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L’Altra Asia – L’anno del Laos

In Asia Meridionale, Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Come se la sta cavando il Laos in questi primi mesi da presidente dell’ASEAN, vista la sua fama di paese poco avvezzo alla diplomazia. L’Indonesia ha (di nuovo) un nuovo presidente, l’esercito del Myanmar ha riconquistato Myawaddy, in Vietnam i leader politici cadono uno dopo l’altro, il rimpasto di governo in Thailandia (volente o nolente), le amicizie cinesi della Cambogia e le altre storie della settimana. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente (clicca qui per le altre puntate)

C’è stato un momento, la scorsa settimana, nel quale in Laos mancavano contemporaneamente il presidente e il primo ministro. Sembra strano per un paese che ha la fama di essere “land-locked”, cioè “intrappolato dalla terra”, in quanto unico stato del Sud-Est asiatico a non avere sbocco sul mare. Una condizione che, secondo alcune teorie, renderebbe Vientiane per sua natura meno interessata o toccata dalle questioni internazionali.

Il 23 aprile, mentre il presidente Thongloun Sisoulith incontrava a Phnom Penh il premier cambogiano Hun Manet e il re Norodom Sihamoni, il primo ministro Sonexay Siphandone presenziava all’ASEAN Future Forum, organizzato ad Hanoi. Parlando con l’omologo vietnamita Pham Minh Chinh, Siphandone ha rinnovato l’impegno del Laos a rafforzare la cooperazione con il Vietnam in vari settori, dalla difesa al commercio, passando per infrastrutture, energia, turismo. Il tutto mentre Sisoulith dava il suo sostegno al canale Funan Techo che la Cambogia ha intenzione di far partire dal fiume Mekong, con annesse proteste vietnamite (qui per maggiori dettagli).

Si è trattato di un atto di equilibrismo interessante, che dimostra una certa capacità di iniziativa diplomatica da parte laotiana. Negli ultimi mesi Vientiane si è inserita più spesso del solito negli affari regionali e internazionali, complice il suo ruolo da presidente dell’ASEAN. La presidenza dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) è un carica annuale, assegnata a rotazione ai dieci paesi membri del blocco in ordine alfabetico, secondo la lingua inglese. E il 2024 è l’anno del Laos, che presiede l’associazione per la terza volta nella sua storia (dopo il 2004 e il 2016).

Come da tre anni a questa parte, il Laos ha ereditato dal suo predecessore (l’Indonesia) una serie di dossier spinosi lasciati in sospeso. Dalla guerra civile in Myanmar, sulla quale il gruppo non è mai stato in grado di incidere, alle dispute territoriali sul Mar cinese meridionale tra la Cina e cinque paesi ASEAN (Filippine, Malaysia, Vietnam, Brunei e Indonesia, anche se Giacarta ha una posizione ambigua). Questioni a cui si sommano le tensioni tra Pechino e Washington e i conflitti (Ucraina, Gaza) che minacciano di mutare l’ordine internazionale sul quale si è fondata per decenni la crescita economica del Sud-Est asiatico.

Viste le criticità, in questi primi mesi Vientiane ha cercato di promuovere la centralità dell’ASEAN più sul piano economico, che politico. Il Laos è un paese con un enorme debito pubblico (125% del PIL nel 2023) che nell’ultimo biennio ha seriamente rischiato il default, e che per questo sta usando l’associazione come una rampa di lancio per risollevare lo stato delle finanze statali. Non a caso, nella sua agenda da presidente ASEAN il governo laotiano ha deciso di dare priorità a temi come l’integrazione economica tra i paesi del blocco, la digitalizzazione, il turismo e la crescita economica sostenibile.

In tutti gli incontri, dalle ministeriali ai vertici con paesi partner come Australia e Nuova Zelanda, si è parlato di commercio, investimenti e progetti infrastrutturali, senza mai toccare con decisione temi sensibili come la guerra in Myanmar (si è richiesta più volte una generica cessazione delle ostilità) o il Mar cinese meridionale. Quest’ultimo, per esempio, è stato a malapena accennato anche durante l’incontro di inizio aprile tra il ministro degli Esteri laotiano Saleumxay Kommasith e la controparte cinese Wang Yi, nonostante i due si siano parlati durante uno dei momenti di maggiore tensione nell’area tra Cina e Filippine.

Proprio il posizionamento politico del Laos, uno stato autoritario guidato da un partito unico comunista, rappresentava una delle maggiori preoccupazioni riguardo la sua capacità di guidare con successo l’associazione nel corso del 2024. La forte dipendenza economica da Pechino (che detiene metà del debito estero laotiano), a cui si sommano i rapporti ambigui tra il governo del Partito Rivoluzionario del Popolo Lao e la giunta militare birmana, rendevano complicato pensare che il Laos potesse riuscire a incidere davvero sulle principali questioni internazionali laddove paesi molto più influenti hanno fallito, come l’Indonesia.

