Hun Sen Hun Manet

L’Altra Asia – La Cambogia di Hun Manet non è diversa da quella di Hun Sen

In Asia Meridionale, Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

In Cambogia il primo ministro non è più Hun Sen, ma con suo figlio Hun Manet le cose non sembrano essere cambiate. Le accuse di corruzione contro un ex ministro in Malaysia, la politica estera Thailandese, la repressione del PTI in Pakistan. Poi gli aggiornamenti dal Myanmar (che riguardano anche l’Asean) e le questioni interne di Indonesia, Vietnam e Filippine. E Tuvalu tra Cina e Taiwan. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente

Dal 22 agosto 2023, per la prima volta in oltre 38 anni, la Cambogia ha un primo ministro che non si chiama più Hun Sen. Ma che ci va molto vicino. Sono passati poco più di 5 mesi dalla nomina a premier di Hun Manet, figlio del suo predecessore. E come Hun Sen, anche altri storici membri del Partito Popolare Cambogiano (CPP) hanno passato i propri ministeri ai loro stessi figli, parenti o soci in affari, in quella che si è rivelata essere più una successione dinastica su larga scala che un rimpasto della squadra di governo.

Di Hun Manet si è parlato molto nelle settimane che hanno preceduto il passaggio di consegne. Si tratta di un personaggio molto diverso dal padre, un ex combattente dei khmer rossi – da cui ha disertato nel 1977 – diventato primo ministro nel 1985, a 32 anni. Hun Sen ha guidato la Cambogia per quasi quattro decenni, durante i quali il paese è uscito dallo stato di povertà assoluta senza però mai trasformarsi in una vera democrazia, né fare i conti con il passato genocidario del regime di Pol Pot. Il mancato rispetto dei diritti civili e la repressione dei dissidenti ha caratterizzato tutta l’era dell’ex premier, compreso il suo ultimo atto: l’esclusione dalle elezioni dello scorso luglio del più importante partito di opposizione al CPP, il Candlelight Party.

Come spesso accade, quando il figlio di un autocrate prende il potere si tende a pensare che possa distanziarsi dal passato e avviare un percorso di riforme, specialmente se ha un curriculum come quello di Hun Manet, che ha studiato nelle più prestigiose accademie occidentali (laurea all’Università di New York nel 2002, master a Bristol nel 2008). A 5 mesi di distanza dal suo insediamento a primo ministro, però, la Cambogia di Hun Manet sembra ancora la Cambogia di Hun Sen (che restando presidente del CPP ha mantenuto il potere di definire l’indirizzo politico del partito, e quindi di fatto del paese).

Il 24 gennaio, durante la cerimonia per il 25° anniversario dalla fondazione dell’esercito reale cambogiano (del quale è stato comandante), il premier ha chiesto alle forze armate di attuare una «repressione totale» di qualunquerivoluzione colorata”, cioè di qualsiasi manifestazione che richieda maggiori diritti civili e democrazia. In un discorso più ampio, in cui citava anche terrorismo e crimini internazionali, Hun Manet ha detto che vanno scongiurate le «interferenze esterne» (riferendosi a gruppi di opposizione con sede all’estero) così come le «ambizioni di un manipolo di traditori» interni.

Il governo – oltre ad avere in programma di rilanciare il Kampuchea, quotidiano di propaganda statale stampato dal 1979 al 2007 – sta poi lavorando a un disegno di legge per creare una sorta di “codice di condottadei giornalisti, che i critici ritengono essere un modo per restringere ulteriormente la libertà di espressione nel paese. E intanto gli oppositori continuano a essere incarcerati: gli ultimi casi riguardano due membri del Candleligh Party, arrestati a metà gennaio con l’accusa di aver falsificato la documentazione necessaria per l’iscrizione (poi vietata) del partito alle elezioni di luglio. La mossa è per alcuni una forma di intimidazione volta a disincentivare la partecipazione politica prima delle elezioni del senato, che si terranno il prossimo 25 febbraio.

La situazione interna non sembra però aver avuto ripercussioni sui rapporti diplomatici tra la Cambogia e gli stati occidentali, interessati a mantenere buone relazioni con Phnom Penh per evitare che il paese si sposti troppo verso la Cina. Il 22 gennaio, a seguito dell’incontro tra Hun Manet e il presidente francese Emmanuel Macron, Cambogia e Francia hanno innalzato le proprie relazioni al rango di partenariato strategico globale, e nel 2023 Phnom Penh aveva fatto lo stesso con il Giappone, con cui si era impegnata anche a migliorare la cooperazione in materia di sicurezza.

