento il PDI-P dice di essere pronto ad andare all’opposizione, un posizionamento che non farebbe male alla democrazia indonesiana. Durante il suo secondo mandato Jokowi ha radunato una grande quantità di partiti nel suo esecutivo, governando praticamente senza oppositori in parlamento.

[Di Prabowo e di Indonesia parleremo più approfonditamente in un e-book interamente dedicato al paese in uscita domenica 25 febbraio]

PAKISTAN – COMMISSARIO ELETTORALE DI RAWALPINDI CONFESSA BROGLI

Nel fine settimana in Pakistan è successo qualcosa di potenzialmente enorme. Sabato 17 febbraio il commissario della divisione di Rawalpindi, Liaquat Ali Chatta, ha confessato di aver manipolato i risultati del voto dell’8 febbraio in 13 collegi nazionali e in 26 collegi della sua provincia, il Punjab. L’alto funzionario burocratico avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa per parlare dello stadio di cricket della città, ma invece di rispettare il programma ha iniziato a discutere di elezioni, ammettendo davanti ai giornalisti il suo coinvolgimento nei brogli. Chatta si è immediatamente dimesso e ha atteso che la polizia lo andasse ad arrestare. Secondo la sua versione, avrebbe ricevuto ordini dai suoi superiori di falsificare decine di migliaia di schede elettorali.

Il commissario ha parlato di un «piano per falsificare il voto» di cui hanno fatto parte il capo della giustizia pakistano, Qazi Faez Isa, e i vertici della commissione elettorale, ma ha scagionato l’esercito. «Abbiamo fatto vincere di 50 mila voti candidati che erano in svantaggio», ha dichiarato Chatta, che ha detto di aver confessato a causa dei sensi di colpa che «non lo facevano dormire la notte» e che meriterebbe di essere «impiccato». La commissione elettorale ha annunciato di aver formato un comitato d’inchiesta di alto livello per indagare sulla vicenda, le cui conseguenze sono al momento imprevedibili.

Fin dalla notte delle elezioni, quando i risultati del voto tardavano ad arrivare, il Movimento per la Giustizia del Pakistan (PTI) e altri partiti minori hanno iniziato a denunciare brogli. Il partito dell’ex premier Imran Khan sostiene che i suoi candidati abbiano vinto in 177 collegi e non in 92, come invece hanno riportato i risultati ufficiali. Nel weekend ci sono state importanti manifestazioni in tutto il paese per contestare le presunte manipolazioni del voto. Per quanto sia difficile verificare indipendentemente la fondatezza della versione del PTI (soprattutto in merito alla portata dei brogli), si tratta di accuse credibili, a cui la confessione del commissario di Rawalpindi sembra dare effettivamente credito. L’establishment militare pakistano ha impedito al partito di svolgere una regolare campagna elettorale nel tentativo di agevolare la vittoria della Lega Musulmana del Pakistan-Nawaz (PML-N) degli Sharif, ma non è riuscito a scalfire quanto avrebbe voluto l’enorme consenso attorno al PTI.

Intanto continuano i colloqui tra PML-N e Partito Popolare Pakistano (PPP) per la formazione del nuovo governo. Il PPP ha detto che sosterrà la nomina a primo ministro di Shehbaz Sharif, fratello di Nawaz, ma che non vuole entrare nell’esecutivo (in cambio vorrebbe alcuni ruoli istituzionali importanti, come quello di presidente). L’appoggio esterno del PPP permetterebbe la nascita di un governo con il PML-N a guida di vari partiti minori, ma si tratterebbe di un esecutivo molto debole, probabilmente impopolare e vincolato all’appoggio dell’esercito.

MYANMAR – IL DRAMMA DEI GIOVANI BIRMANI DI FRONTE ALLA LEVA OBBLIGATORIA

“Prima lo shock, poi il panico”. L’Irrawaddy descrive così le reazioni dei giovani birmani all’annuncio da parte della giunta militare della messa in vigore della legge sulla coscrizione obbligatoria, che verrà resa effettiva dalla metà di aprile. Gli eleggibili sono 14 milioni (6,3 milioni di uomini e 7,7 milioni di donne). In settimana l’ambasciata thailandese a Yangon è stata presa d’assalto da migliaia di persone alla ricerca di un visto turistico che gli consentisse di lasciare il Myanmar, e forse restare in Thailandia da irregolari. Tra quelli che ritengono che andarsene non sia un’opzione praticabile, ma che vogliono evitare la leva, c’è chi pensa di mutilarsi o di diventare monaco, mentre diverse ragazze stanno cercando marito (il matrimonio per le donne e la vita monastica sono due motivi di esenzione dal reclutamento).

