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Venti di guerra nel Pacifico? Intervista all’ammiraglio Sandalli

In Asia Orientale, Cina, Interviste, Relazioni Internazionali by Maria Novella Rossi

Dunque si preparano davvero scenari di guerra nel Mar cinese Orientale e Meridionale? E  in che tempi? Qual è la situazione soprattutto da un punto di vista militare nelle acque dove sorge Taiwan, l’isola che la Cina considera una provincia ribelle? La Repubblica Popolare Cinese  dispone di una flotta da guerra  in grado di competere  con quella USA? Ne abbiamo parlato con l’ammiraglio Paolo Sandalli della Marina Militare Italiana, ora in congedo  ma a lungo operativo  nel Sud est asiatico e dunque attivo per la nostra Marina in quel  teatro Estremo Orientale   

“La soluzione della questione Taiwan è di competenza cinese”.  Così Pechino ha esortato il G7 di Hiroshima aggiungendo di  “smettere di interferire grossolanamente negli affari  interni del paese”.  Nel documento finale dei sette paesi più ricchi ,  l’Occidente si è reso compatto nella posizione anticinese mentre Pechino con un vertice parallelo sull’Asia centrale ha annunciato piani grandiosi   per quell’area.

Ancora una volta la Cina trova il modo di reinventarsi e di risollevarsi: una resilienza che ha dimostrato anche in occasione di enormi traumi socio-economici,  come l’epidemia da Covid 19, l’evento che ha messo in ginocchio il paese costringendolo a una grossa pausa d’arresto e facendo supporre in un primo momento che ne sarebbe stato annientato. Ma  ora che in maniera del tutto inaspettata  l’ex celeste impero si rianima, nella percezione occidentale il gigante cinese sembrerebbe  un  mostro a sette teste,  se volessimo  ricorrere a un paradosso letterario. Certo è che per gli USA, l’Europa o il Giappone, la Repubblica Popolare Cinese  torna ad essere  vieppiù una potenza che minaccia l’equilibrio dell’asse atlantista. Sebbene al suo interno il paese sia vessato da pesanti aree di crisi in ambito economico, demografico,  e per certi versi anche tecnologico,  Pechino non intende fare passi indietro a cominciare dalla questione Taiwan  e la tensione sale nella geopolitica globale.

E dunque si preparano davvero scenari di guerra nel Mar cinese Orientale e Meridionale? E  in che tempi? Qual è la situazione soprattutto da un punto di vista militare nelle acque  dove sorge Taiwan, l’isola che la Cina considera una provincia ribelle? La Repubblica Popolare Cinese  dispone di una flotta da guerra  in grado di competere  con quella USA?

Ne abbiamo parlato con l’ammiraglio Paolo Sandalli della Marina Militare Italiana, ora in congedo  ma a lungo operativo  nel Sud est asiatico e dunque attivo per la nostra Marina in quel  teatro Estremo Orientale   

Ammiraglio, nelle acque in cui sorge Taiwan,  è in atto uno scontro geopolitico senza precedenti. Ci può illustrare brevemente la situazione della flotta cinese stanziata in quei mari e in che modo   la Cina si sta attrezzando militarmente? Si tratta di un’escalation?

Il fatto che la PLN (People’s Liberation  Navy) si stia dotando di portaerei, cioè di mezzi idonei alla “proiezione di potenza” così come di consistenti capacità anfibie, sono chiari segnali concreti, più che simbolici, della accresciuta assertività della Cina nello  scacchiere internazionale. In altre parole, com’ era prevedibile, all’ascesa economica del “Paese di Mezzo” sono seguite sempre più rilevanti ambizioni sul piano geopolitico, anche per sostenere le proprie esportazioni che sono alla base della continua crescita economica del paese.

