Taiwan Files – Salta l’annuncio del candidato unitario dell’opposizione. Gli scenari

In Asia Orientale, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Sabato 18 novembre doveva essere il giorno dell’annuncio del candidato unitario dell’opposizione dialogante con Pechino per le presidenziali di gennaio. L’annuncio non è mai arrivato, perché il Taiwan People’s Party di Ko Wen-je non ha accettato il “margine d’errore” dei sondaggi d’opinione inizialmente concordato con il Guomindang. C’è tempo fin a venerdì 24 per depositare le candidature, ma ricucire appare complicato. Il Dpp sorride e aspetta, senza accordo Lai Ching-te è strafavorito. Incognita sul terzo (quarto?) incomodo Gou Taiming. Appendice sul summit Biden-Xi visto da Taiwan. Puntata speciale della rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

“Da qui a venerdì prossimo alle 17 possono succedere ancora diverse cose”. Lo dice Ko Wen-je, poco dopo aver disconosciuto l’accordo sottoscritto col Guomindang (Gmd) per una candidatura unitaria dei due principali partiti d’opposizione alle cruciali elezioni presidenziali del prossimo 13 gennaio. Ed effettivamente in sei giorni possono succedere ancora molte cose, dopo che in meno di tre è stato annunciato in pompa magna uno “storico accordo” di coalizione poi apparentemente naufragato.

Andiamo per ordine. Mercoledì 15 novembre, come raccontato su Taiwan Files, Gmd e Taiwan People’s Party (Tpp) si erano accordati dopo mesi di indiscrezioni e trattative per un’alleanza inedita nello scenario politico taiwanese. Qui sotto il documento dell’accordo.

La Fondazione dell’ex presidente Ma Ying-jeou, che ha ospitato e officiato l’accordo, avrebbe dovuto annunciare il candidato presidente e il candidato vicepresidente sabato 18 novembre alle 10 del mattino. Non è accaduto. Dopo una notte insonne di trattative tra i tre esperti di sondaggi indicati dai due partiti e dallo stesso Ma, non c’è stata intesa sull’interpretazione dei dati. E poco prima delle 10,20 la fondazione di Ma Ying-Jeou ha pubblicato una comunicazione firmata solo in modo parziale, senza un accordo ufficiale. Qui sotto il documento.

Che cosa è successo nel frattempo? Già nelle ore immediatamente dopo l’accordo, i comportamenti di Ko sono finiti sotto il microscopio. La prima uscita pubblica è stata in un incontro con studenti universitari. “In passato ha detto di non odiare niente più che gli scarafaggi, le zanzare e il Guomindang. Oggi ha scelto di collaborare col Guomindang. Cosa è cambiato?”, gli ha chiesto un ragazzo dal pubblico. “Odio il Minjindang ancora di più”, ha risposto lui. Cioè il Partito progressista democratico (Dpp) al potere dal 2016. Fin lì la vittoria del Dpp appariva scontata con l’attuale vicepresidente Lai Ching-te. Il nome più inviso a Xi Jinping, ancor più della leader uscente Tsai Ing-wen.

Anche l’opposizione rifiuta il modello “un paese, due sistemi” di Hong Kong, ma ha una posizione ben più dialogante con Pechino, a cui garantisce il non perseguimento dell’indipendenza formale e il non superamento (grazie al rispetto del consenso del 1992 secondo cui esiste una sola Cina, pur senza stabilire quale nella versione raccontata dal Gmd) della cornice della Repubblica di Cina con cui Taipei è indipendente de facto. Sui media, intanto, non si parlava d’altro della ritrosia con cui Ko ha unito la mano a quelle di Ma, Hou Yu-ih (il candidato del Gmd) ed Eric Chu, presidente del principale partito d’opposizione che fu di Chiang Kai-shek. Nonché del pianto della sua portavoce, Vicky Chen, evidentemente insoddisfatta per un accordo che non rispondeva a tutte le richieste del Tpp.

