La pace in Corea è a un passo e può rendere inutile il vertice Kim-Trump

In Uncategorized by Redazione

Il vertice domani tra i leader delle due Coree può portare alla firma del trattato di pace atteso dal 1953. E con esso il pieno riconoscimento della potenza nordcoreana. Una svolta epocale, che paradossalmente potrebbe affossare l’incontro — dall’esito molto più incerto — tra Kim e Trump.


Un anno fa, il 25 aprile 2017, i media internazionali aprivano le proprie edizioni con la notizia di un sottomarino Usa pronto ad arrivare in acque coreane. A Seul la presidente Park era stata cacciata — via impeachment — e solo il 9 maggio Moon Jae-in, ex avvocato per i diritti umani e figlio di emigrati dalla Corea del Nord, avrebbe vinto le elezioni presidenziali in Corea del Sud. Kim Jong-un aveva effettuato i test missilistici che avevano indotto Trump a minacciare clamorosi interventi militari (ricordate l’”invincibile armada”?). La Cina chiedeva moderazione, la Russia pure, il Giappone soffiava sul fuoco.

Solo un anno dopo tutto il mondo è concentrato su ben altri temi, ma sempre nella penisola coreana: domani infatti si svolgerà l’incontro storico tra Kim Jong-un e Moon Jae-in nel “villaggio della pace”. Dai sottomarini Usa e dai tweet muscolari, siamo passati a esercizi di stile sul menù, a ricostruzioni in computer grafica sulla stretta di mano tra i due leader, all’attesa per un incredibile, quanto mai inaspettato, trattato di pace tra le due Coree.

I tempi della politica, e quelli della geopolitica, nel mondo multilaterale e iperconnesso corrono alla velocità della luce; il tempo diventa un intervallo tra il precipitarsi delle cose ed eventi di portata storica mondiale. Appena un anno dopo la propria elezione, il presidente Moon Jae-in, gigante diplomatico del nostro periodo, è riuscito a disinnescare Kim Jong-un, a portarlo a un tavolo negoziale e a firmare un probabile trattato di pace che mette fine a una guerra terminata militarmente nel 1953, ma appoggiata alla storia da un armistizio che di fatto l’ha portata a protrarsi, negli animi e nei fatti diplomatici, fino ai nostri giorni.

Proprio il trattato di pace eventuale che verrà, probabilmente, sancito dall’incontro inter-coreano, costituisce la novità e l’aspetto più rilevante di questa clamorosa piega degli eventi diplomatici in Corea. Dopo questo incontro, infatti, potrebbe toccare a quello, altrettanto storico, tra Kim Jong-un e Trump. Ma se il summit del 27 aprile è avvolto da un cielo sereno in termini di approcci e volontà a chiudere una fase storica, quello tra Usa e Corea del Nord, in attesa che venga ufficializzato (non c’è ancora né data né luogo) è invece immerso in nubi pesanti, gravide di promesse sospette e potenziali incomprensioni.

Se i media sudcoreani hanno già immaginato il momento più emozionante del venerdì 27 aprile, la stretta di mano tra Kim e Moon, un vero attimo ad alta commozione, parecchi dubbi finiscono invece per avvolgere l’incontro successivo, quello tra Kim e Trump. E i due fatti sono parecchio collegati tra di loro: il successo del primo meeting, paradossalmente, potrebbe affossare il secondo.

Al confine tra le due Coree, insieme al menu rispettoso dei gusti adolescenziali di Kim (che ha studiato in Svizzera) e con tanto di chef di Pyongyang al seguito (si dice che i suoi noodles facciano sognare) i due leader di Corea del Nord e Corea del Sud potrebbero infatti sancire la pace tra i due Paesi.

Cosa significherebbe? Intanto vorrebbe dire un riconoscimento reciproco; il Sud non potrebbe più negare l’esistenza di un’entità politica al Nord, il Nord potrebbe cominciare a ragionare sul non vedere per forza di cose il Sud come una minaccia. Si tratterebbe di un’intesa che — se finisse per andare oltre un trattato e consentisse la ripresa di relazioni economiche tra i due Paesi — porterebbe a una situazione pacifica e perfino più redditizia economicamente, soprattutto per Kim Jong-un.

A quel punto, se il trattato di fatto finirebbe per riconoscere la Corea del Nord come potenza mondiale — e nucleare, implicitamente — ogni azzardo politico potrebbe diventare reale: non tanto in termini di riunificazione, quanto di prospettive federali, come evidenziato da alcuni analisti. Si tratterebbe di uno scarto e di una svolta epocale.

A quel punto, infatti, Kim potrebbe legittimamente chiedersi: se Russia, Cina e praticamente la Corea del Sud, possono considerarsi potenze “amiche”, che bisogno c’è degli Stati Uniti?

Se infatti Trump ha fatto sapere di apprezzare le ultime novità che arrivano da Pyongyang sullo stop ai test missilistici e sulle volontà a denuclearizzare, il presidente Usa non può non sapere di andare incontro a un periodo piuttosto ignoto in termini di certezze. Lo stop ai test non significa, infatti, smantellamento. La Corea del Nord potrebbe avere, ancora una volta, saputo giocare molto bene le proprie carte, annunciando qualcosa di scontato (il sito nucleare era comunque da chiudere perché martoriato dagli esperimenti sotterranei di anni) per poi incassare a un eventuale tavolo di negoziato come spesso ha fatto: prendendo tempo. Andare a controllare il reale smantellamento dell’arsenale, forse Trump lo ignora, significa predisporsi a tempi lunghissimi ed esiti per niente scontati.

Se dunque domani, venerdì 27 aprile 2018, si verificherà un evento davvero storico, non è detto che l’incontro previsto e successivo tra Trump e Kim possa realizzarsi davvero e soprattutto finire con un risultato importante. Ma i tempi della storia ormai sono accelerati e le sorprese, come sappiamo in questi giorni, sono sempre dietro l’angolo.

di Simone Pieranni

[Pubblicato su Eastwest]