Taiwan Files – Biden/Xi, summit Apec, Ma Ying-jeou, Chip Act, Tuan Tuan

In Relazioni Internazionali, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Il summit Apec e il faccia a faccia Biden-Xi, interviste a Ma Ying-jeou e Da Wei, il nuovo status quo e manovre diplomatiche, il Chips Act taiwanese e la morte del panda Tuan Tuan, la Cop27 e tanto altro. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

“Congratulazioni per il successo del XX Congresso”. “Erano 4 anni che non ci vedevamo, ti trovo bene”. Può sembrare strano, ma questo scambio di convenevoli è uno dei passaggi più interessanti del summit dell’Asia-Pacifico conclusosi sabato 19 novembre a Bangkok. Soprattutto per l’identità degli interlocutori: Xi Jinping e Morris Chang. Quest’ultimo, 91enne fondatore del colosso dei semiconduttori Tsmc, era per la sesta volta l’inviato di Taiwan al vertice regionale. Alle tensioni militari sullo Stretto e le restrizioni degli Usa sui chip, fa da contraltare una breve conversazione descritta come “deliziosa” dallo stesso Chang in conferenza stampa. Un raro incontro a questi livelli tra rappresentanti delle due sponde dello Stretto. L’industria dei semiconduttori è un barometro strategico fondamentale per i rapporti di Taipei con Pechino e con Washington, non solo a livello commerciale ma anche diplomatico. Ne ho scritto tantissime volte negli ultimi anni, per esempio qui e qui. Chang ha incontrato anche la vicepresidente americana Kamala Harris e il primo ministro giapponese Fumio Kishida. Ho scritto di questo e del rapporto Usa-Cina nel dettaglio qui.

Summit Xi/Biden

Lunedì 14 novembre è andato in scena a Bali l’atteso incontro faccia a faccia tra Joe Biden e Xi Jinping, il primo da quando Biden è alla Casa Bianca. Qui il readout Usa. Qui quello cinese. Taiwan resta il nodo principale del rapporto. Xi Jinping ha chiarito le linee rosse, Biden ha ribadito la posizione americana, aggiungendo che non vede il rischio di una “imminente invasione“. Wang Yi ha chiarito che Xi ha parlato della legge anti secessione e delle situazioni in cui richiede un’azione militare.

La sensazione è quella di cui abbiamo parlato tante volte su Taiwan Files: il tentativo non di trovarsi d’accordo, ma almeno di riconoscersi d’accordo di essere in disaccordo, ridiscutendo però dei guardrail sul rapporto. Taipei ha ringraziato Biden e ha ribadito la sua posizione sullo status quo.

Amanda Hsiao sottolinea un aspetto fondamentale: “Il tono di Xi su Taiwan rimane fermo, ma invita gli Stati Uniti a sostenere la loro politica di una sola Cina, invece di chiedere agli Stati Uniti di attenersi al principio di una sola Cina. Questo è un importante riconoscimento delle differenze esistenti tra le interpretazioni delle due parti sullo status di Taiwan”. In sostanza, Xi chiede a Biden di seguire se non il principio della unica Cina come interpretato da Pechino quantomeno la policy tradizionale americana dell’ambiguità strategica. Cioè di non favorire l’indipendenza formale di Taiwan.

Riposizionare i limiti del rapporto, compreso il tema Taiwan, appare importante in un momento in cui negli Usa arrivano diverse esternazioni su un argomento delicato e che sarebbe da maneggiare con cura, nell’interesse innanzitutto degli stessi taiwanesi.

Xi ha incontrato anche Harris, auspicando il mantenimento del canale di dialogo riaperto dal bilaterale di Bali con Biden, definito dal presidente cinese «strategico e costruttivo». Ma attenzione a definirlo disgelo, sembra semmai una ridiscussione dei limiti del confronto, per far sì che non sfoci in qualcosa di peggio. Già a Bangkok sono emerse posizioni diverse. A partire dai nomi. «Chi partecipa all’Apec ma continua a parlare di Indo-Pacifico partecipa all’incontro sbagliato. È l’Asia-Pacifico», ha twittato Chen Weihua, corrispondente in Europa del China Daily. Un modo per ricordare che il concetto di “Indo-Pacifico”, coniato dal Giappone in ambito Quad, non è considerato neutro.

