«La strategia di Kim è lineare Trump non sa cosa l’aspetta»

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Intervista con il professor Antonio Fiori, esperto di Coree, sulla diplomazia in atto in Asia.


Venerdì 27 aprile si svolgerà l’incontro tra Moon Jae-in, presidente sudocreano e Kim Jong-un, leader della Corea del Nord. Dopo le affermazioni di quest’ultimo sullo stop ai test missilistici e il silenzio imposto nella zona demilitarizzata, tutto pare indicare una fase storica al bivio: dopo l’incontro tra Moon e Kim, infatti, attendiamo la data e il luogo del summit tra Kim e Trump. Ne abbiamo parlato con Antonio Fiori, professore associato di storia e istituzioni dell’Asia a Bologna e a adjunct professor presso la Korea University di Seul. Il suo libro «Il Nido del Falco» (2016, Le Monnier) è un testo imprescindibile per la conoscenza dell’attuale Corea del Nord.

Partiamo dalle recenti novità: come valutare le affermazioni di Kim su denuclearizzazione e stop ai test missilistici?
Se leggiamo il documento del partito dei lavoratori che riprende le dichiarazioni di Kim viene fuori l’affresco seguente: Pyongyang si impegna a smantellare l’esitente, non vendere a paesi terzi armi e chiudere Punggye-ri (il sito «nucleare» nordcoreano ndr). A parte il fatto che Punggye-ri doveva essere chiuso perché per i geologi c’è un rischio di crollo dato che i test sotterranei portano a scossoni mostruosi, questa concessione di Kim rientra nella logica strategica di Pyongyang. Bisogna poi aggiungere che nel discorso di Kim non si fa nessuna concessione sul completo annullamento del materiale fissile. Propongono di smantellare quanto hanno ma non c’è nessun riferimento al livello raggiunto dai programmi nucleari e missilistici. Quindi possiamo dire che sono arrivati a livello di gestione del programma nucleare e missilistico tale per cui non hanno più bisogno di testare il materiale che hanno. Sono arrivati dove volevano arrivare: si stanno confrontando da potenza nucleare con il resto del mondo. E a questo approdo si è arrivati anche grazie agli errori di Trump.

Questo indica una disposizione a negoziare: cosa significa da un punto di vista interno nordcoreano?
Loro sono sempre stati disposti a negoziare. Dobbiamo ricordare alcuni aspetti: dal punto di vista economico siamo in presenza di un’economia che non è avanzata ma non è messa malissimo, c’è un calo dovuto alle sanzioni. Se verranno tolte le sanzioni sarà ancora migliore la condizione economica. E sarà un altro punto a favore del regime.

Ha accennato a un clamoroso errore di Trump, di che si tratta?
Pur essendo da sempre favorevole a un accordo, da analista non posso che evidenziare gli errori mostruosi di Trump: negoziare in modo celato con i nordcoreani (come ha dimostrato il viaggio di Pompeo a Pyongyang ndr) e accettare l’invito di Kim a negoziare bilateralmente nello spazio di tre minuti. Trump non sa verso che cosa sta andando; non sono preparati, non hanno persone che lavorano a questi temi. Gli Usa hanno accettato di procedere in questo dialogo senza precondizioni: si tratta di un errore sconcertante. Se vai a negoziare con Kim senza precondizioni gli stai dando lo status che hai voluto negare per tutto questo tempo. Seconda cosa: se parleranno dello smantellamento del nucleare nordcoreano, hanno presente che tema complessissimo sarà? Quali difficoltà avranno? Quali spazi di manovra si apriranno per Pyongyang? Stiamo parlando di un’amministrazione nella quale nessuno ha idea di che strategia devono portare avanti. Trattare con i nordcoreani è complesso, gli Usa non sembrano capire con chi vanno a negoziare.

A proposito dell’incontro Moon-Kim: se si arriverà a un trattato di pace, anche in questo caso si tratterà di un importante riconoscimento della Corea del Nord; come influirà — anche questo — su Washington?
Se Moon, che è un gigantesco attore diplomatico, arriverà a un trattato di pace otterrà un passo avanti incredibile. Andare oltre l’armistizio è qualcosa di simbolico ma efficace specie se darà vita a collaborazioni economiche e interazione politica tra le due Coree. Ma c’è una questione su cui è necessario interrogarsi: continuo a non credere che eventualmente Kim possa avere qualche possibilità di incunearsi tra Seul e Washington ma qui si sta giocando una partita incredibile. Nonostante Moon spergiuri di procedere confrontandosi sempre con Washington, qui siamo di fronte a qualcosa di clamoroso: se si arriva a un trattato di pace avrà una sua ricaduta su Washington. Allora Pyongyang avrà dalla sua Cina, Russia e anche la Corea del Sud.

Oltre a questo, che prospettive il trattato di pace potrebbe aprire anche a nuove riflessioni su un’eventuale riunificazione?
Con il trattato di pace in chiave politica il Sud non potrà più dire che la penisola è tutta sua. La seconda questione è che l’eventualità è una precondizione per tutti gli altri sviluppi che possono esserci in futuro. È ovvio che il trattato di pace non possa porre — adesso — la questione della riunificazione. Ma se non c’è un trattato di pace di riunificazione non si può mai parlare. Io vedo una continuità con una sunshine policy rivisitata che eventualmente ponga la costruzione di un sistema federativo.

di Simone Piranni

[Pubblicato su il manifesto]