Pacifico Isole Salomone

Il “grande gioco” di Guadalcanal

In Relazioni Internazionali by Francesco Mattogno

Dall’epica battaglia iniziata ottantuno anni fa ai Giochi del Pacifico. La geografia non cambia: Guadalcanal (e quindi l’arcipelago delle Isole Salomone) resta uno dei siti più strategici del Pacifico. Ora Stati Uniti e alleati temono che la Cina sia interessata a farne un proprio avamposto. Questo articolo fa parte dell’e-book “Sport e Asia”: clicca qui per sapere come ricevere i nostri approfondimenti tematici

Ottantuno anni fa a Guadalcanal si combatteva una delle battaglie più importanti di tutta la seconda guerra mondiale. Era l’anno della svolta, il 1942. In Europa, sul fronte orientale della guerra, l’avanzata delle forze dell’Asse si interrompeva a Stalingrado, mentre gli Alleati iniziavano a prendersi uno dopo l’altro i territori conquistati dall’Impero giapponese nel Pacifico. La vittoria alleata a Guadalcanal, raggiunta definitivamente il 9 febbraio 1943, fu cruciale per impedire a Tokyo terminare la costruzione di un aeroporto internazionale che avrebbe reso molto più complicati i collegamenti tra gli Stati Uniti e l’Asia-Pacifico. E dunque la liberazione del continente. 

Ottantuno anni dopo, Guadalcanal – l’isola nella quale ha sede la capitale delle Isole Salomone, Honiara – si appresta a ospitare i diciassettesimi Giochi del Pacifico. Una competizione in stile olimpico tra i 24 paesi della regione, in programma dal 19 novembre al 2 dicembre. L’aeroporto esiste ancora, ultimato e recentemente ampliato per larghissima parte proprio grazie a fondi giapponesi

Le Isole Salomone sono uno dei paesi più poveri del Pacifico e hanno un’economia che dipende moltissimo dagli aiuti finanziari forniti dai paesi “amici”, come Australia e Nuova Zelanda. Solo nel 2021-22 Canberra ha donato a Honiara oltre 160 milioni di dollari da investire in strade, porti, energia rinnovabile e lotta al cambiamento climatico. Si tratta di una cifra che fino a qualche anno fa non avrebbe avuto rivali sul piano della “generosità” nei confronti dell’arcipelago. Poi è arrivata la Cina.

La svolta del 2019

Tra i pochi paesi che ancora riconoscevano Taiwan all’inizio del ventunesimo secolo c’erano anche le Isole Salomone. I rapporti diplomatici tra Honiara e Taipei sono durati trentasei anni, dal 1983 al settembre 2019, quando il premier Manasseh Sogavare ha deciso di recidere il legame e riconoscere la Repubblica popolare cinese come “unica Cina”. Neanche un mese più tardi il premier si è recato a Pechino per firmare una serie di accordi di sviluppo, tra cui l’ingresso nella Belt and Road Iniziative (Bri), suggellando così un rapporto commerciale e di investimenti che già da anni aveva superato in valore monetario quello con Taiwan. 

La Cina è infatti il primo partner commerciale delle Isole Salomone fin dal 2014. I finanziamenti statali e l’attività delle aziende cinesi nell’arcipelago hanno posto le basi per il riconoscimento diplomatico di Pechino, che da allora non si è più fermata. Nel 2022 la Exim Bank of China ha finanziato con un prestito da 66 milioni di dollari la costruzione di 161 torri per le telecomunicazioni, affidate a Huawei, mentre l’azienda statale cinese China Civil Engineering Construction Company (CCECC) si è aggiudicata il progetto per la riqualificazione del porto di Honiara all’interno un piano da 170 milioni di dollari, prestati dall’Asian Develompent Bank, che comprende anche il rifacimento di moli e strade. L’azienda ha inoltre costruito a Honiara lo stadio nazionale delle Isole Salomone, pensato appositamente per i Giochi del Pacifico e completato ad agosto dopo due anni di lavori. 