Secondo diverse analisi (qui SCMP e East Asia Forum), Hun Manet sta cercando di diversificare i propri partner per non dipendere troppo da nessuno di loro, in particolare dalla Cina. Una tattica che non solo permette alla Cambogia di ricevere investimenti e aiuti economici da un più ampio numero di paesi, ma che garantisce anche legittimità internazionale al nuovo governo, e dunque a tutto il processo di successione dinastica del CPP. Con o senza Hun Sen, per la democrazia bisognerà aspettare.

MALAYSIA – EX MINISTRO SOTTO PROCESSO PER CORRUZIONE, MENTRE RUOTA IL SOVRANO

Il 29 gennaio Daim Zuinuddin, ex ministro delle Finanze malaysiano, è stato convocato dal tribunale di Kuala Lumpur per non aver presentato alla commissione anticorruzione (MACC) l’elenco completo dei suoi beni, come gli era stato richiesto. L’ex ministro è accusato di aver utilizzato la sua influenza per accumulare durante i suoi anni al governo (1984-1991 e 1999-2001) un patrimonio che per buona parte avrebbe nascosto alle casse dello stato. L’indagine a suo carico rientra nel quadro dello scandalo Pandora Papers, che ha coinvolto anche Marzim Mahatir, il figlio dell’ex primo ministro Mahatir Mohamad.

Dei casi si parla molto in Malaysia perché sia Mahatir Mohamad che Daim, suo storico alleato negli anni al governo, hanno accusato l’attuale premier Anwar Ibrahim di stare usando il sistema giudiziario per colpire i suoi avversari politici, proteggendo invece i suoi alleati. Come ricorda Associated Press, l’anno scorso vennero ritirate 47 accuse di corruzione a carico del vicepremier Ahmad Zahid Hamidi, figura fondamentale per sostenere la coalizione di governo, quando l’indagine era ormai arrivata a buon punto. Daim oggi ha 85 anni ed è gravemente malato (come dimostrano le condizioni nelle quali si è presentato davanti alla corte), ma viene considerato una delle persone più ricche del paese. Qui Asia Sentinel racconta la vicenda più nel dettaglio.

Intanto, il 31 gennaio terminerà ufficialmente il mandato del sultano Abdullah di Pahang come capo di stato della Malaysia (il titolo ufficiale è Yang di-Pertuan Agong). Al suo posto subentrerà il sultano Ibrahim Iskandar di Johor. La monarchia costituzionale del paese prevede un sistema di rotazione del sovrano tra i vari sultani malaysiani: ogni mandato dura 5 anni.

THAILANDIA – NUOVO ACCORDO CON LA CINA, E NUOVA SENTENZA IN SETTIMANA

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il consigliere per la sicurezza nazionale americana Jake Sullivan si sono incontrati a Bangkok lo scorso 26 gennaio. L’organizzazione del bilaterale in Thailandia si è rivelata un’occasione per lo stesso governo di Srettha Thavisin, che ha approfittato del meeting per incontrare a sua volta gli esponenti delle amministrazioni cinese e americana. Durante l’incontro del primo ministro con Sullivan, venerdì 26, si è parlato soprattutto di Myanmar. Mentre domenica 28 Thailandia e Cina hanno firmato un accordo che prevede la reciproca esenzione del visto per i cittadini dei due paesi, della durata di un massimo di 30 giorni. La misura entrerà in vigore dal 1° marzo ed è stata pensata da entrambe le parti con l’obiettivo di aumentare il turismo in entrata. Qui per maggiori dettagli.

A metà del 2024 dovrebbero ricominciare le trattative tra Thailandia e Unione Europea per stipulare un accordo di libero scambio, il cosiddetto Thai-EU Free Trade Agreement (FTA).

Sul fronte interno, il 24 gennaio la corte costituzionale ha ripristinato lo status di parlamentare dell’ex leader del Move Forward, Pita Limjaroenrat. L’esponente degli arancioni era stato accusato dalla commissione elettorale di essersi candidato pur detenendo delle quote di una società del settore dell’informazione, possibilità vietata dalla legge elettorale. Il 31 lo stesso tribunale sarà chiamato a giudicare se il Move Forward, proponendo di emendare la legge sulla lesa maestà, abbia tentato di rovesciare il sistema di monarchia costituzionale. Il partito rischia lo scioglimento.

