Taiwan Files – Il doppio dieci e il -8%

In Asia Orientale, Cultura, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

La festa di Taiwan (e della Repubblica di Cina), il discorso di Tsai, le manovre di Pechino verso il XX Congresso e il “piano Musk”. La guerra Washington-Pechino sui chip e il ruolo dei colossi taiwanesi. E tanto altro. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Lunedì 10 ottobre a Taiwan e nei territori amministrati da Taipei (Penghu, Kinmen e Matsu e le varie altre isole periferiche) si è festeggiato. Con la fine della legge marziale e il processo di democratizzazione avviato da Chiang Ching-kuo e soprattutto da Lee Teng-hui il double ten è diventato la festa di Taiwan.

Ma è anche la festa della Repubblica di Cina, il nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto. Una delle tante complessità di un luogo dove il tema della contrapposizione waishengren (arrivati dalla Cina continentale tra il 1945 e il 1950)/benshengren (nativi taiwanesi di etnia han) non è ancora del tutto svanito (qui una puntata di Taiwan Files dedicata all’argomento).

Perché si festeggia il 10/10? Per quello che è successo il 10 ottobre 1911. La rivolta di Wuchang dà il via alla rivoluzione Xinhai. Si tratta dell’inizio della fine per la dinastia imperiale Qing. Un anno più tardi nasce la Repubblica di Cina con la nomina di Sun Yat-sen a presidente del Consiglio delle province. 120 anni dopo la ricorrenza viene ancora celebrata a Taiwan, il cui nome ufficiale resta appunto Repubblica di Cina.

Il 10 ottobre 1911 è una data ricordata in larga parte con piacere (ovviamente per motivi diversi) anche a Pechino, perché viene considerato l’avvio di un lungo processo che porterà alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, al termine della guerra civile che vide prevalere il Partito comunista con la fuga dei nazionalisti del Guomindang a Taiwan, la cui maggioranza ora considera quella fuga come una sorta di seconda colonizzazione dopo quella giapponese.

Tanto da rimuovere la maggioranza delle statue di Chiang Kai-shek (tranne a Kinmen e Matsu che hanno sempre fatto parte della Repubblica di Cina dalla sua fondazione): la sua repressione di qualsiasi opposizione e il trattamento riservato ai benshengren favorì il sentimento identitario “altro” dei taiwanesi. E raggrupparle in un parco (di cui ha scritto Stefano Pelaggi nel libro “L’isola sospesa“) a Daxi (Taoyuan), limitrofo al mausoleo.

Nel parco sono presenti statue di Chiang, del figlio Chiang Ching-kuo e di Sun Yat-sen: visitare quel parco proprio il 10/10 è utile da visitare non tanto per porgere omaggio a Chiang quanto per riflettere sulla complessa evoluzione politico-storico-identitaria taiwanese (qui un pezzo della Bbc sul tema, che ho affrontato nel dettaglio anche nell‘ultimo ebook di China Files dedicato interamente a Taiwan.

 

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Il discorso di Tsai, le manovre di Pechino e il “piano Musk”

Durante le celebrazioni del 10/10 (che hanno visto un display militare ridotto rispetto al 2021 anche a causa dell’impegno dei mezzi a seguire le manovre dell’Esercito popolare di liberazione sullo Stretto), Tsai Ing-wen ha invitato Pechino a lavorare con Taipei per trovare un “accordo reciprocamente accettabile” per sostenere la pace e la stabilità nello Stretto, affermando che il confronto militare non è un’opzione per le due parti. Nello stesso discorso (qui l’integrale) si è impegnata ad aumentare la produzione di massa di missili di precisione e a sviluppare ulteriormente la forza bellica asimmetrica dell’isola per far fronte alle crescenti minacce militari di Pechino e a un potenziale conflitto nello Stretto. “Voglio chiarire alle autorità di Pechino che il confronto armato non è assolutamente un’opzione per le nostre due parti”, ha dichiarato, prima di ribadire che non accetterà compromessi sullo status di Taipei.

I media cinesi hanno criticato il discorso, che in sostanza ha ribadito la consueta linea di Tsai sui rapporti intrastretto. Tra le delegazioni straniere presenti, anche quelle americana, canadese e giapponese.

Lo scorso anno, la prima decade di ottobre e in particolare i giorni a cavallo del 10/10 erano stati quelli del record delle incursioni dei jet dell’Esercito popolare di liberazione nello spazio di identificazione di difesa aerea taiwanese. Prima che poi il record fosse poi ampiamente battuto con tutto quello che è accaduto dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei con jet e navi che ora si muovono oltre la linea mediana sullo Stretto: qui un mega recap sul tema.