«Questo non è il cortile di casa di nessuno» ha detto Xi nel suo discorso. «Gli Usa sono qui per rimanere», ha detto Harris. E si preparano già nuove frizioni “territoriali”. La vicepresidente si appresta a visitare le Filippine: incontrerà il presidente Ferdinand Marcos Jr. e si recherà a Palawan, l’arcipelago più vicino alle isole contese Spratly. Harris riceverà un briefing su una porzione di mare che la Cina rivendica quasi interamente. Sullo sfondo un potenziale Pelosi-bis, col probabile nuovo speaker repubblicano della camera Kevin McCarthy che in passato ha manifestato l’intenzione di visitare Taipei, attaccando Biden per non aver appoggiato il viaggio di Pelosi e la stessa Pelosi per non aver svolto una visita bipartisan. Difficile in quel caso prevedere convenevoli sullo Stretto.

Del bilaterale Xi/Biden, di G20 e delle implicazioni per Taiwan ho parlato su Radio Radicale ad “Asiatica“, insieme a Giulia Pompili, Francesco Radicioni e Valeria Manieri.

Qui un’analisi di Lyle Morris per interpretare le parole di Xi e di Pechino su Taiwan.

Intervista a Ma Ying-jeou

Nei giorni scorsi sono uscite due interviste che ritengo contenere diversi spunti di riflessione. La prima è quella all’ex presidente Ma Ying-jeou, pubblicata in versione integrale sull’ultimo numero di Limes e in versione più breve su La Stampa. Su Instagram ho postato un video di introduzione per rispondere anche a qualche messaggio che ho ricevuto sull’argomento.

 

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Passando ai contenuti. Qui qualche breve pillola della lunga intervista, realizzata nell’ufficio di Ma a Taipei durante il XX Congresso del Partito comunista cinese (qui la puntata di Taiwan Files dedicata al tema).

“Prima di incontrarci a Singapore, rappresentanti miei e di Xi hanno negoziato per decidere come rivolgerci l’uno all’altro. Alla fine, è stato deciso che non ci saremmo chiamati con la dicitura «presidente», ma semplicemente «signor Ma» e «signor Xi». Tutto qui. Ero stato in grado di costruire una relazione sofisticata ma pacifica con Pechino ed entrambe le parti erano in grado di negoziare su tutto”.

“Evitare la guerra dovrebbe essere l’obiettivo numero uno per entrambe le parti. Per raggiungere questo risultato bisogna prima dialogare, cosa che l’attuale governo non sta facendo. Quando il rappresentante tedesco ha lasciato il mio ufficio a Taiwan circa due anni fa, ha detto che la tensione era causata dal Partito comunista. È vero, ma perché quando ero presidente la situazione era stabile? Penso che si possa mantenere un dialogo con Pechino senza sacrificare le nostre convinzioni. Al momento, l’astio tra il Partito progressista democratico (Dpp, n.d.r.) e la Cina continentale è diventato molto difficile da gestire. Entrambe le parti dovrebbero essere ritenute responsabili, ma le mancanze del Dpp sono superiori”.

“La costituzione dice che il nostro nome è Repubblica di Cina. Nel periodo in cui ero presidente dicevo che essa è il nostro paese e che Taiwan è la nostra casa. Quando la gente mi chiede da dove vengo, alcune volte rispondo dalla Repubblica di Cina, popolarmente conosciuta come Taiwan; altre replico che sono di Taiwan, ufficialmente conosciuta come Repubblica di Cina. Noi crediamo ancora nel «consenso del 1992», che afferma l’esistenza di un’unica Cina ma con diverse interpretazioni”.