PAKISTAN – KHAN CONDANNATO A 10 ANNI

Martedì 30 gennaio l’ex premier Imran Khan  è stato condannato a 10 anni per aver diffuso segreti di stato, stessa pena inflitta al suo ex ministro degli Esteri, Shah Mehmood Qureshi. La sentenza si va a sommare ai 3 anni (pena poi sospesa) che gli erano stati inflitti per corruzione.

La codanna arriva dopo gli scontri di domenica 28 gennaio tra la polizia e i sostenitori del Movimento per la giustizia del Pakistan (PTI), il partito di Khan. Secondo la polizia il partito non avrebbe ricevuto il via libera per l’organizzazione della manifestazione, che gli agenti hanno disperso attraverso il lancio di lacrimogeni. Ci sono stati almeno 25 arresti: tra di loro c’era anche il segretario generale del partito nel Sindh, Ali Pal. Da tempo il PTI, che non potrà neanche presentarsi alle elezioni come partito (i suoi candidati dovranno tutti correre da indipendenti), accusa l’establishment di stare ostacolando in tutti i modi la sua campagna elettorale. Non solo attraverso arresti o pretesti giudiziari. Come riportato dal Nikkei, nelle ultime settimane è successo più volte che alcuni social abbiano smesso di funzionare improvvisamente proprio mentre erano in corso convention “virtuali” o raccolte fondi del PTI. Il governo parla di «problemi tecnici», ma molti temono che si tratti di un’azione deliberata e che in futuro si potrà arrivare anche al blocco temporaneo di tutta la rete internet.

Nel frattempo, il 29 gennaio il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, si è recato a Islamabad per incontrare la controparte pakistana, Jalil Abbas Jilani. Tra Iran e Pakistan è tornato il sereno dopo i reciproci bombardamenti di un paio di settimane fa, e ora si impegnano a collaborare contro il terrorismo.

MYANMAR – SI PARLA SEMPRE DI PIÙ DELLA CRISI DEL REGIME

Tra gli aggiornamenti più rilevanti dell’ultima settimana di guerra in Myanmar va registrato un cambio di schieramento. La Pa-O National Liberation Organization (PNLO) – una delle organizzazioni armate del gruppo etnico dei Pa-O – è uscita formalmente dagli accordi di pace con la giunta, e i suoi esponenti hanno dichiarato che combatteranno fino al rovesciamento del regime, riporta l’Irrawaddy. La PNLO aveva firmato il cessate il fuoco con l’esercito birmano nel 2015. Ogni settimana il regime continua a uccidere civili mentre perde soldati, basi, armi e munizioni, anche grazie all’avanzamento nel livello di attrezzature a disposizione dei ribelli. L’utilizzo dei droni da parte del Chin National Army (CNA), nello stato Chin, è uno dei punti di forza del gruppo: il report del Guardian.

Sempre più giornali internazionali hanno cominciato a parlare della fragilità della giunta e del suo leader, il generale Min Aung Hlaing. Con tutte le dovute cautele del caso, ci si sta iniziando a immaginare un futuro al di là del regime militare: l’idea è quella di rendere il Myanmar uno stato federale, sistema proposto a più riprese fin dall’indipendenza della Birmania dall’Impero britannico nel 1948. È difficile però credere che alcuni gruppi etnici non avanzeranno con maggior forza istanze indipendentiste. L’articolo di Asia Sentinel, per approfondire. Poi altre storie sul conflitto raccolte dalla BBC e dal South China Morning Post. Il 1° febbraio cade il terzo anniversario dal golpe del 2021.

Intanto, secondo i dati dell’ONU, 569 membri della minoranza dei Rohingya sono morti in mare nel 2023 cercando di scappare dal Myanmar o dai campi profughi in Bangladesh.

