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EUROPA-CINA: LA RIAPERTURA DEL DIALOGO VIAGGIA SULLE ALI DEL COMMERCIO

In Cina, Relazioni Internazionali by Maria Novella Rossi

Intervista di Maria Novella Rossi a Marco Donati, direttore generale COSCO SHIPPING per l’Italia

A Bali il faccia a faccia Biden-Xi Jinping a margine del G20 è stato al centro dei riflettori di tutto il mondo: un colloquio che ha stabilito le linee guida per i successivi incontri con gli altri leader dell’Occidente liberale; la Cina sembra voler procedere verso un disgelo che renda più scorrevole la strada del proprio sviluppo economico e dell’espansione commerciale, rallentata dalla pandemia . Vessata all’interno da una crisi pesantissima con un PIL che si attesta per il 2022 intorno al 2,8%,

Pechino ha bisogno di interagire a livello economico non solo con gli USA ma anche con gli altri paesi occidentali: l’apertura di Xi verso l’inquilino della Casa Bianca ha preparato il terreno a nuovi equilibri multipolari: nel quadro del G20 il presidente cinese non ha trascurato nemmeno il primo ministro australiano, Antony Albanese, dopo anni di gelo culminati in una lotta politica fatta di attacchi feroci di Canberra a Pechino sulle origini della pandemia, e di ritorsioni commerciali della Cina verso l’Australia , a cominciare dalla drastica riduzione dell’acquisto di carne bovina.

Rafforzato dopo la conferma ai massimi livelli del potere al XX Congresso del PCC, Xi Jinping ora deve risalire la china della crescita economica e per fare questo ha bisogno di tutti: fuori dal suo paese la sua strategia commerciale continua per quanto possibile con Belt and Road Initiative nonostante alcuni paesi europei (Francia e Germania) insieme a Argentina, Canada, India, Giappone, Corea, Regno Unito e Senegal, abbiano preso nuove e decisive contromisure come il piano Partnership for Global Infrastructure and Investment (Pgii), una sorta di alternativa alla Nuova Via della Seta Cinese con investimenti globali da 600 miliardi di dollari.

Nel frattempo al vertice di Bali il presidente cinese ha deciso di incontrare la maggior parte dei leader europei, tra questi anche il nostro presidente del Consiglio Giorgia Meloni, un confronto che ha aperto le porte a nuove potenziali opportunità di scambi economici e commerciali, prospettive che per l’Italia sono state introdotte con il via libera bene augurante all’acquisto da parte di Pechino, entro il 2035, di almeno 250 aerei italo francesi (Leonardo-Airbus). Dunque in nome del commercio e della realpolitik anche l’Italia ha corretto il tiro e ha ammorbidito l’approccio verso la Cina: oltre alla guerra in Ucraina, la sicurezza comune, i diritti umani, per Meloni si è rivelato assolutamente necessario “promuovere gli interessi economici reciproci anche nell’ottica di un aumento delle esportazioni italiane in Cina”. Come lei, altri leader europei, ciascuno con sfumature diverse , hanno riaperto o comunque incrementato quel dialogo con Pechino che si era interrotto o raffreddato soprattutto a causa della pandemia.

A fare da apripista il cancelliere tedesco Scholz, il primo a recarsi in Cina dopo la chiusura per il Covid, un visita di stato casualmente seguita all’accordo con cui la Cosco shipping, azienda cinese per la movimentazione dei containers ha acquisito una piccola quota del porto di Amburgo , per gestire la logistica. Un’intesa che ha scatenato non poche polemiche, spaccando le istituzioni tedesche e attirando le critiche di molti governi europei.

Lo spettro è la trappola del debito, soprattutto per le economie emergenti, ossia l’obbligo di consegnare le infrastrutture pubbliche al governo cinese se non si rispettano le rate dei pagamenti dei prestiti elargiti per realizzarle. Un fenomeno che si collega ai massicci finanziamenti forniti da Pechino per costruire opere pubbliche che riguardano trasporti, energia, comunicazioni e acqua. Secondo la Johns Hopkins University dal 2000 al 2019, i finanziamenti cinesi nei confronti dei soli paesi africani ammontavano a 153 miliardi di dollari.

A fronte di prestiti così ingenti si è sviluppato un forte dibattito fra due posizioni opposte: chi vede nel supporto economico cinese una possibilità in più per migliorare le economie emergenti e chi afferma che la politica cinese dei prestiti in realtà non fa che vincolare eccessivamente i destinatari dei prestiti sino al punto di incatenarli irreversibilmente alla Cina. Ma per meglio chiarire questi meccanismi e far luce su un mondo dove sostanzialmente comanda il business, al di là delle ideologie e della politica, abbiamo intervistato Marco Donati, direttore generale COSCO SHIPPING per l’Italia, una delle più importanti aziende cinesi nel settore della logistica e movimentazione delle merci.

