In Cina e Asia — Trump in Cina vale 250 miliardi di dollari

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La nostra rassegna quotidiana


Trump in Cina vale 250 miliardi di dollari

250 miliardi di dollari. A tanto ammontano gli accordi commerciali stretti tra Cina e Stati Uniti a margine della “visita di stato plus”, la prima di un leader straniero dalla fine del 19esimo Congresso del Partito. Si tratta di una delle delegazioni commerciali più fruttuose nella storia dei rapporti bilaterali. I settori interessati spaziano dall’energia alla bioscienza e all’aviazione passando per lo smart manufacturing. Soltanto l’intesa di Sinopec per esplorazioni energetiche in Alaska vale 43 miliardi. Seguono poi i 37 miliardi di Boeing e partner cinesi, l’accordo non vincolante di Qualcomm da 12 miliardi con Xiaomi, OPPO e Vivo, e quello da 3,5 miliardi di General Electric per operazioni di riparazione e forniture di motori, mentre ieri JD.com si era detto pronto ad acquistare 2 miliardi di merci americane, sopratutto carne di manzo e maiale. Le nuove firme dovrebbero servire a livellare la bilancia commerciale tra le due sponde del Pacifico. Negli scorsi giorni The Donald aveva definito i 26,62 miliardi di dollari di surplus accumulati dalla Cina “imbarazzanti”; quest’oggi tuttavia l’inquilino dello Studio Ovale ha attribuito gran parte della responsabilità alle precedenti amministrazioni americane non a Pechino, che ha semplicemente perseguito il meglio per i propri cittadini. Un mercato più aperto alle imprese straniere è quanto promesso in tutta risposta da Xi.

Come anticipato ieri da un funzionario della Casa Bianca, il presidente statunitense ha chiesto che vengano recisi i rapporti finanziari con la Corea del Nord — di cui Pechino è il principale partner commerciale — “perché il tempo si sta rapidamente esaurendo”. Da parte sua Xi ha riaffermato l’importanza di portare avanti il dialogo ad alto livello. Commentando poi lo stato delle relazioni sino-americane, il leader cinese ha parlato di “un nuovo storico punto di partenza”, sottolineando come “il Pacifico sia abbastanza grande” per entrambi i paesi. Tra gli altri temi toccati, vanno ricordate la cooperazione nell’ambito delle Nazioni Unite sul versante terrorismo e peacekeeping, la cybersicurezza e il rimpatrio dei fuggiaschi, sebbene nulla faccia pensare a una soluzione del caso Guo Wengui, che con le sue accuse di corruzione dal suo esilio newyorkese è fonte di imbarazzo per Pechino.

Con l’hashtag #特朗普来了 (Trump è arrivato!) il primo giorno in Cina dell’ex tycoon è stato tra i 3 topic più dibattuti sui social media cinesi. A far impazzire i netizen il video mostrato da Trump a Xi della nipote Arabella intenta a cantare e recitare poesie cinesi, mentre la stampa statale ha dato risalto al tweet compiaciuto di The Donald sull’”indimenticabile” esperienza alla Città Proibita. (ebbene, sì, Trump ha aggirato il Great Firewall). Dopo aver sorseggiato un tè nella sala dei Tesori e aver assistito ad una performance dell’opera di Pechino, Trump è diventato il primo presidente americano a cenare nell’ex residenza imperiale. Apprezzando il suo stile stravagante, il tabloid Global Times ha commentato che “Trump sembra utilizzare un approccio pragmatico nella sua strategia politica con Pechino, e non ha alcun interesse per la diplomazia ideologica. Finora non ha sfruttato la questione dei diritti umani per fare problemi con la Cina, e questo significa che la relazione Cina-USA possono concentrarsi sulle questioni sostanziali”.

Pechino inaugura la superagenzia finanziaria

Mercoledì, Pechino ha lanciato ufficialmente l’atteso Financial Stability and Development Committee, una superagenzia incaricata di supervisionare i regolatori finanziari e i governi locali sotto il cappello del Consiglio di Stato. Diretta dal vicepremier Ma Kai, la Commissione andrà a sostituire il precedente meccanismo di vigilanza — in cui erano coinvolte in tandem People’s Bank of China, la China Banking Regulatory Commission, la China Securities Regulatory Commission e la China Insurance Regulatory Commission — nel controllare la politica monetaria e formulare politiche sulla gestione sistemica dei rischi finanziari. E’ dal crollo delle borse del 2015 che la leadership cinese guarda con preoccupazione al settore. Gli ultimi ammonimenti sono giunti nei giorni scorsi per bocca del direttore della banca centrale Zhou Xiaochuan che ha parlato di un pericolo “contagio”, citando la cupidigia dei governi locali e l’espansione troppo rapida del credito.

Lotta all’inquinamento: lo Hebei taglia un primo traguardo

La provincia dello Hebei, che ospita 10 delle province più inquinate della Cina, ha raggiunto gli obiettivi stabiliti per il periodo 2013–2017 quanto a riduzione delle particelle inquinanti, capacità produttiva di acciaio e consumo di carbone. Secondo quanto riferito dal vicecapo dell’ufficio locale per la protezione ambientale, nei primi 10 mesi dell’anno lo Hebei ha abbassato il livello di PM2.5 a 64 microgrammi per metro cubo (un — 38,5% rispetto al 2013), mentre la capacità produttiva di acciaio a settembre risultava ridotta di 69.9 milioni di tonnellate e l’impiego di carbone di 37,3 milioni di tonnellate, secondo dati del 2016. Altri 6 milioni verranno tagliati entro fine anno. Nel complesso, Pechino punta ad alleggerire l’industria dell’acciaio di 100- 150 milioni di tonnellate entro il 2020. Ma c’è chi come Greenpeace critica l’impegno cinese mettendo in risalto la necessità di spostare l’attenzione dalla capacità produttiva all’output. La produzione di acciaio grezzo dello Hebei è aumentata dell’ 1,9% nei primi tre trimestri del 2017 arrivando a toccare quota 149,75 milioni di tonnellate. A ottobre il ministero della protezione ambientale aveva sottolineato la mancanza di progressi nella lotta all’inquinamento in diverse città dello Hebei, Henan e Shanxi.

Apec: Duterte chiederà spiegazioni sul Mar cinese meridionale

Duterte solleverà la questione della navigazione nelle acque contese del Mar cinese meridionale durante il summit Apec che si terrà in Vietnam (10–11 novembre). Il presidente filippino — impegnato da oltre un anno a ricucire lo strappo causato dalla sentenza del tribunale internazionale dell’Aja — ha spiegato che è giunto il momento per Pechino di chiarire se agli altri paesi asiatici è concesso navigare liberamente nel tratto di mare attraverso cui fluttuano ogni anno circa 3 trilioni di merci. Appena poche ore prima il ministro della Difesa Delfin Lorenzana aveva reso nota l’intenzione di avviare le negoziazioni per l’istituzione di un protocollo militare onde evitare “errori di valutazione” nelle zone contese con Pechino. Sollevando un caso specifico, il funzionario ha raccontato di come l’estate scorsa la guardia costiera cinese, spalleggiata da imbarcazioni militari e pescherecci, abbia cominciato a pattugliare minacciosamente le acque a largo di Thitu Island, nelle Spratly, dove Manila stava costruendo su un banco di sabbia dei ripari per la popolazione locale, contravvenendo a quanto stabilito bilateralmente circa la sospensione di nuove costruzioni sulle isole contese. I lavori sono poi stati interrotti proprio per volere di Duterte.