Prima visita europea del presidente cinese da quella del 2019, quando l’Italia aderì alla Belt and Road. Tappe in Francia, Serbia e Ungheria. Che cosa c’è sul tavolo
I tempi d’oro in cui la Cina veniva etichettata semplicemente come una “opportunità” sono finiti da un pezzo. Ma Xi Jinping torna in Europa per provare a convincerla che non è corretta nemmeno l’etichetta di “minaccia”. L’arrivo a Parigi, domenica sera, segna il ritorno del presidente cinese in Europa cinque anni dopo l’ultima volta. Era il marzo del 2019. Allora Xi era giunto in Europa con al seguito un esercito di funzionari e imprenditori per la firma di accordi ultramiliardari con la Francia e per l’adesione dell’Italia alla Belt and Road Initiative. Nel frattempo, il governo Meloni è uscito dalla Via della Seta, ma soprattutto è cambiato il mondo.
La guerra in Ucraina ha messo a repentaglio i rapporti tra Cina ed Europa, ancor di più dopo che nelle ultime settimane gli Stati uniti hanno alzato il volume sul sostegno politico-finanziario e allineamento strategico tra Pechino e Mosca. Subito dopo l’invasione russa, l’Europa ha provato a convincere la Cina a usare la sua influenza per convincere il Cremlino al ritiro. Ora, è Pechino che prova a giocare su stanchezze e scetticismi occidentali, additando invio di armi a Kiev e sanzioni come “benzina sul fuoco” e promuovendo negoziati che tengano conto delle “legittime preoccupazioni di sicurezza” della Russia.
Vedendo le sue recenti dichiarazioni sul possibile invio di truppe Nato in Ucraina, verrebbe da pensare che Emmanuel Macron è l’interlocutore peggiore per Xi. Ma la Cina non la vede così. Le posizioni sulla guerra sono all’apparenza agli antipodi, ma a Pechino apprezzano i continui richiami di Macron alla necessità per l’Europa di trovare una sua “autonomia strategica”, che tradotto per la Cina significa un non totale allineamento alla politica estera americana. Non a caso, dopo il ritiro di Angela Merkel, il presidente francese viene descritto come l’interlocutore più credibile dai media di stato cinesi.
Lo scorso anno, durante la visita a Pechino ricevette un’accoglienza con tutti gli onori. Dopo gli incontri ufficiali, Xi decise inusualmente di accompagnarlo a Guangzhou per un altro confronto più personale, utile a diffondere le immagini dei due leader che passeggiano nel celebre Pine Garden e sorseggiano tè sulle note di antiche canzoni cinesi hanno cementato il rapporto con Parigi. Macron ricambierà il favore e martedì porterà Xi al Tourmalet, sui Pirenei. Una tappa “intima” per il presidente francese, che qui trascorreva le vacanze da bambino dall’amatissima nonna, sepolta nella zona.
I temi più scomodi verranno toccati invece lunedì. Prima della cena di stato all’Eliseo, in programma un incontro trilaterale con Ursula von der Leyen. Come fatto lo scorso anno, invitare la presidente della Commissione europea per Macron ha una duplice valenza: mostrare una presunta unità europea, ma anche far giocare a lei la parte della sinoscettica. Oltre alla guerra in Ucraina, il nodo più complicato da sciogliere è il commercio. A differenza della Germania, Parigi sembra appoggiare con convinzione l’indagine di Bruxelles sui veicoli elettrici cinesi, che sembra destinata a concludersi con l’introduzione di dazi sulle importazioni. In risposta, a gennaio la Cina ha avviato un’indagine antidumping sul brandy. Un modo per fare pressione sulla Francia, che ne rappresenta il 99,8% di tutte le esportazioni europee in Cina. Nel mirino dell’Ue ci sono anche i presunti sussidi per turbine eoliche e pannelli solari, gli appalti pubblici di attrezzature mediche e i sistemi di sicurezza per porti e aeroporti della società cinese Nuctech. Von der Leyen solleverà anche il tema dell’eccesso di produzione, mentre Xi chiederà di depoliticizzare la cooperazione commerciale e non perseguire la “riduzione del rischio”, che lui stesso ha di recente definito “creazione del rischio”.
Rilevanti anche le altre due tappe scelte da Xi per il suo tour europeo, Serbia e Ungheria, che gli consentiranno di fare un pieno di sostegno politico e di mandare segnali più o meno espliciti ai rivali. A Belgrado arriverà nei giorni del 25esimo anniversario delle bombe della Nato sull’ambasciata cinese. Oltre alla commemorazione delle vittime, difficilmente mancherà qualche parallelo con la situazione odierna e la “mentalità da guerra fredda” che secondo la Cina viene mantenuta da Washington. Il presidente serbo Aleksandar Vucic si è detto “orgoglioso” di ospitare Xi, da lui accreditato come in grado di “mettere fine ad alcune guerre e stabilire una pace a lungo termine”.
A Budapest, inaugurerà con Viktor Orban uno stabilimento di auto elettriche. Come a dire, se a Bruxelles intendete fermarci possiamo comunque entrare attraverso i paesi non allineati. Si parlerà senz’altro anche della ferrovia Belgrado-Budapest, progetto da due miliardi di dollari che rientra nella Belt and Road. La costruzione ha subito parecchi ritardi ma potrebbe essere completata entro il 2026. I tempi di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio sono lontani, ma Xi è convinto di riuscire a tenersi aperte diverse porte anche in Europa.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.