“I taiwanesi non hanno mai accettato la formula «un paese, due sistemi» sin da quando è stata proposta per la prima volta nel 1982. Originariamente Deng Xiaoping voleva applicarla a Taiwan, ma prima è stata usata per ottenere la restituzione di Hong Kong alla Cina continentale. In seguito alle proteste antigovernative hongkonghesi di qualche anno fa scatenate dalla legge sull’estradizione, molti hanno tratto la conclusione che il modello «un paese, due sistemi» è morto. Taiwan è molto diversa e la Cina continentale dovrebbe imparare da quanto accaduto a Hong Kong. Sono sicuro che Xi lo capisca, ma non può abbandonare l’idea originale di incorporare Taiwan. Questo è davvero lontano dai desideri dei taiwanesi. Qui la gente vuole avere relazioni pacifiche, ma non intende essere assorbita in una zona commerciale speciale della Cina continentale. Lo status quo può reggere se Taiwan garantisce di «non andarsene» e la Cina continentale di non attaccare”.

“Nel corso degli anni, il Partito comunista ha detto diverse volte che dopo un’ipotetica unificazione rispetterebbe lo stile di vita di Taiwan. Esso però comprende la libertà e la democrazia. Non escludiamo la possibilità di un’unificazione, ma questa dovrebbe avvenire attraverso mezzi pacifici e un processo democratico. Nessuna delle due parti dovrebbe usare la forza o minacciarla. Per essere più specifici: se la Cina continentale vuole l’unificazione, deve ottenere il consenso dei taiwanesi. In che modo? Per esempio con un referendum. A Taiwan lo usiamo spesso quando abbiamo differenze di vedute e vogliamo trovare un terreno comune. Pechino dovrebbe fare lo stesso con la popolazione della terraferma, ma essendo la Repubblica Popolare un paese autocratico non può. Senza un processo pacifico e democratico i taiwanesi non saranno mai favorevoli all’unificazione”.

“Taiwan non dovrebbe avere paura della guerra, dovrebbe fare del suo meglio per prepararsi. Tuttavia è più urgente evitare il conflitto e negoziare la pace. Ho 27 parenti nella Cina continentale, perché dovrei combattere contro di loro? Bisogna scongiurare il conflitto, poiché una volta che esso scoppia tutti soffrono. Guardate l’Ucraina. Da essa dovremmo trarre lezioni non su come fare la guerra, ma su come prevenirla”.

Sul nuovo numero di Limes l’intervista integrale.

Intervista a Da Wei

Ho poi intervistato Da Wei, direttore del Centro per la sicurezza e la strategia internazionale (Ciss) della Tsinghua University di Pechino, per avere una prospettiva cinese sulla politica del terzo mandato di Xi Jinping. Ci sono alcuni passaggi interessanti su Taiwan, che aiutano a capire la prospettiva della Repubblica Popolare in una fase in cui, come detto prima, sembra di essere in fase di ridiscussione o ribadimento dei limiti dei rapporti trilaterali.

“Dal Taiwan Policy Act passato al Congresso e in corso di discussione alle visite di leader statunitensi, l’ingerenza dell’amministrazione Usa è aumentata pesantemente. Una situazione simile si sta verificando, anche se con grado diverso, in Europa. Il governo cinese rifiuta questo tipo di ingerenza. Da questo rifiuto non si può però trarre la conclusione che la Cina voglia accelerare la ricerca della riunificazione. Il governo e i cittadini cinesi sperano e credono che Taiwan potrà riunificarsi con la madrepatria, tuttavia non è mai stata fissata una timeline, quindi non si può parlare di anticipi o di posticipi”.

Al Congresso, Xi ha anche citato il passaggio di Hong Kong dal caos alla stabilità. Ritiene che il modello “un paese, due sistemi” sia l’unica opzione possibile nel regolare i futuri rapporti con Taiwan oppure esistono altre opzioni?