Lo strumento per realizzare tali ambizioni, come sempre nella storia, poggia sul controllo dei mari e delle linee di comunicazioni marittime. La Cina, pur non essendo storicamente un paese a vocazione marittima, se non per la breve epopea dell’ammiraglio Zheng He nel XIV° secolo, ha capito molto bene tutto questo e si sta dotando di una Marina di tutto rispetto. La  Shandong, la prima portaerei cinese costruita interamente in Cina,  che si  sta muovendo nel Mar Cinese Meridionale  rappresenta molto bene questa tendenza, soprattutto a livello simbolico.

Ciò non toglie che le portaerei a propulsione nucleare americane ed i loro gruppi di volo imbarcati rimangono il più potente sistema di proiezione di potenza della storia, esercitabile su scala planetaria e paragonabile solo alle Legioni Romane, peraltro anch’esse supportate dal potere marittimo fornito dalle quinqueremi (le prime navi da battaglia della storia) che davano l’assoluto dominio del Mediterraneo divenuto per i Romani “Mare Nostrum”.

Tuttavia, la Cina sta imparando molto bene ad usare il proprio crescente strumento militare marittimo a supporto della propria politica estera ed economica. Lo fa sia con pacifiche visite navali e attività di presenza nell’Indiano, in Africa e talvolta anche in Europa, e sia mostrando i muscoli come ultimamente ha  fatto nello stretto di Taiwan, dove ha condotto esercitazioni  comprendenti proprio  la Shandong e ingenti forze anfibie.

Chiaro l’intento di sottolineare le proprie aspirazioni, da sempre sostenute, alla riunificazione alla madrepatria di Taiwan considerata provincia ribelle. Chiaro anche lo scopo  provocatorio,  ottenuto oltrepassando,  nel corso dell’ esercitazione, con alcune puntate di velivoli e mezzi minori,  la linea mediana dello stretto da sempre considerata una red line da Taiwan e dagli Stati Uniti per la sicurezza dell’isola. Ciò contribuirà ad accelerare il cambiamento degli equilibri geopolitici del pianeta, già visibilmente in atto, e a supportare i disegni egemonici di Pechino, il che a mio avviso deve preoccupare tutto l’Occidente

Esiste una possibilità concreta che in quel quadrante possa scoppiare una guerra? E in che tempi?

Non credo che Pechino possa a breve permettersi di assalire Taiwan, sia perché questa ha i mezzi e l’intenzione per difendersi a oltranza e disperatamente e sia in quanto il rischio di un confronto convenzionale con gli americani sarebbe concreto. La stessa avventura in cui i russi si sono impantanati in Ucraina fornisce alla Cina un chiaro avvertimento e ammaestramento

Il divario esistente con gli USA  in termini tecnologici, di potenza e di addestramento richiederà ancora molti anni prima di essere colmato, anche se la Cina è già molto  avanti in alcuni settori come le reti informatiche, l’intelligenza artificiale e gli attacchi cibernetici. Mancano a Pechino ancora assetti strategici essenziali nello spazio e nell’intelligence quali pienamente efficaci ed autonome reti GPS e sorveglianza satellitare, nonché più rilevante massa critica   dell’intero strumento militare prima di potersi arrischiare ad un confronto con gli Stati Uniti per Taiwan, ammesso che questi ultimi intendano effettivamente intervenire.

Tuttavia i segnali di assertività lanciati da anni in tutto il Mar Cinese Meridionale,  non solo verso Taiwan, ma verso tutti i vicini anche in merito all’annosa questione delle Spratley e Paracel  e la conseguente dimensione della Zona Economica Esclusiva, costituiscono segnali  preoccupanti che potrebbero far pensare che, approfittando dell’ attenzione di Washington focalizzata altrove, non possa essere escluso un colpo di mano per ottenere qualche vantaggio territoriale su qualche obiettivo insulare, mettendo la comunità internazionale e gli U.S.A. di fronte al fatto compiuto. La nuova dottrina americana sulle EAB (Expeditionary Advanced Basis) intende rispondere proprio a tale paventata ipotesi.

