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In Cina e Asia – Pallone-spia: Pechino invia reclamo formale all’ambasciata americana

In Notizie Brevi by Redazione

I titoli di oggi:

  • Pallone-spia: Pechino invia reclamo formale all’ambasciata americana
  • WSJ: “La Cina ha venduto materiale militare alla Russia”
  • Chip war: la Cina potrebbe impiegare “almeno 20 anni” per colmare il divario nell’industria dei semiconduttori
  • FMI: “Senza riforme la crescita cinese rallenterà”
  • L’Iran fa sempre più uso di sistemi di sorveglianza cinesi
  • Il settore manifatturiero cinese riparte con difficoltà
  • La seconda vita delle stazioni per i test in Cina
  • Hong Kong-Macao-Cina continentale: riaprono le frontiere

La Cina ha presentato un reclamo formale alla missione diplomatica degli Stati Uniti a Pechino dopo l’abbattimento del pallone, aggiungendo che l’incidente ha “seriamente ostacolato” i progressi compiuti nella stabilizzazione dei rapporti bilaterali. Secondo quanto dichiarato stamattina dalle autorità, il vice ministro degli affari esteri Xie Feng ha presentato un “solenne reclamo” all’ambasciata americana in Cina. “Ciò che gli Stati Uniti hanno fatto ha seriamente influenzato e danneggiato gli sforzi e i progressi di entrambe le parti nella stabilizzazione delle relazioni Cina-USA dall’incontro di Bali”, ha affermato Xie, riferendosi ai colloqui tra Xi Jinping e Joe Biden durante il G20 di novembre. Le rimostranze del viceministro seguono la condanna concertata dei ministeri di Esteri e Difesa, che ieri hanno definito l’abbattimento “eccessivo” e hanno minacciato ritorsioni: “L’uso della forza da parte degli Stati Uniti è una grave violazione delle convenzioni internazionali. La Cina salvaguarderà risolutamente i diritti e gli interessi legittimi della società interessata e si riserva il diritto di fornire ulteriori risposte se necessario”. Dietro i toni duri – da entrambe le parti – si intravede il tentativo di tenere aperto il dialogo diplomatico. Ufficialmente la visita di Antony Blinken in Cina è stata solo posticipata, non cancellata.

WSJ: “La Cina ha venduto materiale militare alla Russia”

Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, la Cina starebbe fornendo alla Russia tecnologie fondamentali per proseguire la propria guerra in Ucraina, aggirando così le sanzioni internazionali. Il quotidiano ha avuto accesso ai registri doganali di Mosca tramite l’organizzazione no profit statunitense C4ADS. I documenti mostrano che, da dopo l’invasione, in Russia sono arrivati oltre 80.000 prodotti “dual use” – ovvero utilizzabili sia per scopi commerciali che militari -, provenienti per la maggior parte da aziende cinesi. Tra queste ci sono anche società statali legate all’industria della difesa e dell’aeronautica, come Poly Technologies o AVIC International Holding Corp. Stando a quanto registrato, tramite una serie di triangolazioni che coinvolgono paesi come Emirati Arabi Uniti, Turchia e Uzbekistan, dalla Repubblica popolare sono state esportate in Russia apparecchiature di navigazione per elicotteri militari, radar, antenne telescopiche per il disturbo delle comunicazioni e altre tecnologie utili all’esercito di Mosca. Tutti prodotti presi di mira dalle sanzioni a guida occidentale.

Chip war: la Cina potrebbe impiegare “almeno 20 anni” per colmare il divario nell’industria dei semiconduttori

Con i Paesi Bassi e il Giappone che si sono aggiunti agli Stati Uniti nel bloccare l’export di macchinari per la produzione di chip avanzati in Cina, si è forse chiusa anche l’ultima porta che aveva tenuto a galla l’industria dei semiconduttori di Pechino. Ora, secondo diversi esperti contattati dal South China Morning Post, alla Repubblica popolare potrebbero servire “almeno 20 anni” per colmare il divario tecnologico con i paesi leader del settore. I divieti americani con tutta probabilità si ripercuoteranno anche sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale cinese – che richiede chip delle ultime generazioni per poter funzionare -, mentre l’industria militare potrebbe risentirne solo sul lungo periodo. In ogni caso, la Cina si trova ormai obbligata a costruirsi in casa tutta la filiera di produzione dei semiconduttori. Il processo sarà probabilmente lungo e costellato di una serie di sussidi (come quello previsto prossimamente da 143 miliardi di dollari), la cui efficacia resta tutta da dimostrare.

Yangtze Memory Technologies Co. – una delle aziende cinesi finita a dicembre nella “lista nera” della Casa Bianca – sta riducendo del 5-10% gli stipendi dei propri dipendenti. Come riportato da Caixin, diverse centinaia di loro sono stati invece licenziati e obbligati a rinunciare ai loro appartamenti, acquistati in via agevolata con la società, o a pagare rimborsi fino a 1 milione di yuan (148.000 dollari). Yangtze Memory è stata fondata nel 2016 grazie a finanziamenti statali ed è considerata una delle aziende più all’avanguardia del settore dei semiconduttori cinese.

Intanto, però, c’è chi chiede di stringere ancora di più il cappio sulla Cina. Il gruppo legato all’industria dei chip SEMI si è detto preoccupato per il fatto che i controlli degli alleati degli Stati Uniti – come Giappone e Paesi Bassi, appunto – non saranno restrittivi come quelli americani. Senza espandere i blocchi a più paesi o adottare misure più specifiche, tali provvedimenti risulteranno “per gran parte inefficaci”, ha dichiarato SEMI.

