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In Cina e Asia – 170 aziende salvate dall’espulsione dalle borse Usa

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

  • 170 aziende salvate dall’espulsione dalle borse Usa
  • Altre 36 aziende cinesi entrano nella blacklist Usa
  • Pechino vara piano economico 2022-2035
  • Proteste A4: sette manifestanti rischiano accuse penali
  • Studente cinese arrestato negli Usa per stalking
  • Il Vietnam espande le proprie isole contese 

Giovedì 15 dicembre il Public Company Accounting Oversight Board (Pcaob) degli Stati Uniti ha annunciato di aver ottenuto l’accesso ai dati di auditing delle società cinesi quotate sulle borse americane. È la prima volta che accade nella storia delle relazioni economiche della Repubblica popolare con l’estero e fa seguito a oltre un decennio di rifiuti. Ciò è frutto di un lungo processo di negoziazione tra le due parti, iniziato la scorsa primavera davanti alla minaccia da parte dei regolatori Usa di cancellare le partecipazioni di tali società negli States. La mossa, avviata con il l’accordo in agosto tra la Pcaob e la China Securities Regulatory Commission (Csrc), ha impedito il delisting di almeno 170 società cinesi.

“Questa notizia è certamente una boccata d’aria fresca dopo gli ultimi anni di profonda preoccupazione che ci sarebbe stata una rottura tra i due mercati”, ha affermato Jeremy Mark analista dell’Atlantic Council. Secondo l’esperto, interrogato dal Wall Street Journal, “la forte flessione dell’economia cinese nell’ultimo anno potrebbe aver motivato Pechino a fare la concessione per consentire l’ispezione statunitense in modo che le società cinesi possano rimanere quotate. […] L’ultima cosa di cui avevano bisogno era perdere l’accesso a Wall Street“. Immediata la risposta dei mercati: a poche ore dall’annuncio i titoli cinesi quotati negli Usa hanno registrato una cresci importante rispetto agli ultimi mesi.

 

Altre 36 aziende cinesi entrano nella blacklist Usa

Non tutte le notizie economiche tra le due sponde del Pacifico sono tanto ottimiste. Sempre nella giornata di giovedì il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha aggiunto altre 36 imprese cinesi alla propria lista nera (o entity list). La decisione rientra nelle ultime manovre volute dall’amministrazione Biden per contrastare la crescente presenza cinese nel settore dei semiconduttori, e rendendo così più complesso l’iter di esportazione di alcune tecnologie chiave dagli Usa alla Cina.

Tra le società colpite dal ban rientra, per esempio, la Yangtze Memory Technologies, il principale produttore cinese di microchip. “YMTC rappresenta una minaccia immediata per la nostra sicurezza nazionale; quindi, l’amministrazione doveva agire rapidamente per impedirle di ottenere anche solo un centimetro di vantaggio militare o economico “, ha dichiarato il senatore dem Chuck Schumer. Colpita inoltre la società leader nella progettazione di chip Cambricon, che già nei mesi precedenti avrebbe sperimentato non poche difficoltà a causa dei nuovi controlli alle esportazioni dei propri fornitori statunitensi. Nella blacklist compare anche lo Shanghai Integrated Circuit Research and Development Center, Gruppo impegnato nel raggiungimento della piena autonomia in materia di design e produzione di chip.

Pechino vara piano economico 2022-2035

La Cina continuerà a puntare su consumi interni e investimenti per sostenere la propria crescita economica. Ma mantenendo aperto il proprio mercato ai capitali stranieri.  È quanto emerge da un piano rilasciato mercoledì dal Consiglio di Stato, secondo il quale grazie – alla cosiddetta “doppia circolazione” – da qui al 2035 la Cina creerà un “campo gravitazionale di risorse internazionali di fascia alta”. L’intento è quello di aumentare l’interoperabilità delle catene di approvvigionamento globali rendendo così impossibile un decoupling. Il piano, come si legge nel testo, servirà a contrastare “unilateralismo”, “protezionismo” e “bullismo”. Una menzione particolare se la sono guadagnata la “prosperità comune” (concetto che implica un ampliamento della classe media) e la Greater Bay Area, la macroregione economica che coinvolge la Cina meridionale, Hong Kong e Macao.

I dati economici, rilasciati ieri, tracciano un quadro abbastanza sconfortante. La produzione industriale – che comprende i settori manifatturiero, dei servizi di pubblica utilità e il comparto minerario – è cresciuta del 2,2% rispetto all’anno precedente, ben al di sotto delle aspettative degli economisti di una crescita del 3,6%. Le vendite al dettaglio, un indicatore importante della spesa dei consumatori, sono diminuite del 5,9% su base annua rispetto alle aspettative di un -3,7%.

