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Taiwan Files – Una seconda visita di Tsai negli Usa?

In Relazioni Internazionali, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Il doppio scalo di Tsai Ing-wen negli Usa e le voci su una possibile seconda visita. Le possibili reazioni di Xi. La postura di Pechino tra “due sessioni”, nomine e aperture. William Lai verso la candidatura nel Dpp, confusione nel Gmd. L’Honduras passa con la Repubblica Popolare. Qualche ombra sull’esercito taiwanese. Semiconduttori e chip war. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Partiamo dalle cose note. Tra fine marzo e inizio aprile, la presidente taiwanese Tsai Ing-wen effettuerà un doppio scalo tra New York (dove riceverà un premio in passato elargito anche a Henry Kissinger) e la California, dove incontrerà lo speaker Kevin McCarthy (qui la scorsa puntata di Taiwan Files dedicata all’argomento). Un transito sulla strada dell’America centrale, dove Taipei è peraltro destinata a perdere le relazioni diplomatiche con l’Honduras, che ieri ha annunciato l’intenzione di avviare i rapporti con Pechino in una mossa che è uno smacco per l’influenza americana nella regione.

Ma come ho scritto nei giorni scorsi su La Stampa, secondo quanto raccontato da due fonti a conoscenza dei fatti si starebbe lavorando a un secondo passaggio di Tsai negli Stati Uniti, in una fascia temporale che va tra agosto e novembre. In questo caso si tratterebbe di un viaggio specifico negli Usa. L’ipotesi sarebbe caldeggiata dai repubblicani, ma i democratici sarebbero spinti a un’accoglienza bipartisan per non mostrarsi deboli su Pechino a poco più di un anno dalle presidenziali. Anche da parte taiwanese ci sarebbe un calcolo politico: a gennaio 2024 sono in programma le presidenziali e il Partito progressista democratico (Dpp) di Tsai sa che se prima delle urne la Cina mostrasse i muscoli sarebbe favorito per la sua linea identitaria e nazionalista. Ospitare McCarthy a Taipei ad aprile, come sembrava essere previsto inizialmente, e generare una reazione anticipata di Xi avrebbe dato il tempo all’opposizione del Guomindang (con una postura molto più dialogante nei confronti di Pechino) di spostare il focus del voto. “Con un secondo viaggio di Tsai e una reazione cinese più vicina alle elezioni, il Dpp è convinto di trarre vantaggi alle urne”, viene spiegato.

Per quanto riguarda il doppio scalo delle prossime settimane, ci si aspetta una reazione contenuta sul piano militare da parte di Pechino, che potrebbe comunque inserire Tsai nella “lista nera dei secessionisti”: mossa senza precedenti per un leader taiwanese in carica. Una seconda visita, stavolta più “ufficiale”, metterebbe Xi spalle al muro: reagendo in modo aggressivo favorirebbe la nemesi Dpp alle elezioni, ma in caso contrario darebbe un’immagine debole sul fronte interno. Spinto a fare qualcosa di “nuovo”, non è escluso che mandi per la prima volta jet o navi entro le 12 miglia nautiche dalle coste di Taiwan in una inedita dimostrazione di sovranità. Ne ho parlato in breve anche a Nessun luogo è lontano su Radio 24.

Le due sessioni e la postura di Pechino tra avvertimenti e aperture

Lunedì scorso si sono concluse a Pechino le “due sessioni”. Qui ho tracciato un ampio bilancio di quanto emerso, tra nomine e riforma dell’apparato statale e governativo. Per quanto riguarda Taiwan, da segnalare diverse nomine di funzionari provenienti dal Fujian, la provincia direttamente affacciata sullo Stretto. Una mossa non direttamente collegata a Taipei, quanto ai rapporti di Xi Jinping. Ma che può avere un impatto anche su Taiwan. “Si tratta di figure che hanno ampi contatti da questa parte dello Stretto”, ci viene fatto notare da un funzionario. “Potranno contribuire al tentativo di proiezione in vista delle elezioni”.