Nonostante questo, Vientiane non è rimasta del tutto immobile, soprattutto sul fronte birmano. L’inviato speciale ASEAN per il Myanmar nominato dal Laos a inizio anno, Alounkeo Kittikhoun, ha incontrato immediatamente il leader della giunta militare birmana Min Aung Hlaing (senza però riuscire a parlare con gli oppositori del regime), e Naypyitaw ha mandato per la prima volta dal 2021 un proprio rappresentante non politico a un incontro ASEAN. Quest’ultimo punto è positivo perché rappresenta un passo indietro del regime, che aveva sempre preteso di essere rappresentato da un membro del governo, e sarebbe dovuto proprio ai buoni rapporti tra i due paesi.

Resta da capire se nei prossimi mesi il governo laotiano potrà – e vorrà – fare di più (il 27 aprile la Thailandia ha chiesto all’ASEAN maggiore incisività nella risoluzione del conflitto birmano). Il Laos ha un corpo diplomatico ancora piuttosto fragile, in grado di trattare soprattutto con gli stati di confine e senza esperienza nella gestione dei grandi dossier della politica mondiale. Sui media internazionali di Laos si parla poco, complice la retorica auto-avverante del paese “land-locked”, e questo rende più facile a Vientiane governare in modo repressivo, sfuggendo alle potenziali pressioni della comunità internazionale su libertà personali e diritti civili.

Non è detto che al Laos – costretto a fronteggiare debito, inflazione (25% a marzo) e svalutazione del kip, e dunque preoccupato da eventuali proteste interne – non vada bene così. Il coinvolgimento diplomatico di Vientiane negli affari regionali potrebbe durare giusto il tempo di passare la presidenza dell’ASEAN alla Malaysia, nel 2025.

INDONESIA – PRENDE FORMA IL FUTURO GOVERNO PRABOWO

Prabowo Subianto è ufficialmente il presidente eletto dell’Indonesia. Non è un déjà-vu, anche se si tratta della stessa notizia di un mese fa (che abbiamo dato anche qui). Come anticipato nella puntata della scorsa settimana, i due candidati sconfitti alle elezioni presidenziali, Anies Baswedan e Ganjar Pranowo, avevano presentato ricorso alla corte costituzionale contro il risultato del voto, che ritenevano viziato dalle interferenze del presidente uscente Joko Widodo, accusato di aver usato le istituzioni per favorire la candidatura del suo ministro della Difesa. La corte ha respinto le petizioni, ma non all’unanimità: 5 favorevoli, 3 contrari. La decisione del tribunale, che non prevede appello, certifica definitivamente la vittoria dell’ex generale (qui un suo profilo).

Sono dunque entrate nel vivo le trattative per la formazione della nuova coalizione di governo. Nonostante la netta vittoria alle presidenziali, i partiti che sostenevano Prabowo sono riusciti a raccogliere solo il 43% dei seggi in parlamento. L’attuale ministro della Difesa ha iniziato fin da subito le trattative per allargare la coalizione, che oggi comprende anche due dei tre partiti che sostenevano Anies, ovvero il Partito del Risveglio Nazionale (PKB) e il NasDem. Questo cambio di “casacca” può sembrare inatteso, ma non lo è (lo scrivevamo qui in tempi non sospetti). Come è successo durante il secondo mandato di Jokowi, sembra che anche Prabowo governerà quasi senza opposizione, di cui per ora fanno parte solo il Partito Democratico Indonesiano di Lotta (PDI-P) di Ganjar e altre forze politiche minori.

Il PDI-P era il partito di Jokowi e di suo figlio Gibran Rakabuming Raka, che si è candidato come vicepresidente di Prabowo. “Era” perché è stato confermato che i due non ne fanno più parte fin dal momento in cui hanno deciso di sostenere l’ex generale e non Ganjar: fino a poche settimane fa non era così chiaro. Ora ci si chiede cosa farà Jokowi. Secondo il Jakarta Post, il presidente uscente (che non può più ricandidarsi a capo di stato) proverà a prendere controllo del Golkar, il partito che fu dell’ex dittatore Suharto e che fa parte della coalizione a sostegno di Prabowo. La mossa servirebbe a controbilanciare l’influenza dello stesso presidente eletto allo scopo di mantenere un ruolo di spicco all’interno del panorama politico indonesiano. Dei possibili scontri tra Jokowi e Prabowo, ex avversari che si sono uniti in un “matrimonio” di convenienza, si parla da tempo.