In pochi pensavano che Ko avrebbe ceduto al pressing: l’ex sindaco di Taipei si propone da sempre come un’alternativa alla storica polarizzazione politico-identitaria Gmd-Dpp. Una proposta pragmatica e non ideologica che ha sin qui convinto ampia parte dell’elettorato giovane, in cerca di cambiamento dopo la delusione su politiche economiche e sociali. “Ho deciso di accettare perché non voglio scommettere sulla sicurezza di Taiwan”, ha spiegato Ko in un talk show. Ma tra giovedì e venerdì ci sono stati i primi segnali che l’accordo era piuttosto fragile.

I due partiti si sono ancora scontrati sulle modalità di conduzione dei sondaggi. Il Tpp preferiva un sondaggio mobile, in quanto avrebbe portato a un campione più giovane, favorendo così la base elettorale più giovane di Ko. Al contrario, il Gmd voleva un sondaggio sia sul partito preferito dall’elettore che sul candidato preferito per determinare la scelta, dato che la base partitica del Gmd è ancora molto più ampia di quella del Tpp, come dimostra la netta vittoria alle elezioni locali del novembre 2022.

Venerdì è emerso piuttosto chiaramente come le modalità individuate (frutto di un compromesso) avrebbero favorito Hou, nonostante all’inizio si riteneva che un ipotetico accordo avrebbe premiato Ko, apprezzato da una discreta parte dell’elettorato giovane e in grado di attrarre elettori “centristi”. La scelta di Hou, invece, avrebbe rischiato di far perdere diversi elettori di Ko. Peraltro, in caso di vittoria di “coalizione” il Gmd avrebbe maggiori capacità di influenzare Ko che non viceversa. Non a caso da fonti del Dpp appare chiaro come il ticket più temuto sarebbe quello guidato da Ko con Hou candidato vicepresidente. C’è comunque da sottolineare che per tutti i sondaggi (per quanto possano valere) un candidato unitario dell’opposizione sarebbe favorito contro il Dpp di Lai, seppur con un margine più ridotto con Hou alla guida del ticket.

Venerdì pomeriggio, l’ufficio di Ko ha chiesto al Gmd e all’ufficio di Hou di caricare i resoconti dei sondaggi, corredati dai dati grezzi, per una revisione reciproca entro le 18 del giorno stesso, in anticipo al previsto. Ciò non è accaduto.

E si entra nella controversa cronaca di una giornata alle quali la politica taiwanese ha abituato anche in passato. In base all’accordo, Hou riceveva un “punto” in ogni sondaggio in cui un’accoppiata Hou/Ko superava un’accoppiata Ko/Hou o era in svantaggio rispetto a un’accoppiata Ko/Hou per meno del margine di errore del 3%. Il Gmd aveva inizialmente proposto di esaminare un totale di nove sondaggi, ma in seguito ha accettato di eliminarne tre che favorivano tutti l’accoppiata Hou/Ko. Uno di questi era un sondaggio tramite messaggi di testo, mentre gli altri due erano sondaggi sulla sola rete fissa, che secondo il Tpp non sono accurati perché escludono gli utenti di telefonia mobile, che in genere sono più giovani e più propensi a sostenere Ko. Dei sei sondaggi presi in considerazione, le due parti si sono scontrate su due sondaggi condotti dalla testata giornalistica online CNews e sul sondaggio interno del Tpp. Secondo il Gmd, il risultato finale era di 5 a 1 a favore di Hou. Secondo il Tpp, si è trattato invece di un pareggio 3 a 3.

Dopo il mancato annuncio ufficiale del ticket, ha parlato per primo Ko, contestando il margine d’errore troppo ampio su cui lui stesso si era accordato, definendolo del 6%. “Vi pare giusto?”, ha chiesto: “Si tratta di una coercizione”. Per poi passare alla parte forse più preoccupante (per gli elettori) del suo discorso, dicendo di essersi sentito preso “alla sprovvista” durante i colloqui di mercoledì e sostanzialmente di aver ripetuto più volte “sì” a Gmd e Ma perché si sentiva sotto pressione. “La prossima volta andrò a parlare non da solo”, ha aggiunto. Come hanno notato in molti, non proprio un racconto edificante per le sue possibilità di presidenza. Un leader politico deve d’altronde essere in grado di trattare, negoziare e non cedere sotto pressione. C’è chi ha sottolineato: “Vi immaginate se nel 2015 a Singapore ci fosse stato Ko?” alludendo allo storico incontro tra l’allora presidente Ma e Xi Jinping.