Pechino ha mostrato una posizione cauta sulla politica di Taiwan durante le sessioni parlamentari, cercando di sminuire le speculazioni secondo cui l’isola potrebbe diventare la prossima Ucraina. La Cina promuoverà attivamente lo “sviluppo pacifico” delle relazioni tra le due sponde dello Stretto, ha dichiarato il presidente Xi Jinping alla massima assemblea legislativa del paese, pochi giorni dopo aver ottenuto un terzo mandato senza precedenti. Xi ha aggiunto che le interferenze esterne e le attività separatiste “indipendentiste di Taiwan” saranno risolutamente contrastate, mentre ha promesso di promuovere “incessantemente” la riunificazione della madrepatria. Ma ha insistito sulla “soluzione pacifica”, con termini e scelte lessicali molto meno aggressive che in altre occasioni. Una scelta dettata dalla contingenza globale, in cui la Cina prova a proporsi come “potenza responsabile” e “garante di stabilità” dopo aver favorito l’accordo tra Iran e Arabia Saudita e le manovre tra Mosca e Kiev, ma anche da una contingenza politica, visto che Pechino sa di non dover ripetere l’errore nel 2019 quando nell’anno della campagna elettorale taiwanese aveva mostrato molto i muscoli favorendo il Dpp.

Negli ultimi giorni sono arrivati alcuni segnali di distensione da entrambe le parti. Taipei ha riaperto i voli diretti con 10 città della Repubblica Popolare, mentre Pechino ha riaperto alle importazioni di pesce taiwanese. Significativo, peraltro, che tale mossa sia arrivata in concomitanza di una dichiarazione congiunta tra Taiwan e Usa sui passi avanti compiuti sul fronte di un possibile accordo commerciale. La reazione stride con quella del giugno scorso, quando alla notizia dell’avvio dei negoziati Pechino bloccò proprio le importazioni di cernie.

Tra le altre nomine, da segnalare quella di Li Shangfu a ministro della Difesa. Ingegnere aerospaziale, rientra nell’ondata di tecnocrati promossi a incarichi apicali a livello partitico e statale nell’era di Xi. Ma, soprattutto, Li è sotto sanzioni degli Stati Uniti dal 2018. Li all’epoca era direttore di un’agenzia che pianificava, sviluppava e procurava armi per l’Esercito popolare di liberazione, ed è stato sanzionato per il suo ruolo nell’acquisizione di aerei da combattimento SU-35 e di sistemi missilistici antiaerei S-400 dalla Russia. La nomina di Li ha la funzione per Pechino di segnalare a Washington che non accetta il suo sistema sanzionatorio, costantemente denunciato come unilaterale e mosso da una mentalità “egemonica” e “da guerra fredda”. Ma, nel concreto, ha il risultato di porre un ulteriore ostacolo alla ripresa del dialogo tra le due potenze in materia di difesa. Un dialogo interrotto dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei lo scorso agosto e mai del tutto riavviato, come dimostrato dalla gestione “bellicosa” della vicenda del presunto pallone-spia.

Il momento “scelto” per non parlarsi non è dei migliori. La tensione sullo Stretto di Taiwan sembra infatti destinata a rialzarsi presto. Per la prima volta, il ministero della Difesa di Taipei ha ammesso pubblicamente che sono in corso colloqui per la creazione di un deposito di armi e munizioni statunitensi in territorio taiwanese. Qualche settimana fa, per la prima volta il ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu è stato ricevuto a Washington insieme al consigliere per la Sicurezza nazionale Wellington Koo per colloqui legati al settore di difesa. E secondo indiscrezioni Washington avrebbe intenzione di quadruplicare la presenza di suoi consiglieri militari sull’isola.

Per non parlare del doppio scalo di Tsai negli Usa. Secondo il South China Morning Post, attraverso canali non ufficiali Pechino ha lanciato un’offerta probabilmente irricevibile agli Stati Uniti: per evitare reazioni aggressive al transito di Tsai e al suo incontro con McCarthy si chiederebbe la visita in Cina di una figura più alta in carico della politica statunitense. Essendo McCarthy la terza carica, le ipotesi sono solo due: Joe Biden (impossibile) o Kamala Harris. Ma il contesto attuale dei rapporti, con il rinvio a data da destinarsi della visita del segretario di Stato Antony Blinken, rende impensabile che l’assist venga raccolto da Washington.

Qui un ampio report dell’Economist su Taiwan.

