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Letture asiatiche – Terra dei grandi numeri: la vera Cina di Te-Ping Chen

In Cina, Letture Asiatiche by Redazione

Te-Ping Chen, corrispondente del Wall Street Journal da Hong Kong e Pechino, firma il suo esordio letterario con una raccolta di dieci racconti sulla contemporaneità cinese nelle sue diverse sfaccettature. La recensione di Letture Asiatiche, la rubrica sulla letteratura in Cina e in Asia a cura di Linda Zuccolotto

Un titolo balenato per la testa nel tragitto verso casa in bicicletta per le vie di Shanghai, il sapore di un frutto estivo nelle bancarelle della capitale, l’autenticità della gente che abita gli hutong di Pechino. Dalle pagine di appunti e annotazioni di viaggio, dalle storie delle tantissime persone incontrate durante gli anni in Cina come corrispondente per il Wall Street Journal, Te-Ping Chen ha dato vita a “Terra dei grandi numeri”, il suo esordio come scrittrice di fiction, pubblicato in Italia da Racconti Edizioni (prima e unica casa editrice italiana a pubblicare esclusivamente racconti) nella traduzione dall’inglese di Milena Sanfilippo.

Siamo abituati a sentir parlare di Cina sui media, come ricorda il titolo del libro, in termini di crescita economica e sviluppo tecnologico, attraverso dati e statistiche. In questa raccolta di dieci racconti a metà tra realtà e fantasia le conseguenze dello sviluppo vertiginoso e le innumerevoli contraddizioni della Cina contemporanea ci arrivano attraverso le vite di gente ordinaria. I personaggi di Te-Ping Chen sono quasi tutti accomunati dall’ambizione, dal desiderio di realizzare i propri sogni e stare al passo con una società in continua evoluzione.

Nel primo racconto, Lulu è una ragazza intelligente, una mente brillante e dotata sulla quale i genitori ripongono tutte le loro aspettative. Aspettative che vengono disattese quando, trasferitasi nella capitale per gli studi universitari, inizia a pubblicare online contenuti scomodi, diventando un’aperta contestatrice del governo e dovendone subire le pesanti conseguenze. Il tutto raccontato dal punto di vista del gemello che, cresciuto all’ombra di lei, riesce a riscattarsi, seppur col pensiero alla sorella ormai sempre più distante.

Ne “La macchina volante”, Cao Cao è un contadino la cui vera vocazione è quella di inventore e ingegnere popolare. Da quindici anni cerca di ingraziarsi il segretario locale per coronare il suo sogno di diventare membro del partito, ma invano. Ed è sempre con questo obiettivo in mente che realizza con gli scarti del villaggio accumulati negli anni prima un robot taglia noodles e poi un aeroplano. Le delusioni, tra cui quella di un figlio che ha ormai deciso di costruire la propria vita lontano dal villaggio natio, non abbattono Cao Cao, che non si perde d’animo e continua a sognare.

“Se Cao Cao fosse diventato membro del partito, tutto il villaggio lo avrebbe guardato con occhi diversi. Non sarebbe stato più Cao Cao, il vecchio mezzo matto con un figlio che non tornava mai a dargli una mano col raccolto, quello che aveva i campi di granturco sempre più malmessi degli altri. Sarebbe stato Cao Cao, un uomo che aveva contribuito al bene del suo villaggio, alla grande rinascita della nazione. Un uomo che meritava rispetto.”

In molti di questi racconti ambientati in Cina o che ad ogni modo hanno un legame con questo Paese emerge forte il tema della distanza, intesa come lontananza fisica, come mancanza di connessione emotiva e come gap generazionale. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, un figlio presuntuoso, all’oscuro degli eventi passati che hanno segnato inevitabilmente la vita del padre, ne snobba la quotidianità semplice e monotona, contrapponendola alla propria, ricca di sogni e ambizioni. Così si lancia in questa nuova avventura che è la borsa, allettato dall’idea dei soldi facili e deciso a non rimanere indietro nella folle corsa allo sviluppo.