Nelle ultime settimane invece, come previsto due mesi fa, il profilo delle tensioni sembra essersi parzialmente abbassato. Ma attenzione a scambiare la relativa calma sullo Stretto di Taiwan come un segnale di distensione. Anzi, le incursioni oltre la linea mediana continuano a essere quotidiane. Taipei alza il volume: il ministro della Difesa ha parlato di erosione dello status quo e distruzione del tacito accordo sulla linea mediana, chiarendo la strategia militare, avvisando Pechino che se un jet cinese entrerà nello spazio aereo taiwanese sarà abbattuto. Mai Taiwan era stata così chiara. Attenzione di nuovo: non si sta parlando dello spazio di identificazione di difesa aerea, ma dello spazio aereo entro le 12 miglia nautiche. Cosa mai successa per ora, anche se secondo fonti taiwanesi ci sarebbero stati dei tentativi durante le esercitazioni militari di agosto.
Allo stesso tempo preannunciata l’estensione della leva militare da 4 a 10 mesi, mentre gli Usa vogliono aumentare l’invio di armi a Taipei. Ma secondo un recente rapporto governativo, le forze armate di Taiwan stanno affrontando un problema di reclutamento, poiché si prevede che la popolazione over 18 diminuirà significativamente nei prossimi anni, a causa del basso tasso di natalità. Il numero di nascite registrate a Taiwan è calato nell’ultimo decennio, passando da 196.627 nel 2011 al minimo storico di 153.820 nel 2021, si legge nel rapporto, che cita i dati del Ministero degli Interni (MOI).
“Un deposito di armi statunitensi a Taiwan aiuterebbe Taiwan a resistere in caso di attacco, ma potrebbe anche spingere Pechino ad avanzare nei suoi piani militari”, scrive il South China Morning Post. “Per costruire un deposito di questo tipo, Taipei e Washington devono affrontare altri problemi, tra cui l’ubicazione, i principali utilizzatori e chi sarà responsabile della sua manutenzione”.
Attesa per quanto emergerà durante il XX Congresso al via domenica 16 ottobre. Secondo analisti americani, Pechino non ha pronta una road map per la “riunificazione” (“unificazione” secondo Taipei). John Culver traccia una panoramica dei segnali di cui tenere conto per provare a capire se Pechino si muove verso quella direzione. Taipei si aspetta un aumento della pressione durante il terzo mandato di Xi, così come l’Economist.
Dopo essere intervenuto sull’Ucraina, intanto, Elon Musk di Tesla ha parlato anche di Taiwan sostenendo che Taipei dovrebbe di fatto accettare il modello “un paese, due sistemi” con un grado di autonomia maggiore rispetto a Hong Kong. L’ambasciatore cinese a Washington lo ha ringraziato, la politica taiwanese si è infuriata.
Un peggioramento dei rapporti Usa-Pechino è nell’interesse di Taiwan? Report di Brookings.
Qui Ayumi Teraoka sullo sviluppo militare del Giappone, la risposta a una possibile crisi a Taiwan. Capita tra l’altro che ci siano problemi anche tra Taipei e Tokyo. Taiwan ha chiesto colloqui col Giappone per risolvere questioni marittime di lunga data – tra cui la sovrapposizione di zone economiche esclusive – a seguito di un confronto di 10 ore tra le rispettive guardie costiere su una nave di ricerca taiwanese che operava in acque contese. Lo stallo ha avuto luogo la mattina del 29 settembre, quando una nave della guardia costiera taiwanese ha chiesto a una motovedetta giapponese di smettere di interferire nel progetto scientifico marino della nave di ricerca taiwanese. Lo racconta Lawrence Chung.
La sfida sui semiconduttori

Martedì 11 ottobre la borsa di Taipei è stata protagonista di un vero e proprio tonfo, scendendo del 4,35% . Il colosso dei semiconduttori Tsmc (Taiwan Semicondutctor Manufacturing Company) ha ceduto addirittura l’8% dopo la pausa alle contrattazioni per il 10/10. Motivo? Le nuove misure sulle esportazioni tecnologiche operate da Joe Biden (ne ho scritto qui).

La Casa Bianca ha introdotto nei giorni scorsi ampi controlli sulle esportazioni che complicheranno ulteriormente gli sforzi delle aziende cinesi per sviluppare tecnologie all’avanguardia nel campo dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale. Di fatto, Biden ha ampliato lo spettro applicativo della “fatwa” emessa nel 2020 da Donald Trump sul tech cinese e che allora aveva come obiettivo soprattutto Huawei.

Le restrizioni impediranno alle aziende Usa di esportare in Cina strumenti critici per la produzione di chip: interessati gruppi come Smic, Ymtc e Cxmt. Le nuove disposizioni colpiscono anche i singoli cittadini americani che forniscono sostegno diretto o indiretto alle aziende cinesi. Un giro di vite significativo, visto che finora anche le aziende Usa avevano approfittato di tutti gli spazi a disposizione per continuare a collaborare e generare ricavi su un settore nel quale Pechino investe cifre altissime.

