Taiwan: nave Usa nello Stretto e spie di Pechino nell’esercito

In Asia Orientale, Economia, Politica e Società by Lorenzo Lamperti

Acque e cieli sempre più affollati sullo Stretto: la Repubblica popolare raddoppia i transiti di aerei nel 2022. Sette taiwanesi arrestati: «Spie di Pechino». Tra loro un ex generale e un ex deputato

La partita continua, a colpi di manovre e infiltrazioni militari, ma anche di commercio. Con Taiwan che prova a non farsi schiacciare dalla morsa. Gli Stati uniti hanno comunicato il transito nello Stretto di Taiwan del cacciatorpediniere Chung-Hoon, che aveva solcato quelle acque anche lo scorso 5 novembre.

L’esercito americano l’ha definita un’operazione di «routine»: nell’ultimo decennio sono circa 100 i transiti ufficiali. Ma Pechino sopporta sempre meno queste manovre. L’ambasciata cinese a Washington, appena lasciata da Qin Gang richiamato in patria col ruolo di ministro degli esteri, ha accusato gli Usa di «minare pace e stabilità».

ACQUE E CIELI al largo di Taiwan sono sempre più affollati: secondo il ministero della difesa di Taipei, nel 2022 sono stati 1.727 gli aerei dell’Esercito popolare di liberazione a entrare nel suo spazio di identificazione di difesa aerea, non riconosciuto da Pechino.

Quasi il doppio rispetto al 2021 e il 450% in più rispetto ai 380 del 2020. Il rischio di incidenti aumenta: nelle scorse settimane si è sfiorata la collisione tra un jet americano e uno cinese nel mar Cinese meridionale, episodio che ha generato accuse incrociate.

Sul sistema di difesa di Taipei aleggiano però anche ombre interne. Nei giorni scorsi sono state arrestate sette persone accusate di spionaggio a favore della Repubblica popolare. A capo dell’organizzazione ci sarebbe un colonnello dell’aeronautica in pensione, che avrebbe reclutato alcuni ufficiali in servizio attivo. Coinvolti anche il generale maggiore della Marina in pensione Hsia Fu-hsiang e l’ex deputato Lo Chih-ming, in passato membro di un piccolo partito indipendentista.

Il sospetto dei magistrati è che proprio Lo abbia contattato l’ufficiale dell’aeronautica, che avrebbe ricevuto 700mila dollari taiwanesi (circa 20mila euro) attraverso una società di comodo. Non si tratta del primo caso.

A NOVEMBRE un militare è stato arrestato con l’accusa di percepire il corrispettivo di 1.200 euro al mese per passare informazioni dall’altra parte dello Stretto. Lo scorso giugno è finito a processo un ex generale. Insomma, a Taipei il timore delle infiltrazioni di Pechino aumenta.

Fa discutere anche la vicenda di un componente del missile antinave Hsiung Feng III, transitato nella provincia cinese dello Shandong. Il National Chung-Shan Institute of Science and Technology, principale attore dello sviluppo missilistico taiwanese, ha dichiarato che il teodolite (strumento ottico di precisione) era stato acquistato in Svizzera e qui spedito per riparazioni. Ma sulla via del ritorno è passato da Qingdao, dove il produttore ha spiegato di avere la sede di manutenzione per l’Asia orientale.

Taipei ha assicurato che non ci sono state fughe di dati, mentre ieri la presidente Tsai Ing-wen ha presieduto il primo test di un drone tattico ad ala rotante a distanza ravvicinata nella base militare di Chiayi.

Tensioni anche sul fronte commerciale. A dicembre Pechino ha bloccato l’import di una serie di bevande taiwanesi, tra cui la birra e il celeberrimo kaoliang, liquore di sorgo prodotto a Kinmen consumato nello storico incontro tra Xi Jinping e l’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou nel 2015.

NEI GIORNI SCORSI Taipei ha risposto vietando le spedizioni di granchi cinesi, tipico ingrediente nei banchetti del vicino capodanno lunare. Intanto, gli Usa hanno annunciato un nuovo round di negoziati per un accordo commerciale bilaterale dal 14 al 17 gennaio a Taipei: previste reazioni di Pechino.

Ma Taiwan ha voluto mandare un segnale a Washington, chiedendo di partecipare alle discussioni incentrate sulla protesta della Cina contro le sanzioni statunitensi sui semiconduttori presso l’Organizzazione mondiale del Commercio.

«Saremo imparziali», ha detto il capo negoziatore John Deng. La mossa ha anche un valore politico interno: l’opposizione soffia sui timori di chi osserva con fastidio i sempre più cospicui investimenti all’estero (soprattutto negli Usa), dei colossi taiwanesi dei microchip.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]