MYANMAR – L’ESERCITO RIPRENDE MYAWADDY (GRAZIE AL KNA)

Dopo quasi due settimane in cui la città era rimasta nelle mani dei ribelli della Karen National Union (KNU) e delle People’s Defence Forces (PDF), l’esercito birmano è riuscito a riconquistare Myawaddy, al confine con la Thailandia. Come scrivevamo la scorsa settimana, Myawaddy è un centro di commercio transfrontaliero cruciale e il regime ha dispiegato tante risorse (tra cui almeno mille soldati) per provare a riprenderselo, infine riuscendoci. Secondo la KNU, però, non ce l’avrebbe fatta senza il supporto del Karen National Army (KNA).

Il KNA è il nuovo nome delle Guardie di Frontiera Karen, milizia etnica Karen che a gennaio, dopo anni in cui era rimasta fedele al regime, si era dichiarata neutrale e aveva iniziato a collaborare con le forze di resistenza. Il nuovo cambio di schieramento, che non sarebbe una novità vista la storia del gruppo, avrebbe scoperto totalmente Myawaddy, la cui difesa era stata affidata proprio al KNA. Prese in contropiede, KNU e PDF hanno deciso di ritirarsi dalla città in via «temporanea», fanno sapere i ribelli. Che quindi potrebbero avere già in mente un nuovo attacco. Intanto si contano almeno 7 morti e 30 feriti civili, dovuti principalmente ai bombardamenti ordinati dalla giunta sulla città, dove sono tornate tutte le tremila persone che si erano rifugiate a Mae Sot, in Thailandia, attraversando il fiume Moei che divide i due paesi.

L’esercito birmano è riuscito a riprendersi anche Homalin, una città strategica per l’estrazione di oro nella regione del Sagaing, e il villaggio di Kawbein nello Stato Mon. Il fatto che il regime organizzi delle controffensive per riconquistare villaggi e città cadute nelle mani dei ribelli non è un fatto anomalo, e non significa per ora che l’inerzia del conflitto stia tornando a girare in favore dell’esercito. Comunque, la ripresa di Myawaddy fa notizia perché era stata la conquista più importante da parte delle forze di resistenza al regime in oltre tre anni di guerra civile.

Altre notizie in breve. Secondo i ribelli, a Papun (riconquistata il 23 aprile dalla KNU) il regime avrebbe usato delle bombe a grappolo. Sempre la KNU ha accusato la giunta di aver impiegato armi chimiche a Kawkareik, nello Stato Mon. Si è dimesso il vicepresidente Henry Van Thio, ufficialmente per motivi di salute: era stato eletto con la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), poi era rimasto al suo posto anche sotto il governo militare. La NLD lo aveva espulso nel 2023, ritenendolo un collaborazionista. Ancora non si sa che fine abbia fatto il numero due del regime, Soe Win. Oltre all’ipotesi che sia stato ferito, si dice che potrebbe essere stato epurato dal leader della giunta, Min Aung Hlaing. Il 25 aprile il ministro degli Interni Yar Pyae ha incontrato a Pechino Wang Xiaohong, ministro della Sicurezza Pubblica cinese. La Cina è ansiosa di garantire un certo grado di sicurezza ai propri confini, anche per quanto riguarda il contrasto all’industria delle truffe birmana (le cosiddette “scam cities”) .

VIETNAM – FUORI UN ALTRO

Le voci che riportavano del probabile coinvolgimento nella campagna anti-corruzione anche del presidente dell’Assemblea Nazionale vietnamita, Vuong Dinh Hue, non sbagliavano (ne avevamo scritto qui). Il 26 aprile Hue si è dimesso dal suo incarico dopo aver «violato i regolamenti del partito», hanno scritto i media di stato. È il gergo ufficiale utilizzato per dichiarare che un leader politico è indagato per corruzione, e sono le stesse parole usate per spiegare le dimissioni del presidente Vo Van Thoung, arrivate il mese scorso. La caduta di Hue era sembrata inevitabile dopo che il 21 aprile la polizia aveva arrestato un suo assistente, Pham Thai Ha, accusandolo di «abuso di potere per trarne dei vantaggi personali» in relazione all’indagine che riguarda l’azienda immobiliare Thuan An Group.

Hue è dunque il secondo componente del gruppo dei “quattro pilastri” (segretario generale del CPV, presidente della repubblica, primo ministro e presidente dell’Assemblea Nazionale) a dimettersi in poco più di un mese, il terzo considerando che lo scorso anno anche il predecessore di Thuong, Nguyen Xuan Phuc, era stato costretto a rinunciare alla presidenza. Proprio il 26 aprile Hue si è recato insieme ad altri leader del partito a visitare il mausoleo di Ho Chi Minh, ad Hanoi, per commemorare il 49° anniversario dalla fine della guerra del Vietnam. Secondo Michael Tatarski di Vietnam Weekly, questo significa che l’ex presidente dell’Assemblea Nazionale sarà al sicuro dall’arresto o da ulteriori complicazioni ancora per un po’.