Verso le elezioni del 2024

Come già detto, non pare probabile che Xi voglia un’escalation nel breve periodo. In primis, perché l’esercito cinese ha ancora bisogno di tempo per essere in grado di sostenere un’ipotetica invasione su larga scala. In secondo luogo, perché a gennaio 2024 sono in programma le elezioni presidenziali a Taiwan. Pechino sa che più mostra i muscoli e più favorisce il Partito progressista democratico dell’attuale presidente Tsai, inviso al Partito comunista cinese. Xi punta invece sul ritorno al potere dell’opposizione del Guomindang, il partito nazionalista che fu di Chiang Kai-shek, che ha una postura molto più dialogante con Pechino. Allo stesso tempo, la Cina teme che più il tempo passa e più le difese di Taiwan possano rafforzarsi, visto il crescente sostegno in tal senso fornito dagli Usa.

Il vicepresidente taiwanese William Lai ha ufficializzato la sua candidatura alle presidenziali di gennaio 2024 per il partito di maggioranza Dpp. Mentre l’attuale presidente Tsai Ing-wen è capo della fazione moderata del partito, Lai guida quella più radicale. In passato si è espresso a favore dell’indipendenza formale di Taiwan. Per Pechino Lai è “l’uomo della guerra”, una sua eventuale vittoria porterebbe davvero su territorio inedito la situazione sullo Stretto. Qui un ritratto di qualche tempo fa di Lai con qualche scenario sul voto del gennaio 2024.
Il Guomindang continua la difficile ricerca del suo candidato. Il presidente del partito Eric Chu continua a volerci provare, nonostante la maggioranza del partito preferirebbe il sindaco di Nuova Taipei Hou You-ih. I dubbi su Terry Gou alimentano la confusione (ne ho scritto qui). L’opposizione rischia di perdere una grande occasione vista anche la divisione col “terzo polo” dell’ex sindaco di Taipei Ko Wen-je. E intanto il Gmd perde un pezzo importante: la consigliera di Taipei Chung Pei-chun si è dimessa dal suo ruolo di partito a causa della nuova strategia elettorale. Tra i problemi: l’inclusione di un detenuto e un’età media di quasi 70 anni.
Esercito taiwanese tra annunci e ombre

Taipei approva il budget militare per il 2023, con un focus particolare sulla possibilità che la Cina nei prossimi mesi operi un “blocco totale” dell’isola. Taiwan ha presentato anche cinque nuovi tipi di droni militari indigeni.

L’anno scorso il Regno Unito ha approvato un forte aumento delle esportazioni di componenti e tecnologie per sottomarini a Taiwan, che sta potenziando le sue forze navali, una mossa che potrebbe avere un impatto sui legami britannici con la Cina continentale. Il valore delle licenze concesse dal governo britannico alle aziende per l’esportazione di componenti e tecnologie sottomarine a Taiwan ha raggiunto la cifra record di 167 milioni di sterline (201,29 milioni di dollari) nei primi nove mesi dello scorso anno, secondo i dati del governo britannico sulle licenze di esportazione. Un’analisi dei dati condotta dalla Reuters ha dimostrato che si tratta di un importo superiore a quello dei sei anni precedenti messi insieme.

Il programma di sottomarini di Taiwan deve affrontare molte difficoltà ma sta procedendo secondo i piani, ha dichiarato il ministro della Difesa Chiu Kuo-cheng. Taiwan ha ingaggiato una serie di fornitori stranieri di tecnologia sottomarina per la sua nuova flotta, con l’approvazione dei rispettivi governi, nel tentativo di rafforzare le proprie difese.

Un ufficiale della Marina di Taiwan in pensione e un ex membro del Parlamento sono stati accusati di un presunto tentativo di costruire una rete di spionaggio per Pechino. Hsia Fu-hsiang, che è stato vice capo del dipartimento di guerra politica della Marina, e l’ex legislatore Lo Chih-ming “hanno fornito a personale dell’intelligence cinese l’opportunità di contattare, e persino reclutare, i nostri generali in pensione nelle loro azioni per sviluppare una rete per le organizzazioni cinesi”, ha dichiarato l’ufficio del procuratore distrettuale di Kaohsiung. I due sono stati coinvolti dal 2013 con organizzazioni cinesi che lavorano per “promuovere l’unificazione di Taiwan con la Cina”, reclutando i generali in pensione.