“Lui sì che aveva delle idee. Ambizione. Buongusto. Gli piaceva quella parola, buongusto. Qualcosa che apparteneva, senza alcun dubbio, alla generazione sua e di Li. Mica come lo squallore della vita dei suoi genitori, dei loro passi strascicati, delle loro limitate ambizioni che si riducevano più che altro a un desiderio di chi de bao, chuan de nuan – pancia piena e vestiti pesanti.”

Figli, dunque, che abbandonano il villaggio di campagna e la fatica del lavoro contadino per costruire il proprio futuro in città, ma anche figli che volano lontano alla ricerca di nuove opportunità, immigrati cinesi in America. Come Gao in “Annotazioni su un matrimonio”, professore associato di tedesco negli Stati Uniti che non torna nel suo paese natale da quando aveva 16 anni. Sarà la moglie americana a compiere un viaggio nei luoghi d’infanzia del marito per provare a cercare risposte e colmare i vuoti. Dovrà prendere atto di una distanza, culturale ed emotiva, che la divide dalle persone e da quei luoghi che a causa del rapido processo di trasformazione urbana persino il marito avrebbe stentato a riconoscere.

Oltre che a quello con la generazione precedente, anche il rapporto con il passato e la memoria non è dei più semplici. Ne “Il nuovo frutto”, uno strano ibrido dal sapore intenso, dolce con un retrogusto acidulo, porta il buonumore nei vicoli della capitale e rievoca sensazioni piacevoli nei suoi abitanti. L’anno successivo, inaspettatamente, quello stesso frutto inizia a risvegliare nella gente che ne addenta la polpa con l’acquolina in bocca ricordi sopiti, riporta a galla un fardello di cui pensavano di essersi liberati, suscitando sentimenti di pentimento e vergogna.

Che si tratti dei racconti più verosimili o di quelli come quest’ultimo che contengono degli elementi di fantasia, in tutti è sempre presente un riferimento allo Stato, che esercita controllo e autorità, e più in generale alla politica che è un elemento imprescindibile in un paese come la Cina, dove le questioni politiche sono anche fortemente personali. Troviamo ad esempio un’immagine molto potente riguardo il fenomeno delle dingzihu, le “case chiodo”, abitazioni destinate alla demolizione per far posto a nuove costruzioni che hanno ottenuto il via libera dello stato ma i cui proprietari si rifiutano di abbandonarle, riferimenti a incidenti sul lavoro causati da negligenze e corruzione e la repressione delle voci fuori dal coro.

Una riflessione sulla limitazione della libertà dei cittadini in cambio di sicurezza e benessere è proposta nel racconto che chiude la raccolta, “Lo spirito di Gubeikou”. In un futuro imprecisato dove la linea metropolitana si è estesa fino a Gubeikou, zona alla periferia nord-est di Pechino nota per un tratto non restaurato della Grande Muraglia, un gruppo di persone rimane bloccato in una stazione della metro per un ritardo che diventa di ore, giorni, addirittura mesi. Da regolamento i passeggeri sono tenuti a scendere a una stazione diversa da quella di partenza, motivo per cui non possono uscire ma viene fornito loro il necessario per vivere in quella situazione inusuale. Per ironia della sorte, dispensati dai ritmi frenetici della quotidianità e lodati per il loro coraggio dai media, molti di loro iniziano ad abituarsi alla nuova normalità e si sentono addirittura in dovere di dare il buon esempio al Paese, arrivando a diffidare del mondo esterno.

Attraverso la forma del racconto, Te-Ping Chen riesce ad intessere storie sospese tra passato e presente, tra realtà e fantasia, restituendo la complessità e le sfumature di un paese che non si conosce mai abbastanza. Storie godibili e ricche di spunti di riflessione, in cui i dettagli, anche i più bizzarri come l’esibizione di una spogliarellista durante un funerale (sì, se ve lo state chiedendo succede anche questo in Cina) contribuiscono alla rappresentazione della contemporaneità cinese. I personaggi che animano le pagine di “Terra dei grandi numeri” si muovono in una Cina in perenne metamorfosi, sono ambiziosi, genuini, molto spesso soli e fragili, e lottano per trovare il proprio posto nel mondo.

Di Linda Zuccolotto