guo feixion

Guo Feixong, da piazza Tian’anmen alla condanna per “istigazione alla sovversione”

In Uncategorized by Alessandra Colarizi

Dopo le rare proteste dello scorso novembre, l’ossessione di Pechino per il controllo sociale ha raggiunto nuovi livelli. Mentre molti dei partecipanti al “movimento dei fogli bianchi” sono stati rilasciati, l’attenzione del governo è ora rivolta agli attivisti di lungo corso.

 

Il mio credo politico e i miei ideali non sono mai cambiati: che la Cina realizzi pienamente libertà, democrazia, diritti umani e stato di diritto. Questa è l’intenzione originale, fondamentale e ultima di tutte le mie attività sociali, intellettuali e accademiche.” Yang Maodong non smette mai di crederci, nemmeno poco prima di venire condannato a otto anni di reclusione per “istigazione alla sovversione del potere statale”. Meglio noto con lo pseudonimo di Guo Feixiong, l’avvocato e attivista è stato processato qualche settimana fa a porte chiuse, nella città di Guangzhou. Un procedimento lampo conclusosi inusualmente con l’annuncio della pena lo stesso giorno. L’accesso all’aula è stato precluso tanto ai familiari, quanto ai molti diplomatici stranieri interessati ad assistere.

Le circostanze controverse delle accuse ha infatti reso quello di Yang un caso di respiro internazionale. Nel gennaio 2021, la polizia lo aveva arrestato all’aeroporto di Pudong a Shanghai mentre cercava di imbarcarsi per gli Stati Uniti, citando “gravi rischi per la sicurezza nazionale”. Yang voleva raggiungere la moglie malata di cancro poi morta all’inizio del 2022 senza aver più rivisto il marito. Tra il materiale probatorio figurano interviste rilasciate dall’attivista a Radio Free Asia e articoli “sovversivi”, alcuni dei quali comparsi su World Constitutional Democracy Forum, un sito web di sua creazione. Secondo il resoconto dei familiari, i pubblici ministeri avrebbero affermato che quanto detto e scritto dall’avvocato costituisce un “assalto e una denigrazione a lungo termine del sistema politico cinese”.

Il mio credo politico e i miei ideali non sono mai cambiati…” Azzittito dal giudice dopo pochi minuti, quel discorso Yang non è mai riuscito a finirlo. Ma anche solo poche frasi bastano a comprendere la sua determinazione. Per il 57enne è infatti già la terza condanna. Nato nel 1966 nella provincia dello Hebei, Yang comincia la sua battaglia per i diritti umani in Cina nel 1989, quando da ragazzo prende parte alle proteste di Tian’anmen. Accantonati gli studi di filosofia, diventa avvocato autodidatta. Collabora con lo studio legale Shengzhi di Shanghai occupandosi soprattutto dell’espropriazione forzata delle terre agricole.

Arrestato una prima volta nel 2007, Yang trascorre 11 anni in prigione per aver pubblicato illegalmente un libro su uno scandalo politico avvenuto nella città settentrionale di Shenyang. Poi nel 2013, finisce nuovamente nel mirino delle autorità, stavolta per il suo coinvolgimento nelle proteste contro la censura inscenate dalla storica testata liberale del Southern Weekly. Xi Jinping è segretario del partito comunista solo da pochi mesi, ma l’impronta autoritaria della sua amministrazione è già evidente. Dopo due anni di fermo, nel 2015 Yang ne sconta dietro le sbarre altri sei con l’accusa di aver “fomentato litigi e provocato problemi”. Allusione tanto alle manifestazioni contro la censura quanto alla campagna condotta per spingere il governo cinese a ratificare la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, firmata da Pechino nel 1998. “Continuando a condannare i democratici e chi cerca la giustizia non farete altro che renderli più forti, accelerando la vostra caduta”, avverte l’attivista rivolgendosi ai leader nell’ultima dichiarazione pubblica prima della prigione.

Durante la reclusione Yang subisce torture e, anche una volta rilasciato nell’agosto del 2019, rimane sotto stretta sorveglianza della polizia. Secondo quanto raccontato all’epoca dalla moglie, l’avvocato “è stato rinchiuso per [più di] due anni in uno spazio molto piccolo e ristretto, dove non è stato in grado nemmeno di muoversi. Non gli è stato permesso di uscire per fare esercizio o per vedere la luce del sole. Penso che questa sia una lenta forma di tortura”. Commentando l’ultima sentenza, l’amico e attivista, Zhu Chengzhi, sottolinea come la lunga pena detentiva inflitta a Yang equivale, di fatto, a una “condanna a morte”. L’avvocato ha condotto vari mesi di sciopero della fame e l’astinenza dal cibo ha provocato “enormi danni alla sua salute”. “Temo che non potrà sopravvivere fino al giorno del suo rilascio”, ha commentato Zhu.

Fin dall’inizio del suo primo mandato Xi Jinping ha dimostrato tolleranza zero verso il dissenso. Ma, dopo le rare proteste dello scorso novembre, l’ossessione di Pechino per il controllo sociale ha raggiunto nuovi livelli. Mentre molti dei partecipanti al “movimento dei fogli bianchi” sono stati rilasciati, l’attenzione del governo è ora rivolta agli attivisti di lungo corso. Soprattutto quelli con contatti all’estero. Il processo di Yang segue di circa un mese le durissime pene comminate agli avvocati, Xu Zhiyong, e Ding Jiaxi. I due dovranno trascorrere dietro le sbarre rispettivamente 14 e 12 anni con l’accusa di “sovversione del potere statale”. Ancora nessuna notizia invece del collega, Yu Wensheng, e della moglie Xu Yan: in isolamento da più di un mese, i coniugi erano stati trattenuti il 13 aprile mentre cercavano di raggiungere una delegazione dell’Unione europea in visita a Pechino.

Di Alessandra Colarizi