Con la defezione di Hue il politburo del Partito Comunista del Vietnam (CPV) si riduce a 13 membri: un anno e mezzo fa, prima che la campagna anti-corruzione iniziasse a colpire i leader del partito, ne contava 18. Secondo il Nikkei, a essere rimasti sono i quadri con le più basse qualifiche economico-finanziarie (lo stesso Hue ha un dottorato in economia) e più scettici nei confronti del libero mercato. Non è un buon segno, visti i problemi economici di Hanoi. E intanto il segretario generale del CPV, Nguyen Phu Trong, non si vede in giro da quasi un mese. Trong (che ha compiuto 80 anni il 14 aprile) ha noti problemi di salute, e con tutta probabilità verrà sostituito al prossimo congresso, nel 2026. Degli intrighi di palazzo in Vietnam avevamo parlato più approfonditamente qui.

Intanto l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, ha visitato Hanoi (oltre a Indonesia e Singapore) e promesso nuovi investimenti nel paese. Long An è la terza provincia che si trova nel delta del Mekong ad aver dichiarato lo stato d’emergenza a causa della siccità e della salinizzazione delle acque del fiume, diventate inutilizzabili per uso domestico.

THAILANDIA – IL RIMPASTO TANTO ATTESO

Dopo settimane di speculazioni, il 28 aprile sono stati ufficializzati alcuni cambiamenti all’interno del governo thailandese a soli sette mesi dall’insediamento dell’esecutivo. Tra gli altri, il premier Srettha Thavisin ha rinunciato al suo ruolo da ministro delle Finanze. Ad aver fatto davvero notizia sono state però le dimissioni del ministro degli Esteri, Parnpree Bahiddha-Nukara, che ha scelto di rinunciare al suo incarico dopo aver appreso di essere stato rimosso dal ruolo di vicepremier. Si tratta di una scelta inaspettata anche perché in questi giorni Parnpree era stato nominato a capo della commissione speciale sul Myanmar, visti gli scontri a Myawaddy. Proprio sulla questione birmana l’ormai ex ministro si era mostrato molto attivo nelle ultime settimane.

CAMBOGIA – AMICI CINESI

Il resoconto della visita in Cambogia del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, qui. I rapporti tra Phnom Penh e Pechino sono tra i più stretti nella regione. Nonostante i due paesi abbiano sempre smentito che la base navale di Ream sia stata concessa parzialmente alle forze armate della Repubblica popolare, alcune immagini satellitari del CSIS mostrano che diverse navi della marina cinese si trovano ancorate alla costa cambogiana da almeno cinque mesi: un periodo un po’ troppo lungo per una semplice visita o per essere giustificato come parte di un’esercitazione militare congiunta.

LINK DALL’ALTRA ASIA

Perché il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha visitato il Pakistan. In breve, per rafforzare le relazioni economiche tra i due paesi, collaborare sull’anti-terrorismo e ripristinare l’immagine dell’Iran agli occhi dei pakistani dopo i bombardamenti dello scorso gennaio.

A Singapore l’amministratore di una pagina social di discreto successo, Wake Up Singapore, è stato incriminato per aver pubblicato una notizia che poi si è rivelata essere falsa. Una volta scoperto di aver commesso un errore l’admin aveva subito ritrattato, ma potrebbe non bastare: ora rischia due anni di carcere per diffamazione. Ci si chiede quanto questa indagine sia collegata al fatto che Wake Up Singapore sia una pagina critica nei confronti del governo. Il 29 aprile, intanto, il primo ministro uscente Lee Hsien Loong ha incontrato il presidente indonesiano Joko Widodo. Potrebbe essere stato il suo ultimo bilaterale da premier con un leader straniero. Il 15 maggio Lee lascierà il posto a Lawrence Wong (qui per maggiori dettagli).

Nelle Isole Salomone il primo ministro uscente, Manasseh Sogavare, sostiene di avere la maggioranza per formare un nuovo governo. Alle elezioni del 17 aprile il suo partito ha ottenuto 15 seggi sui 50 totali del parlamento, ma a Honiara pesa molto il ruolo dei candidati indipendenti: in questa tornata elettorale ne sono stati eletti 10.

Si è conclusa il 28 aprile la visita di sei giorni in Thailandia della prima ministra del Bangladesh, Sheikh Hasina. Oltre a cinque memorandum of understanding su commercio, turismo e investimenti, lei e l’omologo Srettha Thavisin hanno firmato una lettera d’intenti per impegnarsi a iniziare le trattative per un accordo di libero scambio tra i due paesi.

I colloqui per la ristrutturazione del debito dello Sri Lanka non stanno andando benissimo. Della situazione economica di Colombo a due anni dal default ne avevamo parlato qui.

A cura di Francesco Mattogno