Si tratta di un impianto da 10 mila posti costato circa 70 milioni di dollari, in questo caso donati dalla Cina. Oltre allo stadio, Pechino ha contribuito alla preparazione dei Giochi costruendo un centro per gli sport acquatici, sei campi da tennis, uno da hockey, una sala polivalente, uffici, e accogliendo nella provincia del Sichuan 80 atleti delle Isole Salomone da allenare in vista della competizione. Di fatto, la Repubblica popolare ha coperto da sola quasi la metà del costo dell’evento, investendo 220 milioni di dollari. Un terzo del totale lo ha messo direttamente Honiara, mentre la restante parte è stata sostenuta dai finanziamenti di altri paesi come Australia, Giappone, Indonesia, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Canberra, che dopo Pechino ha contribuito più di tutti, per i Giochi ha speso “solamente” 17 milioni.

Dalle infrastrutture all’accordo di sicurezza

Eppure quella australiana non è stata una donazione da poco se paragonata ad altre. Per esempio, Canberra ha mandato molto meno in Pakistan (10 milioni) a seguito delle devastanti inondazioni del 2022. Oltre che per ragioni geografiche, l’attenzione australiana per i Giochi del Pacifico e le Isole Salomone si lega alla preoccupazione occidentale per la sempre più forte influenza di Pechino su Honiara. Dopo anni in cui gli storici partner delle Isole Salomone hanno ridotto la quota di aiuti destinati al paese, anche a causa delle conseguenze economiche della pandemia, gli Stati Uniti e i loro alleati sono tornati a occuparsi con urgenza della regione a seguito dell’accordo di sicurezza firmato nei primi mesi del 2022 tra l’arcipelago e la Repubblica popolare.

L’accordo prevede, tra le altre cose, la possibilità per la polizia o i militari cinesi di intervenire sul territorio delle Isole Salomone su richiesta del governo. C’è poi chi sostiene che la Cina abbia ricevuto il consenso per istituire una base militare nel paese, ipotesi che Pechino e Honiara hanno smentito. In risposta all’accordo, gli Stati Uniti hanno riaperto a febbraio la propria ambasciata nella capitale dell’arcipelago (chiusa dal 1993) e a settembre dello scorso anno hanno riunito i leader del Pacifico per un summit a Washington. Una seconda edizione del vertice si è tenuta anche questo settembre, questa volta senza la presenza di Sogavare.

Le Isole Salomone hanno accordi di sicurezza anche con Australia, Nuova Zelanda e Papua Nuova Guinea, ma fino all’anno scorso questi Stati si ritenevano dei partner di sicurezza “esclusivi” dell’arcipelago. Sogavare gli ha ricordato che le cose non stanno così, e a luglio di quest’anno il premier è tornato in Cina per una visita ufficiale dal duplice significato. Se da un lato Sogavare e la sua delegazione hanno visitato le provincie del Jiangsu e del Guangdong allo scopo di esplorare nuove opportunità commerciali per il paese, dall’altro il primo ministro è andato a Pechino per inaugurare l’ambasciata delle Isole Salomone ed elevare la relazione con la Cina al rango di partenariato strategico globale, finalizzato dopo i bilaterali con il presidente Xi Jinping e il premier Li Qiang.

Nel comunicato congiunto, dal marcato significato politico, Honiara dichiara di sostenere l’idea cinese di ordine internazionale e fornisce appoggio a Pechino anche su una serie di questioni interne (come Tibet, Hong Kong e Xinjiang). In più, Sogavare è tornato in patria con altri nove accordi, tra cui un nuovo trattato che prevede l’estensione della presenza della polizia cinese nel paese fino al 2025. 