Si è appena concluso il Congresso del PCC che ha riconfermato i massimi poteri a Xi
Jinping, e già in queste ore arriva la notizia che la Cina (COSCO) ha acquisito una quota
di un settore specifico per la logistica del porto di Amburgo. C’è molta preoccupazione
su questo, la paura che la Repubblica Popolare si espanda sempre di più in Europa, dettando le sue condizioni. Lei come valuta la politica commerciale cinese per i porti che sono comunque dei luoghi strategici?

Ritengo che la chiusura del Congresso e l’entrata di Cosco nelle quote azionarie di uno dei terminal di HHLA ad Amburgo non abbiano alcuna attinenza: pura coincidenza. Vista la risonanza del fatto vorrei spiegare alcune cose: le principali compagnie di navigazione al mondo, tutte, hanno proprie aziende che gestiscono un asset per loro fondamentale quale i terminal containers. Tutte le primarie compagnie di navigazione gestiscono concessioni nei terminal containers in tutto il mondo. Lo stesso fa Cosco in maniera assolutamente simile e/o uguale a tutti gli altri competitors. Le ragioni sono squisitamente strategiche e commerciali. È da diversi mesi che Cosco sta lavorando su questo
progetto, come su tanti altri, ed il fatto che la decisione sia arrivata a pochi giorni dalla
riconferma del presidente Xi, come già detto, è una mera coincidenza.

Su questa vicenda, vorrei comunque chiarire che stiamo parlando del nulla in quanto l’idea di
Cosco era quella di entrare al 35% nel più piccolo dei 4 terminal contenitori del porto di Amburgo. Possiamo, quindi, per semplicità di ragionamento, dire che si è alzato un grandissimo polverone per il progetto di entrare al 35% di un terminal che al massimo movimenta il 20% del volume contenitori del porto di Amburgo (quindi la partecipazione di Cosco sarebbe solo del 7% del totale). Oggi, alcuni gridano allo scandalo perché è stato concesso il 24.99% che semplificando vuol dire il 5 % dei volumi del porto di Amburgo. Se facciamo un paragone con la situazione portuale italiana dove abbiamo il più grande
terminalista singaporiano a gestire il porto di Genova arrogantemente in regime di monopolio
e una compagnia di navigazione che gestisce circa il 40% dei terminal contenitori del paese, gli investimenti della Cosco ad Amburgo risultano essere ben meno preoccupanti. Non è mia intenzione attaccare altre compagnie, ma solo mostrare che si sta facendo una retorica tesa a dipingere la Cina come un “invasore” dei nostri mercati piuttosto che come un
investitore al pari degli altri.

Il primo leader europeo che si è recato in visita ufficiale a Pechino è proprio il
cancelliere Scholz, questo dimostra che la politica commerciale dell’UE segue le
proprie vie pragmatiche che prescindono da un impegno politico diciamo “atlantista”?

Questo è un dato di fatto ed è sempre stato così. La vita economica dell’UE e dei paesi
associati spesso prescinde dalle posizioni politiche. Oggi la Cina è un partner commerciale
importantissimo per tutti i paesi al mondo e forse il più importante per gli Stati Uniti.

Si parla molto di “trappola del debito”, ad esempio in alcuni paesi come Sri Lanka,
forse il caso più eclatante, ma anche in altri paesi dell’Africa come il Kenya, oppure in Europa il porto greco del Pireo, casi certamente diversi uno dall’altro. Ci può spiegare in
breve quali sono i rischi reali per questi porti, e farci qualche esempio attraverso i casi
più emblematici? Ci può dare un’idea anche del volume d’affari che hanno questi porti
con la Cina?

Non vorrei addentrarmi troppo in ragionamenti macroeconomici, mi limito a dire che dieci anni
fa circa Cosco vinceva una concessione nel terminal contenitori del Pireo dove, a causa di scarsi
investimenti, di un’ infrastruttura obsoleta e di pesantissime tensioni sindacali il terminal movimentava solo circa 600.000 teus annuali. Oggi, dopo dieci anni di investimenti ben superiori al miliardo di euro e dopo un riammodernamento di tutta la struttura, alla quale hanno principalmente lavorato aziende greche, il porto del Pireo movimenta circa 5 milioni di teus e dallo stesso porto partono treni settimanali che giungono fino al centro Europa con tempi di transito dalla Cina migliori di qualsiasi altro porto in Europa. I clienti del porto del Pireo? Non solo Cosco, ma tutte le primarie compagnie di navigazione al mondo.

Perché la Cina che si espande nei porti stranieri inserendosi nella gestione diretta
della logistica e acquisendo quote dei porti in alcuni settori specifici , non permette alle
compagnie occidentali in Cina di fare altrettanto?

Questa domanda è posta in maniera parziale. La Cina non si sta espandendo nei porti europei.
Cosco sta semplicemente portando avanti una strategia simile a quella che fanno molti suoi
concorrenti. È comprensibile anche per il neofita che se si investono 2 miliardi per costruire 9
navi da 24.000 teus per metterle in una linea da A a B è fondamentale essere certi che i porti
in A ed in B siano in grado di gestirle in maniera adeguata, altrimenti il rischio è troppo elevato.
Anche in Cina le compagnie di navigazione straniere gestiscono quote di terminal contenitori.
Il più grande terminal contenitori al mondo che è a Shanghai, è in parte controllato da una
compagnia di navigazione europea di primaria importanza. La stessa compagnia di navigazione
ha altri 4 terminal in porti cinesi di primaria importanza. Sembra evidente, quindi, che si stia
solo facendo propaganda politica contro la Cina.