Ha fatto molto parlare la vicenda di un soldato taiwanese scomparso da Kinmen (qui il mio reportage del novembre 2021 dall’ex avamposto militare di Chiang Kai-shek) e salvato dalla Guardia costiera cinese. Il soldato di 26 anni, di nome Chen, era di stanza sull’isola di Erdan a Kinmen e non si era presentato all’appello lo scorso 9 marzo, facendo ipotizzare che potesse aver disertato e nuotato verso la Cina continentale. Venerdì 10 marzo, l’Ufficio cinese per gli Affari di Taiwan (TAO) ha riconosciuto che un uomo è stato salvato dalla Guardia costiera ed è stato portato immediatamente in ospedale. Il governo di Taipei prova a fare maggiore luce sulla vicenda.

L’Honduras passa con Pechino. Dubbi anche sul Paraguay

Brutto colpo diplomatico per gli Stati Uniti. L’Honduras ha infatti annunciato che intende avviare relazioni diplomatiche ufficiali con la Repubblica Popolare Cinese, cioè Pechino.La naturale conseguenza sarà la rottura dei legami diplomatici con la Repubblica di Cina, cioè Taipei. Al di là degli equilibri tra le due sponde dello Stretto di Taiwan, si tratta di una notizia molto rilevante perché fa capire che l’ascendente degli Stati Uniti presso il cosiddetto “Sud globale” è in fase di declino. E, soprattutto, Washington mostra segni di cedimento nella sua influenza sull’America centrale.

In un tweet, Castro ha dichiarato di aver incaricato il ministro degli Esteri dell’Honduras di “gestire l’apertura delle relazioni ufficiali con la Repubblica Popolare Cinese”. La presidente, socialista democratica, ha ottenuto una vittoria schiacciante nel 2021 dopo una campagna elettorale basata su un programma radicale per contrastare anni di governo afflitti da corruzione e scandali.

Quando l’Honduras interromperà le relazioni con Taiwan, quest’ultima rimarrà in possesso di legami diplomatici formali con soli 13 paesi, per lo più piccole nazioni del Pacifico e dei Caraibi, più la Santa Sede. In seguito all’annuncio di Castro, il ministero degli Esteri di Taiwan ha dichiarato che Taipei rimane un partner saldo dell’Honduras e ha avvertito la nazione dell’America centrale di non “cadere nella trappola della Cina”.

Esulta invece Pechino: “Sulla base del principio ‘una sola Cina’, siamo disposti a sviluppare relazioni amichevoli e di cooperazione con l’Honduras e altri Paesi del mondo”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. “Accogliamo con favore la relativa dichiarazione da parte dell’Honduras”, ha aggiunto. 

D’altronde per Pechino si tratta di un segnale molto rilevante da lanciare a Washington, proprio alla vigilia dell’attesissimo viaggio della presidente Tsai Ing-wen in America centrale. Tsai sarà in Guatemala e Belize, altri due paesi coi quali Taipei mantiene relazioni ufficiali, ma sulla strada di andata e di ritorno farà un doppio scalo negli Stati Uniti tra New York e California, dove è in programma un incontro con lo speaker repubblicano Kevin MCCarthy.

Il colpo dell’Honduras mostra che la proiezione cinese in quello che dai tempi della “dottrina Monroe” viene considerato il giardino di casa degli Stati Uniti è sempre più forte. Nell’autunno del 2021 anche il Nicaragua aveva preso la stessa decisione, infatti, e presto potrebbe farlo anche il ParaguayAd aprile sono in programma le elezioni presidenziali nel paese sudamericano e due dei candidati alla leadership hanno manifestato l’intenzione di avviare rapporti ufficiali con Pechino in caso di vittoria. Negli anni precedenti, la Cina aveva convinto a “tradire” gli Usa su Taiwan anche El Salvador e Panama. Non solo. Pechino ha rapporti molto profondi con tutti i paesi sudamericani, sia politici sia commerciali. Proprio di recente ha intensificato la sua presenza in Bolivia dove è molto attiva per l’estrazione di litio, fondamentale per lo sviluppo delle auto del futuro. Ne ho scritto qui e parlato qui.

Tra Pacifico e Germania

Potrebbero invece fare il giro opposto gli Stati Federati di Micronesia (FSM), che hanno avuto colloqui con Taiwan a febbraio per cambiare i legami diplomatici in cambio di 50 milioni di dollari in assistenza dopo le frustrazioni con la Repubblica Popolare, ha dichiarato in una lettera il presidente uscente della nazione insulare del Pacifico. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina per l’influenza sulla sicurezza nelle isole del Pacifico sono in aumento e il presidente degli FSM David Panuelo è stato uno dei principali critici del tentativo della Cina di stringere un patto commerciale e di sicurezza con 10 nazioni.