Piuttosto il Dragone sfrutta abilmente la guerra in corso condannando l’aggressione russa, ma non le rivendicazioni di principio di Mosca circa l’Ucraina e la Georgia ove vi sarebbero porzioni ingiustamente alienate di territorio e popolazione nazionale da ricongiungere alla madrepatria. L’equazione, pertanto, che Pechino lascia sottintendere è che Crimea, Donbass e Abkhazia stanno alla Russia, come Taiwan sta alla Cina. Intanto attende, lanciando provocazioni e messaggi politici per osservare le reazioni, presso la comunità internazionale per testarne la fermezza, ma anche presso l’opinione pubblica di Taiwan, ove comunque esistono minoranze che risentono il richiamo della patria comune.

Taiwan e il mondo giustamente si preoccupano, ma credo che Taipei sia ancora un luogo abbastanza sicuro perché il soft power sarà per qualche tempo ancora l’unica azione possibile per la Cina

Lo scenario geopolitico è complesso,  dall’altra parte del mondo, in Europa,  c’è la guerra in Ucraina. In cosa consiste l’amicizia della Cina verso la Russia?  Pechino lascia intendere che non si tratta di un’alleanza in senso militare,  ma in qualche modo potrebbe fornire a Mosca tecnologia da impiegare anche a scopi bellici?

Russia e Cina non si sono mai amate. Anche nei tempi della guerra fredda in cui le univa la comune ideologia comunista, i motivi di dissenso superavano quelli di conversione di interessi, tanto che non vi fu mai una vera alleanza contro quello che avrebbe dovuto rappresentare l’avversario ideologico da abbattere, gli Stati Uniti come massima espressione del capitalismo. Anzi, anche all’epoca i due paesi si detestavano cordialmente.

Una storica, atavica diffidenza, che sfocia talvolta in disprezzo, nata dai contenziosi da sempre esistenti per l’influenza e il possesso degli sterminati territori e pianura che si estendono dall’Asia Centrale alla Siberia, alla Manciuria e alla Mongolia,  divide da sempre le due potenze.  La stessa Grande Muraglia fu concepita dal Celeste Impero per difendersi dai “barbari” provenienti da nord e da ovest, in fondo antenati degli odierni russi.

Oggi è in atto non un matrimonio, ma un fidanzamento di interessi basato sul comune antagonismo verso la superpotenza egemone americana e sul comune interesse a sovvertire gli equilibri geopolitici mondiali. Ma non è sbocciato l’amore tra le due potenze che si usano a vicenda per i loro obiettivi.

Sul conflitto in Ucraina Pechino sta fornendo a Mosca un sostegno di facciata, che difficilmente sfocerà in sostegno diretto con la fornitura di aiuti militari. Tra l’altro tale guerra per la Cina è una iattura, perché ha bloccato lo sviluppo della componente terrestre della Belt and Road Initiative, che avrebbe collegato direttamente per via ferroviaria Cina ed Europa attraverso le pianure russo-ucraine. La perdita per l’economia cinese, che tentava di risollevarsi dopo la pandemia scoppiata proprio in Cina e per cause tuttora poco chiare, sono state enormi.

Ma ora che  la guerra è in atto, Pechino può vederci peraltro una convenienza: quella che gli Stati Uniti siano  costretti a rioccuparsi del teatro europeo, trascurando quello dell’Indo-pacifico su cui, dalla fine del secolo scorso, avevano concentrato l’attenzione.

Se la Cina avesse l’interesse a far durare il conflitto, per avvantaggiarsi del fattore di cui sopra, allora potrebbero fornire a Mosca un aiuto militare utile per poter continuare la guerra, ma non per vincerla. Pechino lascerebbe così le due ex uniche superpotenze mondiali impantanate nel pasticcio ucraino, e potrebbe avere libertà di manovra altrove per affermare i propri interessi. Nel frattempo, al di là delle dichiarazioni di facciata, resta cinicamente alla finestra ad osservare l’evoluzione degli eventi ed incassa il vantaggio di ricevere da Mosca gas a buon mercato, aiutando l’economia russa privata degli incassi delle vendite in Europa.