L’opposizione alla Cina

Gli agenti di Pechino faranno parte di una sorta di “contingente internazionale” per garantire la sicurezza dei Giochi del Pacifico (per cui si prevede l’arrivo di 5 mila atleti e un aumento sostanzioso di turisti rispetto alla norma, per un indotto aggiuntivo di circa 40 milioni di dollari). Insieme alla polizia cinese, infatti, dal 2021 sono presenti nelle Isole Salomone le forze di sicurezza di Australia, Nuova Zelanda e Papua Nuova Guinea, richieste da Sogavare per aiutare la polizia locale nel sedare le violente proteste del novembre di quell’anno. Le manifestazioni anti-governative scoppiarono in parte anche per la decisione del premier di riconoscere la Cina al posto di Taiwan, tanto che la Chinatown di Honiara venne data alle fiamme.

Oggi come allora, la Cina viene vista da molti residenti come un paese solamente interessato a sfruttare le risorse naturali delle Isole Salomone (in particolare il legno). E gli immigrati cinesi sono accusati di appropriarsi di gran parte delle principali attività commerciali del paese. Anche la costruzione dello stadio per i Giochi del Pacifico ha generato polemiche, tra salari degli operai più bassi di quelli promessi e scarse misure di sicurezza sul lavoro. 

Chi si è opposto maggiormente all’instaurazione dei legami con la Cina è stato l’ormai ex premier di Malaita (l’isola più popolosa delle Salomone) Daniel Suidani, rimosso a febbraio da un voto di sfiducia voluto dai membri pro-Pechino dell’assemblea provinciale. Suidani aveva rifiutato ogni investimento cinese nell’isola e, secondo i suoi alleati, sarebbe stato cacciato a seguito delle pressioni di Pechino sul governo centrale e sugli stessi politici provinciali.

Il finanziamento della politica dell’arcipelago dipende infatti dai Fondi costituenti di sviluppo, attraverso cui i parlamentari hanno direttamente accesso alle risorse monetarie che sarebbero necessarie a sviluppare la propria area di competenza. All’atto pratico, il sistema favorisce la corruzione: in passato alimentata da Taiwan (che ha versato 90 milioni di dollari in questi fondi dal 2011 al 2018), oggi dalla Repubblica popolare. Che opera anche nel settore della comunicazione. Come riportato da OCCRP, la Cina ha pagato 140 mila dollari di attrezzature al quotidiano Solomon Star in cambio di una linea editoriale filo-cinese. Per la quale è essenziale anche il racconto positivo di tutti i progetti legati ai Giochi del Pacifico. L’umore interno al paese è infatti ambivalente, e oscilla tra l’orgoglio di ospitare l’evento e l’indignazione per la scelta di costruire stadi quando mancano infrastrutture e servizi essenziali. Soprattutto negli ospedali.

I timori occidentali

Almeno sul piano politico, però, l’approccio cinese sta funzionando. La Cina si è proposta come un’alternativa ai paesi occidentali, che Pechino descrive come intenzionati a contenere la Repubblica popolare (utilizzando il Pacifico come una pedina geopolitica) piuttosto che sinceramente interessati a risolvere i problemi della regione. Entrata nelle Isole Salomone come generoso partner economico, promettendo una prosperità a lungo termine, la Cina è però passata rapidamente anche alla cooperazione strategica e di sicurezza. Tutto quello che vi ruota attorno è scintillante soft power: stadi nuovi di zecca, scuole, strade, ponti. 

Sogavare sostiene che la sua scelta di legarsi a Pechino sia dovuta esclusivamente a questioni interne, cioè a necessità fondamentali di sicurezza e sviluppo. Ma il timore occidentale è che la Cina stia cercando di crearsi un avamposto nel Pacifico, tramite il controllo di porti e strutture di telecomunicazione, in vista di un eventuale conflitto con Washington e i suoi alleati.

Dalle Isole Salomone si controllano le linee di rifornimento attraverso il Pacifico, e si ha una zona di vista privilegiata su Australia, Hawaii e sulla costa occidentale degli Stati Uniti. «Molte cose cambiano in guerra: non la geografia», ha dichiarato l’ex comandante dei Marines americani David Berger dopo la firma dell’accordo di sicurezza tra Pechino e Honiara. «Il luogo in cui si trovano le Isole Salomone conta, oggi come in passato». 

A cura di Francesco Mattogno