David Panuelo afferma che Pechino sta conducendo una “guerra politica” nella regione come parte di una campagna per conquistare Taiwan. Della proiezione cinese nel Pacifico meridionale parla anche The China Project nel dettaglio.

La ministra dell’Istruzione tedesca Bettina Stark-Watzinger si recherà a Taiwan la prossima settimana. Il suo viaggio segna la prima visita di un ministro tedesco a Taiwan dal 1997. La visita può potenzialmente portare a reazioni di Pechino, ma come sottolinea il Financial Times: “Berlino ha respinto la proposta di Taipei di incontrare il ministro degli Esteri di Taiwan Joseph Wu. Non intendiamo politicizzare questa visita”, ha dichiarato un diplomatico tedesco.

Di Taiwan ha parlato anche il cancelliere Olaf Scholz, sabato 18 marzo in visita in Giappone, che ha intimato a Pechino di non alterare lo status quo dello Stretto attraverso l’utilizzo della forza.

Semiconduttori e chip war

Grandi discussioni e polemiche anche su quanto scritto da Semafor, secondo cui l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, gli Stati Uniti distruggerebbero l’industria altamente sofisticata dei semiconduttori di Taiwan piuttosto che permetterne la cattura se la Cina dovesse prendere il controllo dell’isola. Ipotesi smentita praticamente in qualsiasi sede.

“L’Unione Europea potrebbe non ottenere un impianto di chip dalle aziende taiwanesi se continuerà a rifiutarsi di impegnare Taipei nei negoziati commerciali”, ha scritto l’agenzia di stampa taiwanese Central News Agency in un editoriale.

Ma intanto la Reuters riporta che la Tsmc è in colloqui avanzati per l’apertura di uno stabilimento in Germania. Prima dell’annuncio ufficiale mancherebbe solo l’accordo sui sussidi governativi garantiti da Berlino. Ne scrivevo su La Stampa (edizione cartacea) lo scorso 10 gennaio: “Secondo quanto risulta a La Stampa, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) ha dato il via libera alla costruzione di uno stabilimento in Germania. Nelle scorse settimane Nikkei aveva raccontato che il colosso di Hsinchu stava valutando un investimento a Dresda. L’azienda aveva risposto che non c’erano ancora piani concreti. Ora sarebbe arrivato l’ok dopo un sopralluogo in terra tedesca. Sarebbe il primo stabilimento in Europa della TSMC, che da sola pesa oltre il 50% dello share globale del comparto di fabbricazione e assemblaggio di semiconduttori. Si tratterebbe di un investimento diretto, non di una joint venture. Va finalizzato l’accordo con la Germania, con cui si è trattato a lungo sull’ammontare dei sussidi governativi richiesti dal gigante taiwanese per assemblare chip utili all’industria dell’automotive, più grandi di quelli di ultima generazione a 3 nanometri appena lanciati in patria”.

Il fondatore della Tsmc Morris Chang ha partecipato, insieme al vicepresidente William Lai, alla presentazione taiwanese di “Chip War” di Chris Miller. Diverse le sue dichiarazioni rilevanti durante la conferenza stampa. Per la prima volta dice che Tsmc parteciperà allo sforzo di ristrutturazione delle catene di approvvigionamento guidato dagli Usa, sottolineando comunque le ripercussioni su affari e globalizzazione che questo sta comportando. Qui un ottimo thread di Stas Butler che ripercorre tutto quanto emerso dall’evento.

Il fornitore di Apple Inc, Foxconn  ha invece dichiarato di voler aumentare gli investimenti al di fuori della Cina continentale e gli sforzi per attirare le case automobilistiche nella sua attività di produzione a contratto. Occhi soprattutto sull’India (ne avevo scritto qui).

Segnalazioni

Uscito il libro di Ian Rowen: “One China, Many Taiwans: The Geopolitics of Cross-Strait Tourism“. Parla del turismo come una delle strategie economiche più visibili di Pechino per ottenere il controllo politico di Taiwan. Su Politico una sua breve intervista.

Ho fatto una lunga chiacchierata su Taiwan e quanto emerso dalle “due sessioni” con OgZero. Si ascolta qui.

Dal 31 marzo partecipo alla scuola di geopolitica “Domini”, organizzata dal centro studi Amistades. Qui per maggiori informazioni.

Di Lorenzo Lamperti

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Intervista a Ma Ying-jeou

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