Su “un Paese, due sistemi” è probabile che ci sia una incomprensione: si crede infatti che sia un modello di governance fisso, oppure, che si tratti dell’attuale sistema in vigore a Hong Kong. In realtà, il principio “un Paese, due sistemi” può avere differenti forme in ambienti diversi. Il fulcro rimane però che sotto l’ampio tetto di “un unico Paese”, dei luoghi, che applicano un alto grado di autonomia, possono, in base alla loro situazione, applicare un sistema parzialmente diverso da quello principale della Cina. In che modo questa diversità si manifesti è un aspetto che si può discutere e studiare. In realtà, negli ultimi due o tre anni, la Cina continentale ha proposto proprio di esplorare l’idea di un progetto “a due sistemi” per Taiwan, il che vuol dire una edizione di Taiwan di “un Paese, due sistemi” che potrebbe avere molto in comune con quelle esistenti ad Hong Kong e Macao, ma anche delle differenze. Quindi potremmo dire che “un Paese, due sistemi”, può essere inteso, in un certo senso, anche come “un Paese, molti sistemi”. Questo lascia una enorme flessibilità e margine di esplorazione. La forma dei “due sistemi” si può discutere, ma la premessa di “un solo Paese” è inamovibile.

Che cosa comporta l’inserimento nello statuto del Partito comunista dell’opposizione alla “indipendenza di Taiwan”?

Credo che non si dovrebbe interpretare in modo eccessivo questo cambiamento. Prima del Congresso, molti miei amici occidentali prevedevano che ci sarebbero state nuove affermazioni sulla questione di Taiwan e credevano persino che la Cina avrebbe, durante la plenaria dell’Assemblea Nazionale del Popolo e della Conferenza Politica Consultiva a marzo prossimo, definito una nuova strategia. Francamente, non so da cosa derivassero queste loro valutazioni. Nella relazione del XX Congresso non c’è alcuna nuova affermazione. In questi anni, in Occidente si sono diffuse molte leggende sulla questione di Taiwan: ad esempio, in molti ritengono che la Cina possa, prima di una certa data, fare ricorso alla forza. In quanto studioso cinese, posso dire che non ho mai sentito parlare di una data di scadenza. L’incipit dell’Arte della Guerra di Sun Tzu si apre con una frase emblematica: «Gli affari militari sono un’importante questione di stato; il terreno in cui si giocano vita e morte; il dao del permanere e del perire. Non analizzarli è dunque impossibile». Questo vuol dire che quando i cinesi parlano di guerra il primo principio è quello di essere cauto e prudente”. Non si dovrebbe parlare di guerra con leggerezza.

Il nuovo status quo

L’assenza di una timeline è stata sottolineata anche dal numero tre dell’Ambasciata di Pechino a Washington.

Ricordando che le interviste servono per capire le diverse prospettive su un argomento, nel frattempo la realtà dei fatti è che dallo scorso agosto lo status quo sul campo è parzialmente cambiato, con manovre quotidiane dei mezzi dell’Esercito popolare di liberazione oltre la linea mediana, il confine non ufficiale non riconosciuto ma ampiamento rispettato da Pechino fino a pochi mesi fa.

Mentre la diplomazia riprende, l’aviazione cinese ha intensificato le incursioni raggiungendo il livello più alto dalla visita di Pelosi.

Il Pentagono sostiene che più che un’invasione, Pechino prepari un aumento delle pressioni su Taiwan nei prossimi due anni, in concomitanza con le elezioni presidenziali del 2024. Secondo il generale Mark Milley, Pechino non è ancora pronta alla guerra.

Secondo il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, il rischio di “invasione è aumentato”. E il governo chiama a raccolta i produttori di droni per preparare l’esercito. Una nave da pattugliamento da 1.000 tonnellate costruita dal costruttore nazionale CSBC Corp. è stata ufficialmente consegnata all’Amministrazione della Guardia Costiera (CGA) durante una cerimonia svoltasi a Keelung.

Condotte esercitazioni militari regolari alle isole Penghu, in mezzo allo Stretto e vicine alla linea mediana.

Preoccupa lassenza di dialogo a livello difensivo tra le due parti.