Il futuro politico di Taiwan – e forse la pace globale e la prevenzione della Terza Guerra Mondiale – dipende ora dalla corretta comprensione del concetto di margine di errore statistico. Questo è il sogno di ogni accademico testa d’uovo che diventa realtà”, ha scritto su X con una dose di ironia dark Wen Ti-sung dell’Australian National University.

Rimane “imperativo” che l’opposizione lavori per un ticket comune per sconfiggere il Dpp ha dichiarato comunque Ko, non chiudendo dunque alla possibilità di un nuovo accordo col Gmd. Aggiungendo che l’opinione pubblica nutre “grandi speranze” per un cambio di governo dopo otto anni di governo del Dpp, aggiungendo che i negoziati di partito tra il Tpp e il Gmd dovrebbero riprendere “quanto prima tanto meglio”. Ko, tuttavia, ha eluso la domanda sul modo in cui le due parti potessero ancora negoziare un nuovo accordo dicendo solo che “tutto è possibile entro le 17 del 24 novembre”.

Ha anche chiesto di coinvolgere nei colloqui “Terry” Gou Taiming, il patron del colosso dell’elettronica Foxconn, principale fornitore di iPhone per Apple. Un paio di settimane fa la Cina ha annunciato indagini a carico dell’azienda che hanno colpito (volutamente o no) la sua campagna elettorale basata sulla capacità di fare affari sia con la Repubblica Popolare Cinese sia con gli Usa. Gou è molto lontano da tutti gli altri candidati nei sondaggi, la sensazione in questo caso è che Ko abbia provato ad alzare la sua leva negoziale alludendo a un possibile accordo col terzo (quarto?) incomodo nei giorni a venire che potrebbe portargli in dote qualche punto percentuale.

Dopo Ko ha parlato anche il Gmd, attraverso il suo leader Chu, che ha respinto le accuse sul metodo lanciate da Ko. “Nell’incontro di mercoledì ho parlato specificamente a Ko del margine di errore nei sondaggi… e lui ha accettato di cedere quando c’era un margine di errore del 3%”, ha detto Chu. Ma i margini di errore in un sondaggio di 1.086 intervistati si attestavano al 3% in più e in meno, ha detto Chu. “Questo è il modo in cui viene calcolato… Ma sembra che il presidente Ko volesse un margine di errore dell’1,5 percento in più e in meno, invece del 3 percento che aveva concordato in precedenza”. Qui sotto i dati condivisi da Chu.

Anche Chu ha dichiarato che il suo partito rimane impegnato a formare un ticket presidenziale congiunto con il Tpp. Ma la sensazione è che il Gmd ritenga che sostanzialmente non ci sia più nulla da negoziare e che per presentarsi con una candidatura unitaria Ko debba accettare l’accordo preso mercoledì scorso e dunque il risultato a favore di Hou. Il portavoce dell’ufficio elettorale del sindaco di Nuova Taipei ha peraltro sottolineato alcune concessioni che il Gmd avrebbe già fatto al Tpp, come la rinuncia al confronto dei punti di forza dei due partiti. E sostiene di aver messo a disposizione di Ko anche altre modalità di individuazione del candidato, come le primarie aperte.

Difficile capire come la frattura possa essere ricomposta, fermo restando che l’incidente rappresenta già un duro colpo soprattutto per la credibilità di Ko, che prima ha accettato un accordo forse penalizzante ma poi ne è uscito in modo discutibile, soprattutto nelle spiegazioni fornite. Allo stesso modo, il Gmd sa che senza accordo la vittoria sarebbe con ogni probabilità un miraggio. Mentre Chu ha annunciato Han Kuo-yu come capolista alle elezioni legislative (l’ex sindaco populista di Kaohsiung ed sfidante di Tsai alle elezioni del 2020, ancora molto apprezzato dalla base più radicale degli elettori del Gmd), il Tpp ha rinviato qualsiasi annuncio per dare più tempo a una eventuale ripresa dei colloqui.

