I titoli di oggi:
- Alleanza dei chip tra Usa, Giappone e Paesi Bassi
- Cina, addio Covid?
- Isole del Pacifico, crollano i prestiti cinesi
- Spam e messaggi pro-Cina sulle piattaforme Google
- Gli IDE dello Xinjiang sono raddoppiati nel 2022
- Pechino torna a rilasciare i visti per i passeggeri giapponesi
- Sony divide la produzione tra Cina e Thailandia
- Mar cinese meridionale: Vietnam e Indonesia firmano accordo
- Giappone, intelligence aziendale contro i rischi della geopolitica
Alleanza dei chip tra Usa, Giappone e Paesi Bassi
Ci sono voluti due anni di negoziati promossi dagli Stati Uniti con Paesi Bassi e Giappone, entrambi preoccupati delle conseguenze sulle aziende del paese (in particolare la ASML, olandese, e la Tokyo Electron). Ma alla fine gli sforzi di Washington sono stati premiati: ratificato venerdì della scorsa settimana, il nuovo accordo trilaterale segna un passo significativo degli sforzi statunitensi per limitare le esportazioni di chip in Cina. Una mossa che segue l’imposizione da parte dell’amministrazione Biden dei controlli sull’export, che impediscono alle aziende del paese di vendere attrezzature avanzate ai gruppi cinesi che producono chip. Non è ancora chiaro quali meccanismi verranno utilizzati per imporre le restrizioni. A Bloomberg l’amministratore delegato della ASML, Peter Wennink, ha dichiarato che spera che l’accordo non abbia un “forte impatto” sull’industria. Ma ha aggiunto che le conseguenze potrebbero essere indesiderate: messa alle strette, Pechino potrebbe arrivare a sviluppare autonomamente le tecnologie necessarie.
D’altronde, da anni la Cina si prepara a questo momento. È di ieri la notizia che, nonostante le molteplici restrizioni, la China Academy of Engineering Physics (CAEP), il principale centro di ricerca nucleare cinese, è entrata in possesso di chip americani. Lo ha riportato in esclusiva il Wall Street Journal, secondo il quale negli ultimi dieci anni la CAEP avrebbe ottenuto i semiconduttori prodotti da Intel e Nvidia attraverso dei rivenditori cinesi. I chip – tra i 7 e i 14 nanometri, e reperibili anche su Taobao – sono utilizzati nei sistemi operativi dei pc, ma, secondo gli esperti, possono anche essere impiegati per il mantenimento dell’arsenale nucleare cinese. La CAEP è stata direttamente coinvolta nello sviluppo della prima bomba a idrogeno cinese ed è dal 1997 nell’entity list del Commercio. A giugno il dipartimento ha esteso le restrizioni sull’export a 10 entità di proprietà della CAEP o sotto il suo controllo. A conferma dei dubbi degli analisti, l’inchiesta mette in risalto i molti limiti delle misure introdotte dalla Casa Bianca nell’ultimo anno con lo scopo dichiarato di privare la Cina di componentistica dual use.
Mar cinese meridionale: Vietnam e Indonesia firmano accordo
Di recente Vietnam e Indonesia hanno raggiunto un accordo che ha segnato la conclusione di 12 anni di negoziati e ha finalizzato la delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive (Zee) intorno alle isola Natuna. Una pietra miliare delle relazioni bilaterali tra i due paesi che però si è configurata come una nuova sfida per Pechino: le zee, infatti, si trovano all’interno della 9 dash-line cinese (南海九段线), la linea che delimita le rivendicazioni della Repubblica popolare nell’area. Al South China Morning Post gli esperti hanno detto che i negoziati che riguardano la demarcazione delle acque contese “dovrebbero includere tutti gli attori” coinvolti e che “parte delle acque sono anche le tradizionali zone di pesca dei pescatori cinesi”. Senza nominare Vietnam e Indonesia, il ministero degli Esteri cinese ha affermato che “i negoziati sulla delimitazione marittima nel Mar Cinese Meridionale da parte dei paesi interessati non devono minare i legittimi interessi della Cina”. Poiché non è stato ancora raggiunto un codice di condotta tra Cina e i paesi dell’Asean, gli attori coinvolti (Stati Uniti compresi) stanno approfittando del margine di azione per ottenere maggior controllo nell’area. E non mancano gli scontri: di recente si è sfiorata la collisione tra un jet americano e uno cinese, mentre a inizio gennaio gli Usa hanno descritto il transito nello Stretto di Taiwan del cacciatorpediniere Chung-Hoon (che era già transitato in quelle acque lo scorso novembre) come un’operazione di “routine”.
Gli IDE dello Xinjiang sono raddoppiati nel 2022
Gli investimenti diretti esteri (IDE) nella regione autonoma dello Xinjiang sono quasi raddoppiati nel 2022. A riportarlo è la stampa statale cinese, secondo la quale si tratta di un nuovo record per la regione nord-occidentale cinese, dove vive la minoranza musulmana degli uiguri. I dati locali hanno mostrato che lo scorso anno gli investimenti esteri sono saliti a 459 milioni di dollari, con un aumento del 93,92% rispetto al 2021, quando la cifra si aggirava attorno ai 237 milioni di dollari (di poco maggiore ai 216 milioni del 2020). Ciò significa, hanno scritto i media cinesi, che “le rivendicazioni di “lavoro forzato” fabbricate da alcuni Paesi hanno perso credibilità”. Ad attirare gli investimenti nella regione non sarebbero soltanto la produzione di cotone e di silicio (che ha reso la regione da “remota area interna” a zona in prima linea nella spinta di apertura della Cina), ma anche i progressi che la regione ha compiuto nel settore del turismo. E, non da ultimo, i passi avanti su fronte sicurezza e stabilità, frutto di anni di lotta al terrorismo nella regione. Il messaggio dei media cinesi è chiaro: nonostante le accuse occidentali di genocidio e lavori forzati, il Xinjiang non perde il suo appeal agli occhi delle multinazionali straniere.