“Riportare Taiwan all’ovile è l’unico modo in cui Pechino può raggiungere una pace permanente con l’isola ed evitare di vedere Taiwan invasa da una potenza straniera, secondo un nuovo libro scritto da alti ideologi del Partito Comunista. Solo attraverso la completa riunificazione della madrepatria i compatrioti di entrambe le parti potranno liberarsi completamente dall’ombra della guerra civile e creare e condividere insieme una pace permanente attraverso lo Stretto di Taiwan”, si legge in un articolo incluso in un libro pubblicato da Partito. La pubblicazione è la spiegazione ufficiale del partito per un emendamento al suo statuto del mese scorso.

Metà delle aziende straniere a Taiwan ha predisposto piani di emergenza.

Diplomazia

Iniziato il confronto tra Taipei e Usa per un accordo commerciale.

Greg Hands, ministro di Stato per il Commercio e membro del Parlamento britannico, ha visitato Taipei e incontrato Tsai, che ha auspicato un accordo commerciale con il Regno Unito. Si è parlato, ovviamente, di semiconduttori.

Anche con la Lituania, che ha aperto ufficialmente l’ufficio di rappresentanza a Taipei ma senza che appaia la parola “Taiwan”, prevista cooperazione sul fronte dei microchip.

Visita anche di deputati europei sanzionati da Pechino.

Chips Act taiwanese

Tsai Ing-wen ha denunciato quelle che ha definito “voci” sul rischio di investire nell’industria dei semiconduttori dell’isola e ha affermato che il governo sta lavorando duramente per garantire la continuità degli investimenti.

Pochi giorni dopo, Taiwan ha ampliato le agevolazioni fiscali per le aziende che investono nella ricerca e nella produzione tecnologica, nel tentativo di rafforzare l’industria dei semiconduttori dell’isola e di aiutarla a mantenere la sua posizione di leader nella catena globale di fornitura di chip. Secondo gli emendamenti approvati giovedì dal gabinetto di Taiwan, le aziende tecnologiche potranno ridurre di un quarto la loro imposta sul reddito se la loro spesa per la ricerca e lo sviluppo raggiunge un livello stabilito. La misura prevede anche un’ulteriore riduzione del 5% delle imposte per le aziende che investono in attrezzature avanzate, al fine di incoraggiarle a continuare a spendere per la produzione di chip. Una risposta anche al tentativo delle varie potenze di ridurre la dipendenza da Taiwan e portarsi in-house le competenze di TSMC, secondo Dan Nystedt.

Il presidente di Powerchip, Frank Huang, ha criticato la legge sui chip di Taiwan in quanto a suo dire fatta a uso e consumo di TSMC, con una formulazione che potrebbe escludere altri produttori di chip, aggiungendo che tutte le aziende dovrebbero essere trattate allo stesso modo e che, in caso contrario, guiderà l’opposizione contro di essa.

Le azioni di TSMC sono salite dopo la rivelazione della partecipazione di Berkshire Hathaway col coinvolgimento di Warren Buffett. TSMC non ha voluto né confermare né smentire la notizia secondo cui avrebbe scelto una sede per la produzione di chip avanzati a 1 nanometro, affermando di essere aperta a tutte le possibilità di trovare un luogo ideale a Taiwan. Alcune indiscrezioni avevano individuato in Taoyuan il luogo prescelto. TSMC non ha nemmeno confermato di stare preparando un altro investimento multimiliardario in una fabbrica in Arizona, secondo quanto dichiarato da persone a conoscenza dei piani.

Secondo un rapporto semi-ufficiale, l’industria cinese dei semiconduttori genererà una domanda di quasi 800.000 lavoratori entro il 2024, superando di un terzo l’offerta locale di talenti. La domanda totale di talenti nell’industria cinese dei semiconduttori raggiungerà le 789.000 unità nei prossimi due anni, rispetto alle 570.700 persone impiegate nel settore alla fine del 2021. Il rapporto, basato su un’indagine condotta tra più di 2.000 aziende cinesi di semiconduttori e oltre 400 istituti di formazione, ha rilevato che oltre il 40% della domanda proverrà dal settore della progettazione di chip, che avrà bisogno di 325.200 persone entro il 2024. Secondo i risultati, approvati dall’associazione semi-ufficiale China Semiconductor Industry Association, il resto sarà destinato alla produzione e al confezionamento di circuiti integrati (IC).