Il Dpp, come già detto giorni fa, annuncerà lunedì Hsiao Bi-khim, rappresentante di Taipei negli Usa, candidata vicepresidente. Mossa dall’alto valore simbolico, visto che al contrario dei leader attuali è inserita nella blacklist di quelli che Pechino definisce “secessionisti“. La campagna di Lai sembra essersi poggiata sulla speranza che l’opposizione resti frammentata, ma in caso di accordo il Dpp sarebbe in seria difficoltà. A dimostrazione del fatto che la maggioranza dei taiwanesi non ha più l’entusiasmo di un tempo per il partito di maggioranza, che in ogni caso dovrebbe perdere la guida dello yuan legislativo (il parlamento taiwanese), con davanti 4 anni di governo (almeno in parte) azzoppato.

La finestra di tempo utile a depositare le candidature si apre lunedì 20 novembre e si chiude venerdì 24 novembre alle ore 17. Ancora qualche giorno e la risposta ai dubbi sarà definitiva e sarà possibile avere un quadro più chiaro delle forze in campo.

Il summit Biden-Xi visto da Taiwan

Le elezioni taiwanesi sono entrate anche nel summit Biden-Xi di San Francisco (qui il bilancio), quando il presidente degli Usa ha chiesto a quello cinese di non interferire sul voto. Ko Wen-je ha peraltro rivelato al programma tv “News Face to Face” che, in merito all’alleanza bianco-blu, l’American Institute in Taiwan (AIT) lo aveva chiamato per chiedergli se ci fosse stato un intervento del Partito Comunista Cinese.

Taiwan resta il nodo più critico delle relazioni tra Usa e Cina. Sul tema si registra però un rilevante cambio di tono di Xi rispetto ai colloqui precedenti. Meno retorica (sparito il “chi di fuoco ferisce, di fuoco perisce”), ma richieste più concrete: stop all’invio di armi e supporto alla “riunificazione pacifica”. Una nota significativamente diversa rispetto alla tradizionale richiesta di “opposizione all’indipendenza” taiwanese. Biden si è fermato alla garanzia di non supporto all’indipendenza di Taipei e ha chiesto a Xi di limitare le azioni militari sullo Stretto. La sensazione è che Xi, convinto che la postura Usa sia cambiata su Taiwan negli ultimi anni, stia cercando di ottenere rassicurazioni persino più chiare rispetto a quelle tradizionalmente garantite dall'”ambiguità strategica” in cui gli tradizionalmente si oppongono a qualsiasi azione unilaterale (attacco militare di Pechino ma anche dichiarazione di indipendenza formale di Taipei).
Allo stesso modo avrebbe provato a dare rassicurazioni a sua volta. Le agenzie riportano che secondo fonti dell’amministrazione americana Xi avrebbe detto a Biden che “non ci sono piani di azioni militari su Taiwan negli anni a venire”. Biden è rimasto invece in linea col passato, anche se il comunicato statunitense è molto più stringato di quello dell’incontro di Bali sulle critiche alle manovre militari sullo Stretto. Segnale, secondo qualcuno, che si potrebbe tornare alla situazione pre Pelosi, in riferimento alla visita nell’agosto 2022 dell’allora presidente del Congresso americano a Taipei.
A San Francisco, Taiwan era rappresentata da Morris Chang. Il fondatore del colosso dei microchip Tsmc ha definito “positivo per la stabilità” il colloquio tra Biden e Xi. Lui non ha incontrato in bilaterale nessuno dei due, al contrario di quanto avvenuto nel 2022 a Bangkok col presidente cinese. Chang ha invece incontrato la vicepresidente Kamala Harris, ricordando poi che per gli Usa è impossibile portarsi in casa l’ecosistema produttivo di Tsmc nel breve medio termine. In passato, aveva definito “esercizio futile” il tentativo di Washington di raggiungere un’autosufficienza produttiva nel settore dei semiconduttori.

Di Lorenzo Lamperti

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