Spam e messaggi pro-Cina sulle piattaforme Google
Il Threat Analysis Group, un team di Google, ha affermato che nel 2022 una rete di propaganda legata alla Repubblica popolare cinese ha diffuso oltre 50 mila messaggi pro-Cina sulle sue piattaforme e su YouTube. La maggior parte dei contenuti postati dal gruppo, soprannominato Dragonbridge o Spamouflage Dragon, non era altro che spam, nella forma di filmati di animali e cibo. Ma sono stati rintracciati anche post che elogiavano la risposta della Cina alla pandemia, molto critici nei confronti delle proteste antigovernative di Hong Kong o degli Stati Uniti, o a sostegno della “unificazione armata” con Taiwan. Sebbene pare che molti video che sono stati bloccati su Youtube avessero poche o nessuna visualizzazione, il team di Google ha detto che dal 2019, quando ha iniziato a monitorare le azioni di Dragonbridge, il gruppo si è aggiornato e ha potenziato le proprie tattiche.
Cina, addio Covid?
Dopo una prima fase di preoccupazioni con l’abbandono della strategia “casi zero” il Covid non fa più paura. Almeno questo raccontano gli ultimi dati sulle morti correlate o causate dall’infezione che le autorità sanitare cinesi hanno riportato negli ultimi giorni. Nonostante, sottolineano, l’arrivo del primo Capodanno lunare senza restrizioni e i rientri di massa per festeggiare con le famiglie. Il timore è che il virus potrebbe passare dalle città alle campagne, oggi abitate soprattutto da anziani. Il Centre for Disease Control and Prevention (Cdc) cinese conferma però che il picco delle morti è già stato registrato all’inizio del mese, mentre tra il 20 e il 26 gennaio le morti sono scese a 6364, metà rispetto alla settimana precedente. Secondo il capo epidemiologo del Cdc, Wu Zunyou, almeno l’80% della popolazione cinese ha già contratto il Covid prima dell’arrivo del Capodanno. Nel frattempo, spiega Bloomberg in un approfondimento, l’economia cinese sarebbe in rapida ripresa dal ritorno delle riaperture.
Pechino torna a rilasciare i visti per i passeggeri giapponesi
A partire da domenica 29 gennaio la Cina tornerà a rilasciare i visti ordinari per l’ingresso di cittadini giapponesi nella Repubblica popolare. Solo poche settimane prima, all’inizio di gennaio, Tokyo aveva richiesto maggiori controlli sui viaggiatori in arrivo dalla Cina a causa dell’allentamento delle restrizioni Covid, e Pechino aveva risposto con la sospensione temporanea dei visti ordina
Isole del Pacifico, crollano i prestiti cinesi
I prestiti elargiti dalla Cina alle nazioni del Pacifico hanno toccato il minimo storico nel 2020. Il perché lo spiega l’ultima ricerca del Lowy Institute, che individua – tra le principali cause – una minore fiducia dei governi nei confronti di Pechino, preferendo le agenzie multilaterali e altri partner più affidabili. Il think tank australiano evidenzia l’incertezza emersa con la chiusura della Cina durante la pandemia, ma il trend è iniziato ben prima del Covid. La Pacific Aid Map, il database dell’istituto che raccoglie i dati sugli aiuti per lo sviluppo nel Pacifico, dimostra un progressivo calo dell’intervento cinese già nel 2016.
Sony divide la produzione tra Cina e Thailandia
La multinazionale giapponese Sony ha completato la divisione degli impianti di produzione di macchine fotografiche sulla base del mercato di arrivo. Ora i prodotti destinati al mercato cinese verranno prodotti dagli impianti di Sony in Cina, mentre la produzione destinata ai consumatori europei, giapponesi e statunitensi è ora completamente delocalizzata in Thailandia. A provocare questa scelta, una maggiore attenzione alle manovre commerciali che stanno limitando le esportazioni cinesi da parte di Usa e Unione europea. La compagnia conferma che “non ha intenzione di uscire dalla Cina”, ma ha preferito spostare la produzione anche – ma non solo – dopo gli imprevisti causati dalla strategia “casi zero”.
Giappone, intelligence aziendale contro i rischi della geopolitica
Le compagnie giapponesi, anche quelle più stabili sul mercato, stanno rafforzando il comparto di analisi del rischio e raccolta informazioni su economia e politiche dei principali partner commerciali. “Le società giapponesi sono state più lente nel rispondere ai rischi economici e geopolitici rispetto alle società statunitensi ed europee”, ha raccontato al Financial Times Kazuhide Ueno, avvocato dello studio legale Tmi Associates. Pandemia, guerre e competizione Cina-Usa sono solo alcuni degli elementi che stanno spingendo le aziende a investire più risorse per comprendere e prepararsi all’eventualità di un’altra crisi dei mercati. In particolare, i continui aggiustamenti della politica statunitense nei confronti dei beni assemblati o prodotti in Cina mette in difficoltà le compagnie giapponesi che si appoggiano ai partner cinesi.
A cura di Vittoria Mazzieri e Sabrina Moles; ha collaborato Alessandra Colarizi