Il regime ha l’obiettivo di arruolare nell’esercito circa 50 mila persone all’anno, più o meno 5 mila al mese. Il timore è che le giovani reclute verranno usate come scudi umani durante le offensive contro i ribelli. Secondo diversi osservatori, quella della giunta è una mossa quasi disperata, l’ultima carta in mano al generale Min Aung Hlaing per cercare di rovesciare l’inerzia dei combattimenti, che da mesi è girata a favore delle forze di resistenza. C’è poi chi sostiene che sia anche un modo per fare soldi: gira voce che pagando bene si possa evitare la leva, un privilegio che spetterebbe solo alle famiglie che se lo potranno permettere. Oltre ai civili, per rimpolpare le fila dell’esercito la giunta ha anche richiamato i riservisti.

Sul fronte, intanto, il regime ha ottenuto una vittoria significativa riconquistando Kawlin, città nella regione del Sagaing che a novembre era finita in mano alle Forze di Difesa Popolari (PDF) del governo in esilio (NUG). La giunta ha investito molte risorse sull’offensiva, cominciata il 3 febbraio: resta da capire se sarà l’inizio di una nuova fase di controffensive su più larga scala. Intanto l’Arakan Army (accusato da Human Rights Watch di non stare badando troppo ai danni collaterali sui civili, soprattutto Rohingya) continua ad avanzare nel Rakhine, e così anche le forze Karenni nello Stato Kayah. Nello Stato Shan, anche il Ta’ang National Liberation Army (TNLA) ha iniziato a coscrivere i giovani, mentre una fazione del New Mon State Party (NMSP AD) ha detto che si unirà ai ribelli. Il NMSP è parte del cessate il fuoco nazionale (NCA) con l’esercito.

CAMBOGIA – IL RITORNO DI HUN SEN

Il 25 febbraio in Cambogia si terranno le elezioni indirette del senato. Il voto spetta ai membri del parlamento nazionale e delle assemblee locali, che eleggeranno 58 senatori (altri 4 saranno nominati direttamente: 2 dal parlamento e 2 dal re). L’ex primo ministro Hun Sen è tra coloro che si candideranno, ed è ritenuto molto probabile che verrà eletto presidente del senato, diventando la seconda carica dello stato dopo il re Norodom Sihamoni. Suo figlio Hun Many, fratello dell’attuale premier Hun Manet e ministro del Servizio pubblico, potrebbe invece diventare vicepremier. Alle elezioni partecipano quattro forze politiche: il partito di governo Cambodian People’s Party (CPP), il FUNCINPEC, lo Khmer Will Party (KWP) e il Nation Power Party (NPP). I membri del principale partito di opposizione, il Candlelight Party (a cui non è stato permesso di partecipare), correranno tra i ranghi del KWP. Ci si aspetta che il CPP ottenga una larga maggioranza anche in senato.

THAILANDIA – THAKSIN DI NUOVO A CASA

Dopo oltre 15 anni, l’ex primo ministro Thaksin Shinawatra è tornato a casa, nella sua villa a Bangkok. Il fondatore del Pheu Thai, il partito a capo dell’attuale governo, è stato rilasciato domenica in libertà condizionale dopo aver scontato sei mesi confinato in un ospedale della polizia nella capitale. Thaksin era rientrato in Thailandia lo scorso 22 agosto a seguito di un auto-esilio che durava dal 2008. Condannato a 8 anni di carcere, la sua pena è stata quasi immediatamente ridotta a 1 anno, ma non ha passato neanche una notte in prigione. A causa di presunti problemi di cardiaci e polmonari, l’ex premier è stato subito portato in ospedale, dove ha trascorso gli ultimi sei mesi grazie a quello che per la maggior parte degli analisti è stato il risultato di un trattamento di favore dovuto a un accordo stipulato con l’establishment. A Thaksin è stata concessa la libertà condizionale perché ha scontato almeno un terzo della sua condanna e perché rientrava in una categoria di detenuti considerata “fragile”, per via della sua età (74 anni) e del suo stato di salute. Il leader dei rossi è uscito dall’ospedale indossando un collare ortopedico e un tutore al braccio: secondo i critici è stato un tentativo grottesco di mostrare la precarietà delle sue condizioni. Il primo ministro Srettha Thavisin ha detto che sta già pensando a un futuro ruolo nel governo per Thaksin.