In Italia la Cina ha già delle partecipazioni, ad esempio nel porto di Vado Ligure. Qual
è la situazione dei nostri porti? Quali i rischi e quali i vantaggi di questo scambio con
la Cina?

Stiamo lavorando per rendere competitiva Vado non solo per il mercato nazionale ma anche
per quello internazionale: Vado deve diventare il naturale sbocco di Svizzera, Germania e
Francia, occorre tempo e pazienza, doti peraltro ben radicate nella cultura cinese.
Circa gli altri porti italiani, proprio recentemente leggevo un articolo su un giornale che
denunciava che: in Italia esiste una compagnia di navigazione che detiene praticamente il
40% dei terminal contenitori del nostro paese, è presente con concessioni nei maggiori porti
italiani e, recentemente, ha cominciato a investire anche nei servizi portuali, acquisendo il
controllo dei rimorchiatori dei maggiori porti italiani. Quasi nessuno ha dato grande peso a
questa situazione che ritengo invece avere un forte impatto sull’economia italiana. I vantaggi
di diversificare gli investitori nel nostro paese sono evidenti e di rischi non ne vedo.

Il presidente cinese Xi Jinping ha detto oggi di voler collaborare in vari settori con gli
USA, nonostante le tensioni tra Washington e Pechino. In ambito commerciale qual è
il valore degli scambi, il volume di affari tra Cina e USA?

Sicuramente gli scambi commerciali tra due paesi possono essere un indicatore del rapporto
economico tra di essi. Oggi, il trade Cina-Europa in termini di volumi è molto simile al trade
Cina-Usa quindi il volume degli affari Cina-Usa è molto importante per entrambi i paesi.

Anche il governo Biden, leggo su un articolo a firma di Sebastiano Canetta de “Il
Manifesto “, chiude un occhio sul ruolo seminascosto di China Merchant Group nella
proprietà dei porti di Miami e Houston attraverso la joint-venture con la società
francese Terminal Links. Lei come valuta questo coinvolgimento anche da parte
americana? Insomma, il commercio segue strade indipendenti dalla politica?

Certamente, come ho avuto modo di dire in precedenza, politica e commercio non sempre
viaggiano su linee parallele. Spesso il commercio prevale sulla politica e spesso le dichiarazioni
politiche sono solo, almeno in Occidente, un espediente per ottenere consensi. Sono molto lieto delle dichiarazioni del Presidente Xi Jinping, da poco rilasciate, cha auspica un maggior dialogo
con gli Stati Uniti e per proprietà transitiva anche con l’Europa.

Come procede “The Belt and Road Initiative”? Quali sono le novità e i progetti che
avranno più impulso?

Anche in questa circostanza, l’imperizia della politica italiana è stata eclatante. Nell’agosto del
2019 viene firmato l’accordo con la Cina “Belt and Road” ed abbiamo l’onore e l’occasione di
avere la visita del presidente Xi Jinping in Italia. Vengono stilati molti contratti progetto di
massima. Germania e Francia protestano sdegnati per il nostro coinvolgimento e due mesi
dopo, all’apertura del CIIE (China International Import Expo – esposizione dei prodotti di tutto
il mondo da vendere nel più grande mercato al mondo), il nostro ex Presidente del Consiglio
Conte, alle prese con una crisi di governo, deve lasciare il campo a Macron che farà il discorso
inaugurale della fiera insieme a Xi Jinping. Risultato? Gli italiani sono stati criticati ma non hanno
fatto affari mentre i francesi ed i tedeschi, silenti, hanno beneficiato della situazione.

In che misura è cambiato il volume di affari tra Cina e Occidente negli ultimi anni a
causa del Covid?

Ad oggi, il Covid non ha portato cambiamenti in termini assoluti dei volumi di affari tra Cina
ed Europa. Ha comportato invece, difficoltà logistiche, ritardi, notevole aumento dei costi.
Tuttora, il volume di affari è rimasto all’interno di una normale fluttuazione del mercato.
Sicuramente il Covid ci ha insegnato che una totale decentralizzazione della produzione è di
difficile gestione in caso di emergenze e quindi, sicuramente, nel breve molte aziende
rivedranno la loro dislocazione produttiva. Da tenere in considerazione però un altro elemento
molto importante: ormai la Cina non è quel paese dove si produce tanto a poco prezzo e con
poca qualità ma è un paese dove si produce tanto, ad altissima qualità e con un rapporto
qualità /prezzo imbattibile.

Di Maria Novella Rossi

*Maria Novella Rossi, sinologa e giornalista RAI tg2, redazione esteri. Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI in sostituzione di Claudio Pagliara, attualmente continua a occuparsi di esteri con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.