Gli ingegneri taiwanesi sono i più ambiti da Pechino. Non a caso, il parlamento taiwanese probabilmente rivedrà il processo di trasferimento di tecnologia alla Cina continentale nel timore che i progressi e il know-how trapelati possano minacciare l’importante settore tecnologico dell’isola, secondo quanto dichiarato da un alto legislatore di Taipei.

Addio Tuan Tuan

Il panda gigante Tuan Tuan, 18 anni e da 14 anni allo zoo di Taipei, è morto. La malattia di Tuan Tuan aveva mostrato però che i due rivali possono ancora parlare di qualcosa. Taiwan aveva invitato esperti dalla Cina continentale per visitare Tuan Tuan e capire se si potesse fare qualcosa per salvarlo. La sorte del panda e la sua stessa presenza a Taipei ha sempre suscitato polemiche. Tuan Tuan è arrivato a Taiwan il 23 dicembre 2008 insieme all’esemplare femmina Yuan Yuan. L’ex leader del Partito comunista Hu Jintao (sì, proprio quello “scortato fuori” sabato scorso durante il Congresso) aveva offerto i panda come dono di amicizia del 2005. L’allora governo del Partito progressista democratico (Dpp) bloccò tutto perché la pratica era stata avviata come un “trasferimento nazionale” all’interno del territorio cinese.

La successiva amministrazione del Kuomintang (Kmt) del presidente Ma Ying-jeou aggirò il problema con un’acrobazia semantica: l’importatore fu inicato come “Taipei, Taiwan” e l’origine dell’esportazione fu indicata in “Chengdu, Sichuan”. L’ala indipendentista, o semplicemente meno dialogante con Pechino, non ha mai accettato del tutto i due panda, percepiti come una mossa propagandistica del Partito comunista all’interno della famosa “panda diplomacy” cinese.  Ma diversi taiwanesi storcono il naso anche sulla combinazione dei due nomi, Tuan Yuan, che in mandarino significa “riunione”. Un messaggio non troppo sottile sull’obiettivo della “riunificazione”, o “unificazione” come la chiamano a Taipei.

Cop27

La politica e i complicati rapporti sullo Stretto di Taiwan arrivano anche alla COP27 in Egitto. Alla vigilia della COP27, Taiwan ha sottolineato i suoi sforzi per raggiungere l’obiettivo globale di emissioni nette zero. Chang Tzi-chin, ministro dell’Amministrazione per la Protezione dell’Ambiente, ha diffuso un lungo articolo: “La transizione verso emissioni nette zero è una responsabilità collettiva inevitabile di questa generazione. Sarà possibile raggiungere l’obiettivo solo se la comunità internazionale lavorerà insieme. Con spirito pragmatico e professionale, Taiwan è disposta a dare un contributo concreto per affrontare il cambiamento climatico globale”. Chiedendo poi: “Taiwan dovrebbe avere pari opportunità di aderire ai meccanismi di cooperazione internazionale in risposta al cambiamento climatico”.

La Cina ha offerto assistenza a Taiwan per combattere il cambiamento climatico, ha dichiarato il principale inviato di Pechino al vertice COP27 in Egitto, utilizzando la politica ambientale per rafforzare le proprie rivendicazioni su Taipei. “Nell’ambito della politica di una sola Cina, abbiamo fornito assistenza a Taiwan per l’attuazione delle politiche climatiche”, ha dichiarato Xie Zhenhua in un discorso. Xie ha parlato in assenza del presidente cinese, Xi Jinping.

La Cina ha anche criticato le richieste di alcune delegazioni della COP27 di includere Taiwan nel processo annuale dei negoziati sul clima. Utilizzando una dichiarazione di “diritto di replica” alla fine di una giornata di discorsi alla conferenza di Sharm el-Sheikh, la Cina ha esortato il vertice ad attenersi al “Principio di una sola Cina”, in base al quale considera Taiwan come parte della Cina.