I policymaker ostentano sicurezza. Arringando un forum Cina-Ue Liu He, braccio destro di Xi e vicepremier uscente, ha tranquillizzato l’uditorio sul futuro dell’economia cinese e soprattutto del mercato immobiliare, che conta per un quinto del Pil nazionale.

Proteste A4: sette manifestanti rischiano accuse penali

Sono almeno quattro i manifestanti in stato di fermo dalle proteste contro la strategia Zero Covid del mese scorso. Secondo diversi media in lingua inglese, a dare l’allarme sono stati alcuni avvocati a conoscenza dei fatti. La madre di una delle manifestanti di nome Yang Zijing ha inoltre raccontato al WSJ che la figlia è stata arrestata per aver “aver fomentato litigi e provocato problemi”, un’accusa che in Cina viene spesso utilizzata contro gli attivisti. Storie analoghe giungono anche da altre parti del paese. Nella città di Chengdu, tre ragazzi, compreso un 24enne di etnia uigura, si trovano in stato di detenzione da tre settimane, ben più rispetto al limite di 24 ore previsto entro cui per legge andrebbero notificati gli arresti. Nessuno di loro pare aver ricevuto assistenza legale e una volta formalizzato l’arresto potrebbero dover rispondere di accuse penali. Il caso di Yang è particolarmente sospetto: secondo gli amici, la ragazza era molto attiva nella difesa dei diritti LGBT e non è escluso che le autorità sfrutteranno il suo attivismo per rilanciare la tesi della manipolazione da parte di forze straniere nelle proteste dei fogli A4. Le premesse ci sono tutte: proprio un paio di giorni fa l’ambasciatore cinese in Francia ha pubblicamente definito le proteste contro la Zero Covid “una rivoluzione colorata“.

Studente cinese arrestato negli Usa per stalking

Un ragazzo cinese è comparso davanti a un tribunale americano per rispondere dell’accusa di stalking. Xiaolei Wu, 25 anni, studente del Berklee College of Music di Boston, rischia fino a cinque anni di carcere, tre anni di libertà vigilata e una multa di 250.000 dollari, per aver inviato messaggi minacciosi a una persona che aveva affisso volantini pro-democrazia. Proprio un paio di giorni fa raccontavamo di come i giovani cinesi all’estero siano animati spesso da un forte sentimento nazionalista. Motivo per cui l’attivismo di alcuni coetanei – come la vittima di Wu – è anche più rimarchevole: nonostante i rischi c’è chi non rinuncia a esprimere la propria opinione.

Il Giappone approva nuova strategia militare

Il Giappone ha approvato una nuova strategia di difesa che prevede un aumento della spesa militare al 2% del Pil e dovrebbe fornire le capacità di contrattacco verso basi missilistiche nemiche. Il nuovo piano  tiene conto della guerra in Ucraina, delle provocazioni missilistiche della Corea del Nord ma anche della crescente minaccia cinese nell’Indo-Pacifico. Condannato da molti come un ritorno al vecchio militarismo, il testo giustifica le disposizioni definendole “minime misure necessarie di autodifesa”. La National Security Strategy – uno dei tre documenti che definiscono il nuovo assetto militare – descrive la Cina come “la più grande sfida strategica di sempre”.

Il Vietnam espande le proprie isole contese

La Cina non è l’unica a farsi prepotentemente largo nel Mar cinese meridionale. Secondo il Centro per gli studi strategici e internazionali (CSIS) di Washington, dall’ottobre 2021 il Vietnam ha consistentemente ampliato l’estensione degli isolotti contesi, su cui esercita il controllo. Attraverso lavori di bonifica e dragaggio sono stati creati circa 170 ettari di nuovi territori per una superficie totale di 220 ettari in dieci anni. Nulla in confronto ai 1295 ettari attribuiti alla Cina tra il 2013 e il 2016. Ma i lavori hanno ingrandito notevolmente Namyit Island, Tennent Reef, Pearson Reef e Sand Cay permettendo l’ampliamento delle strutture portuali, ora in grado di ospitare navi da guerra di grandi dimensioni. Contestualmente, le attività stanno proseguendo su altre cinque isole. L’area in questione fa parte dell’arcipelago delle Spratly rivendicato – oltre che dalla Cina – da Taiwan, Vietnam, Filippine, Brunei e Malesia.

A cura di Alessandra Colarizi; ha collaborato Sabrina Moles