FMI: “Senza riforme la crescita cinese rallenterà”

Durante la sua revisione annuale dell’economia cinese, il Fondo monetario internazionale (FMI) ha consigliato alla Cina una serie di misure che il governo centrale dovrebbe adottare per mantenere alto il livello di crescita economica sul medio-lungo periodo. Le riforme strutturali proposte vanno dall’innalzamento dell’età pensionabile all’introduzione della parità di condizioni tra imprese statali e private, passando per la “ristrutturazione su larga scala” del settore immobiliare, la cui “crisi rimane irrisolta”. Stando a quanto riferito da Bloomberg, Pechino non l’ha presa bene. “Il mercato immobiliare cinese ha funzionato senza intoppi e non si trova in una situazione di crisi”, ha dichiarato Zhang Zhengxin, rappresentante della Repubblica popolare al consiglio esecutivo del FMI. Nonostante le difficoltà legate al settore e alla diffusione del contagio da Covid, per il FMI nel 2023 l’economia cinese crescerà del 5,2%. Previsione che però i funzionari di Pechino hanno bollato come “eccessivamente pessimista”. La Cina dovrebbe rendere noto il proprio obiettivo di crescita di quest’anno a marzo.

L’Iran fa sempre più uso di sistemi di sorveglianza cinesi

Le autorità degli Stati Uniti starebbero prendendo in considerazione l’applicazione di nuove sanzioni contro società cinesi che hanno rapporti con l’Iran. L’azienda in questione è Tiandy Technologies Co., di Tianjin, che nel 2022 avrebbe raddoppiato le vendite di piattaforme di sorveglianza, che combinano telecamere a circuito chiuso con riconoscimento facciale e altri servizi all’avanguardia, al Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (Irgc) iraniano e a un altro gruppo paramilitare del paese. Come dichiarato dalle autorità iraniane, la Repubblica islamica sta progettando di utilizzare gli apparati tecnologici per individuare e punire le donne che violano il rigido codice di abbigliamento, e pare siano anche serviti per reprimere le proteste. Tiandy è stata già inserita nella lista nera del dipartimento del Commercio Usa lo scorso dicembre, un anno dopo che Washington ha segnalato i suoi rapporti con l’Iran. Se applicate, le sanzioni potrebbero tagliare fuori la società dal sistema finanziario statunitense.

Il settore manifatturiero cinese riparte con difficoltà

Gli hub manifatturieri della Cina stanno sperimentando una grave carenza di lavoratori. Caixin ha riportato che le province meridionali cinesi del Guangdong e del Fujian hanno disposto dei voli allo scopo di riportare a casa i lavoratori migranti che si trovano ancora nei villaggi di origine dopo le vacanze del Capodanno lunare. Un certo numero di province della Repubblica popolare, infatti, sta intraprendendo molti sforzi per attrarre manodopera dopo l’abolizione della Zero Covid, fornendo incentivi per incoraggiare le grandi aziende a riprendere la produzione quanto prima e promuovere l’occupazione. Ma per le piccole e medie imprese la situazione rimane complessa. Come si legge in un articolo del South China Morning Post, infatti, molti lavoratori a basso reddito raccontano di proprietari di attività e fabbriche restii ad assumere nuova forza lavoro a causa delle incertezze dello scenario economico futuro. Risultato: diminuiscono i posti di lavoro disponibili e le paghe sono inferiori.

La seconda vita delle stazioni per i test in Cina

Cosa farne delle decine di migliaia di stazioni per i test molecolari sparse per la Cina, all’indomani dell’abolizione della Zero Covid? Come scrive Bloomberg, alcune sono state riutilizzate per le necessità del momento: a dicembre, con l’esponenziale aumento dei contagi, le autorità di Shenzhen e Changsha le hanno trasformate in punti di distribuzione dei farmaci, per ridurre la pressione sugli ospedali sovraccarichi. Molte, tuttavia, sono state rottamate o restano inutilizzate. Di recente governi e comunità locali si stanno muovendo per riqualificarle, nell’ottica di sostenere i consumi e il turismo: a Suzhou, ad esempio, sono state riconvertite in bancarelle di cibo e souvenir per il Capodanno lunare. Altra sono diventate biblioteche, stazioni di riposo per gli addetti alle pulizie delle strade o centri per l’impiego per i lavoratori migranti

Hong Kong-Macao-Cina continentale: riaprono le frontiere

Oggi lunedì 6 febbraio Pechino riapre completamente le frontiere con Hong Kong e Macao. Nella conferenza stampa dei giorni scorsi il capo dell’esecutivo di Hong Kong John Lee Ka-chiu ha comunicato la decisione di abolire i test PCR per i viaggiatori dalla Cina continentale, che rappresentano la maggior parte dei casi di Covid importati nell’ultimo mese: Lee ha detto di ritenere nel complesso il rischio “gestibile”, e ha aggiunto che la decisione di aprire le frontiere indica che ha “mantenuto la promessa elettorale”. Da oggi, quindi, non serviranno più test PCR per andare e venire dalla Cina continentale (tranne, pare, se chi arriva da Hong Kong è stato all’estero nella settimana precedente). Resta, tuttavia, l’obbligo dell’utilizzo della mascherina. Per il ripristino dei collegamenti ferroviari, invece, bisognerà ancora aspettare: da metà gennaio sono permesse solo le tratte a corto raggio (ad esempio fino a Guangzhou). Hong Kong si sta quindi muovendo per attrarre turisti dopo tre anni di chiusura, come dimostra la campagna “Hello Hong Kong” lanciata dalle autorità la scorsa settimana.

A cura di Vittoria Mazzieri e Francesco Mattogno; ha collaborato Alessandra Colarizi