E’ soprattutto in tale ottica che va inquadrato l’intensificarsi degli incontri tra i vertici dei due paesi. La tensione sta crescendo fra le due potenze.  La Cina avrebbe interesse alla pace e alla stabilità, mentre sembrerebbe che gli USA e la NATO stiano “provocando” soprattutto secondo Pechino,  scenari di guerra

La Cina ha certamente interesse alla pace e stabilità per continuare la sua espansione economica che le serve anche ad affrontare i suoi problemi interni connessi con enormi squilibri nella distribuzione della ricchezza e con le differenze tra zone rurali ed industriali del paese, così come tra le aree costiere e quelle interne. Però ha in atto un sempre più ingente piano di riarmo ed il tradizionale cauto soft power è stato spesso abbandonato a favore di un atteggiamento molto più provocatorio, proprio da parte di Pechino, in occasione della dimostrazione di forza nei confronti di Taiwan.

Pechino inoltre non ha mai espresso giudizi inequivocabili di condanna sulla aggressione della Russia alla Ucraina, ma come abbiamo visto il linguaggio adottato è sempre stato ambiguo e finalizzato alla realizzazione dei propri interessi regionali e contingenti.

Gli Stati Uniti hanno un trattato con Taiwan [il Taiwan Relations Act è una legge federale approvata dal Congresso nel 1979] con cui si impegnano a fornire i mezzi per difenderla da eventuali aggressioni. Anche il loro atteggiamento è ambiguo, in quanto cerca di conciliare quanto promesso a Pechino con l’adozione della One China Policy, e quanto promesso a Taipei sulla indipendenza dell’isola [gli Stati Uniti non riconoscono ufficialmente l’indipendenza di Taiwan]. In politica però non valgono linearità e coerenza, ma, come sempre, interessi e rapporti di forza.

L’aggressione russa alla Ucraina, la politica ambigua di Pechino rispetto a tale aggressione e il riavvicinamento sino-russo non possono infine non preoccupare la NATO quale attore internazionale che si pone come global security provider. La NATO non può che essere assertiva e schierata, sia nel sostegno all’eroico popolo ucraino aggredito, che difende disperatamente la propria libertà e indipendenza, sia nella difesa degli interessi occidentali in Oriente e soprattutto del principio della libertà dei mari e della navigazione, secondo i principi del diritto del mare affermatosi in Occidente fin dai tempi antichi con Ulpiano e Marciano e codificato tre secoli fa da Ugo Grozio. La Cina, infatti, mette oggi spesso in discussione tale principio quando sono in gioco i suoi interessi nel Mar Cinese Meridionale, però pretende che sia applicato quando la sua flotta mercantile o militare naviga in mari lontani.

E’ quindi in atto da parte di tutti un complesso gioco delle parti in cui il quesito da porsi non è chi ha torto o ragione, ma semmai altri due: il primo quali sono i nostri interessi nazionali, europei ed occidentali in questa intricata situazione? Il secondo è come si è giunti a tutto questo? Si poteva prevenire l’aggressione all’Ucraina che con effetto domino sta alterando gli equilibri di sicurezza in tutto lo scacchiere internazionale? Come possiamo uscirne per tornare ad una situazione di maggiore sicurezza e distensione?

Soprattutto deve preoccuparci il futuro, perché molti analisti prevedono che se continuerà l’attuale tendenza, entro il 2030 o forse prima, il gap capacitivo di potenza militare attualmente esistente tra Stati Uniti e Cina sarà colmato. Allora le cose potrebbero cambiare radicalmente ed in maniera preoccupante per i destini dell’Occidente

Di Maria Novella Rossi*

*Maria Novella Rossi, sinologa e giornalista RAI,  tg2.  Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI,  attualmente continua a occuparsi di  esteri  e cultura con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.