ASEAN – DOPO QUASI TRE ANNI, IL MYANMAR MANDA UN SUO RAPPRESENTANTE

Il 28 e 29 gennaio si è tenuta a Luang Prabang, in Laos, la prima riunione annuale tra ministri degli Esteri dell’ASEAN. Come raccontato da Leong Wai Kit, giornalista di CNA, per la prima volta dal golpe la giunta birmana ha mandato dei suoi funzionari a un incontro dell’associazione. L’ASEAN ha accettato solo a condizione che non vi fossero rappresentanti politici della giunta, che infatti ha dovuto inviare una funzionaria burocratica degli Esteri, Malar Than Htike. Secondo gli esponenti del NUG, il governo ombra che combatte il regime di Min Aung Hlaing, il fatto che la giunta abbia accettato una partecipazione non politica all’incontro è una mossa che simboleggia la «disperazione» dell’esercito, disposto a tutto pur di normalizzare i rapporti con l’ASEAN. Tra i maggiori risultati dell’incontro c’è l’istituzione di un corridoio umanitario al confine tra Thailandia e Myanmar.

INDONESIA – VERSO LE ELEZIONI

Domenica 4 febbraio è previsto il quinto e ultimo dibattito tra candidati alla presidenza e vicepresidenza in Indonesia. Quello del 21 gennaio ha fatto più male che bene a Prabowo Subianto, leader nei sondaggi, visto che il suo candidato vice Gibran Rakabuming (figlio del presidente Joko Widodo) è stato accusato di aver tenuto un atteggiamento “arrogante” e “cringe”. La coppia rimane in ogni caso la grande favorita in vista delle elezioni del 14 febbraio, che potrebbero poi essere seguite da un secondo turno a giugno nel caso in cui nessuno dei 3 candidati supererà il 50%. Il lavoro è il tema elettorale più importante per tantissimi giovani indonesiani: l’articolo del Nikkei.

[Delle elezioni in Indonesia parleremo più approfonditamente nelle prossime settimane, anche con un e-book dedicato in uscita dopo il voto]

 

FILIPPINE – MARCOS PROTEGGE DUTERTE, CHE NON RICAMBIA

Il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. ha detto che non coopererà con la Corte Penale Internazionale (CPI) sull’indagine intentata a carico dell’ex presidente Rodrigo Duterte, accusato di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani con le sue violente campagne di contrasto allo spaccio di droga (si parla di 27 mila vittime). Le Filippine non riconoscono la sovranità della corte, che non ha dunque giurisdizione nel paese. Si può dire che Duterte non abbia ricambiato la “cortesia” del suo successore. Il 28 gennaio, durante un discorso a Davao, l’ex presidente ha accusato Marcos di voler emendare la costituzione per rimuovere il limite al numero di mandati presidenziali (nelle Filippine è previsto un solo mandato di 6 anni) e di fare uso di droghe. Marcos l’ha presa sul ridere, riporta Associated Press.

Intanto il 29 gennaio il presidente è volato in Vietnam per una visita di due giorni. Argomento chiave: la cooperazione nel Mar cinese meridionale. Qui i dettagli sui due memorandum firmati da Marcos e dall’omologo vietnamita, Vo Van Thuong.

VIETNAM – I PROBLEMI DI SUCCESSIONE

La salute di Nguyen Phu Trong, segretario generale del Partito Comunista del Vietnam (CPV), continua a far discutere. L’incertezza sulla sua successione è diventata un fattore di rischio significativo, scrive Fulcrum, anche per colpa della centralizzazione del potere attorno alla sua figura. Con Trong è di fatto finito il sistema di leadership collettiva del partito.

TUVALU – CINA O TAIWAN?

Il 26 gennaio si è votato a Tuvalu, piccolo arcipelago del Pacifico, per rinnovare il parlamento di 16 membri che rappresenta gli 11 mila abitanti del paese. Tuvalu è uno degli undici stati al mondo a riconoscere ancora la Repubblica di Cina (Taiwan) e non la Repubblica popolare cinese. Si è parlato di queste elezioni perché il leader pro-Taiwan del paese, Kausea Natano, ha perso il suo seggio. Nelle prossime settimane il parlamento si riunirà per eleggere il nuovo primo ministro, che si ritiene possa spostare il paese verso la Cina continentale. Taiwan per ora si dice tranquilla che non accadrà.

LINK DALL’ALTRA ASIA

In Kirghizistan è stata approvata la seconda bozza della legge che, se emanata, permetterebbe alle autorità di registrare ogni organizzazione con sede all’estero come “rappresentante straniero”. Una legislazione che ricorda quella russa sugli “agenti stranieri”. Qui per avere un po’ di contesto.

In Sri Lanka è passata una legge ambigua sul controllo di internet. Per il governo servirà a reprimere disinformazione e truffe, per i critici potrebbe permettere alle autorità di censurare i dissidenti. Si legge qui.

A cura di Francesco Mattogno