La giustizia thailandese sa essere molto clemente, così come spietata. La scorsa settimana un universitario è stato condannato a 7 anni e mezzo per lesa maestà: aveva condiviso su Facebook alcuni post considerati offensivi nei confronti del re. E intanto due giornalisti sono stati arrestati per aver documentato, a marzo del 2023, delle proteste anti-monarchiche.

VIETNAM – MICROCHIP E INGEGNERI

Il Vietnam ha promesso agevolazioni fiscali e sovvenzioni alle aziende produttrici di microchip che vorranno investire nel paese. Hanoi ha intenzione di sviluppare l’industria interna dei chip, e per farlo vuole continuare ad attirare le grandi aziende del settore. Nvidia e Samsung hanno già detto di essere interessate al programma. Il Vietnam, a cui dovrebbe essere destinata parte dei fondi del Chips and Science Act americano, dispone di un’ottima base di manodopera non qualificata (impiegata nell’assemblaggio dei chip) ma ha bisogno di ingegneri, e per questo vorrebbe “importare” anche lavoratori qualificati del settore. Come scrive il Nikkei, l’idea è di formare 50 mila ingegneri autoctoni entro il 2030.

MALDIVE – RINVIATE LE ELEZIONI PARLAMENTARI

Non è stato un periodo semplice per il presidente maldiviano Mohamed Muizzu, che nei primi mesi della sua presidenza ha dovuto fare i conti con una serie di critiche e scandali, legati soprattutto alla sua politica di “India out”. La buona notizia per lui è che le elezioni parlamentari in programma il 17 marzo sono state rimandate dal parlamento – controllato dai partiti d’opposizione – per non farle sovrapporre al periodo di Ramadan. La nuova data dovrebbe essere fissata dopo la metà di aprile, forse il 19 del mese.

KAZAKISTAN – LA SECONDA PEGGIORE FUGA DI METANO MAI REGISTRATA

Nel corso del 2023 in Kazakistan si è verificata una delle peggiori fughe di metano mai registrate. Lo ha rivelato la BBC. Il 9 giugno 2023 durante una trivellazione per l’esplorazione di nuovi giacimenti nella regione del Mangystau, nel sud-est del paese, si è verificata un’esplosione che avrebbe poi causato un incendio domato solo lo scorso 25 dicembre. Secondo gli esperti, che hanno scoperto la perdita visionando le immagini satellitari, in oltre sei mesi sarebbero state disperse nell’atmosfera oltre 127 mila tonnellate di metano, un gas serra più potente della CO2. Solo la perdita causata dal sabotaggio del gasdotto Nord Stream sarebbe stata più grande e grave di questa. La compagnia proprietaria del pozzo (Buzachi Neft) nega tutto, ma incidenti come questi non sono rari in Asia centrale. Alla Cop28 di Dubai il Kazakistan ha aderito al Global Methan Pledge, impegnandosi a ridurre del 30% le sue emissioni di metano entro il 2030.

LINK DALL’ALTRA ASIA

Un articolo del Nikkei sul ricordo dello storico combattente e contrabbandiere Khun Sa, nel Triangolo d’Oro, tra preghiere, oppio ed effigi. Da leggere.

A proposito di oppio, il Laos sta portando avanti la sua battaglia alle coltivazioni di papavero, non senza difficoltà.

La scorsa settimana l’ex premier malaysiano Mahathir Mohamad (98 anni) è stato ricoverato in ospedale. È successo più volte negli ultimi anni, vista la sua età, ma fa notizia perché Mahatir resta una delle figure politiche più attive e importanti della Malaysia. Il suo ultimo mandato da primo ministro è stato tra il 2018 e il 2020.

Il 17 febbraio la prima ministra del Bangladesh, Sheikh Hasina, ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a margine della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza. L’equilibrismo di Dhaka tra Stati Uniti, Cina e Russia.

A cura di Francesco Mattogno