Altre cose

Tseng Sheng-guang, 25enne membro della Legione internazionale delle forze di difesa territoriale dell’Ucraina, è stato ucciso in azione, diventando il primo combattente taiwanese a morire nella guerra di Kiev con la Russia.

ll Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha ampliato l’elenco delle aziende e degli individui che rischiano sanzioni per aver fornito o contribuito a finanziare la vendita di tecnologia militare alla Russia per la sua guerra contro l’Ucraina. Con sorpresa, nella lista c’è anche un’impresa taiwanese, accusata di essere una società di facciata utilizzata per l’acquisto di componenti microelettronici da aziende asiatiche, affermando che i dipendenti della PKK Milandr (Milandr), un’azienda russa di microelettronica, hanno utilizzato un conto per procurarsi apparecchiature.

Rilassate le regole di ingresso a Taiwan anche per gli studenti provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese. Pechino spinge anche per la riapertura dei collegamenti tra il Fujian, Kinmen e Matsu.

A Kinmen, mini arcipelago che si trova di fronte a Xiamen (qui un mio reportage di qualche mese fa), apre dopo tre decenni di lavori e ritardi il ponte che unisce le due isole.

Il gigante manifatturiero Hon Hai Precision Industry Co (Foxconn) ha costituito una joint venture per veicoli elettrici con un fondo sovrano dell’Arabia Saudita presieduto dal principe ereditario Mohammed bin Salman bin Abdulaziz.

Secondo un rapporto del Consiglio nazionale per lo sviluppo (NDC), Taiwan è destinata a sostituire la Corea del Sud per il più basso tasso di fertilità al mondo entro il 2035.

Non c’è alcuna indicazione che Taiwan si stia fisicamente allontanando dalla Cina. Proprio fisicamente. Lo ha dichiarato l’Ufficio meteorologico centrale, dopo che sui social media si era detto che i dati GPS mostravano che Taiwan si stava spostando verso est.

Lam Wing-kee, ex proprietario di una libreria di Hong Kong fuggito a Taiwan nel 2019 per timore di essere arrestato per aver venduto libri critici nei confronti del Partito Comunista Cinese, ha dichiarato di aver richiesto la residenza permanente a Taiwan.

Si è svolto il Taiwan Pride a Taipei. Qui il racconto di Vittoria Mazzieri.

Il museo del palazzo nazionale di Taiwan ha ammesso la rottura di tre manufatti delle dinastie Ming e Qing, per un valore di 66 milioni di sterline (77 milioni di dollari). I manufatti – una ciotola, una tazza da tè e un piatto – sono stati rotti in tre incidenti distinti nel corso degli ultimi 18 mesi, ma i danni sono venuti alla luce solo la scorsa settimana sotto le domande di un legislatore di Taiwan. I manufatti risalgono al XV e al XVII secolo. A Pechino non l’hanno presa bene.

Il Dipartimento Internazionale del ministero dell’Educazione (MOE) di Taiwan (rappresentato dall’ Ufficio di Rappresentanza di Taipei in Italia), e il Centro Interdipartimentale per la Ricerca Scientifica e la Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Subsahariana (CEMAS) di Sapienza Università di Roma hanno firmato un Memorandum of Understanding. L’accordo segna l’inizio di una collaborazione tra il MOE e Sapienza per istituire un Taiwan Studies Center. L’obiettivo del Taiwan Studies Center Sapienza, che sarà diretto dal professore Andrea Carteny, è quello di offrire agli studenti dell’Ateneo romana una prospettive sulla realtà taiwanese.

Sabato 19 novembre si è tenuta la cerimonia di chiusura degli attesi Golden Horse Awards. Presente dall’Italia anche Sabrina Baracetti, responsabile del Far East Film Festival di Udine.

Di Lorenzo Lamperti

Intervista a Ma Ying-jeou

Intervista a Da Wei

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