Un “regalo” non gradito per Xi Jinping alla vigilia del XX Congresso del Partito comunista. Anche perché è la conferma che Washington ha nel mirino non solo le applicazioni militari, ma lo sviluppo tecnologico cinese tout court. Sarà impedito alle aziende di qualsiasi nazionalità di fornire a entità cinesi hardware o software con componentistica americana. In un comparto sfaccettato e multicentrico come quello dei semiconduttori, si tratta di una misura che colpisce praticamente tutti. A partire dai colossi taiwanesi e sudcoreani, coinvolti insieme alle aziende giapponesi nella Chip 4 a guida Usa.

Solo il giorno prima, il viceministro dell’Economia di Taiwan, Chen Chern-chyi, aveva dichiarato quanto segue: «Non vedo come sia possibile effettuare un decoupling completo dalla Cina. Non è realistico. Le nostre aziende continueranno a lavorare con le controparti cinesi».  Lo ha detto dopo aver sottolineato che Taipei «salvaguarderà gli interessi delle sue aziende di semiconduttori». Chen ha esplicitato quello che andando oltre le dichiarazioni ufficiali era chiaro da tempo: Taipei non vuole tagliare il cordone tecnologico con Pechino. L’ho scritto tante volte negli ultimi anni, per esempio qui o qui, raccontando la storia di Morris Chang, fondatore della Tsmc.

Non solo per motivi commerciali, ma anche politici. In assenza di dialogo tra governi, i colossi tecnologici come la Tsmc (leader nel comparto di fabbricazione e assemblaggio con oltre il 50% dello share globale che ha appena aumentato del 48% i ricavi nel terzo trimestre su base annua) e Foxconn diventano ambasciatori diplomatici. Così come i microchip sono una leva nel rapporto con Pechino di cui Taipei non vorrebbe privarsi.

Gli effetti del ban potrebbero farsi sentire anche sui due stabilimenti di Tsmc in Repubblica Popolare (Nanchino e Shanghai) ma la ministra dell’Economia Wang Mei-hua, in partenza per gli Usa, ha minimizzato il possibile impatto.

Il settore internazionale dei chip sta iniziando a valutare la sua esposizione nei confronti dei colossi taiwanesi, anche se Tsai nel suo discorso alle celebrazioni del 10/10 ha dichiarato che il ruolo svolto da Taipei non porta incertezze ma semmai stabilità.

Nuovi wargame americani hanno preso in esame la possibilità di evacuare ingegneri e scienziati Tsmc in caso di invasione, mentre c’è persino chi si spinge a immaginare un raid per metterne fuori uso gli impianti qualora finissero sotto controllo di Pechino. Ma attenzione a pensare che siano i chip l’unico ingranaggio a muovere le dinamiche sullo Stretto di Taiwan o a motivare le rivendicazioni cinesi: non è ovviamente così.

Ho scritto un reportage da Hsinchu, sede della Tsmc e di un immenso Science Park: la capitale mondiale della fabbricazione e assemblaggio dei semiconduttori.

Quando si varca il distretto est di Hsinchu, costa nord occidentale di Taiwan, si capisce di essere entrati in una città nella città. Dalle viuzze piene di insegne luccicanti e minimarket si entra in uno scenario dominato da immensi stabilimenti e siti industriali. Se ci fosse una capitale mondiale dei semiconduttori, sarebbe il Science Park di Hsinchu. In un’area di 1400 ettari operano circa 400 compagnie high-tech che generano oltre il 10% del pil e più del 30% dell’export di Taipei. L’isola che Xi Jinping vorrebbe “riunificare” detiene oltre il 65% dello share globale del comparto di fabbricazione e assemblaggio di microchip. Tutto è cominciato qui. Quando è stato fondato nel 1980, il parco era una landa desolata. I vecchi capitani d’industria come Hsieh Chi-chia della Microelectronics Technology raccontano che nei dormitori c’erano i serpenti e le scuole non avevano studenti. Oggi è la Silicon Valley taiwanese: Stati Uniti e Cina non possono prescindere dal “petrolio elettronico” prodotto a fiumi in questi impianti.

La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) pesa da sola oltre il 50% del comparto. Smartphone, computer, auto, jet militari: circa due miliardi e mezzo di persone utilizzano ogni giorno dispositivi contenenti microchip Tsmc. Il suo logo si staglia ovunque tra 11 fonderie, un museo e il quartier generale. Varcata la soglia, su un muro grigio scuro è incisa in caratteri cinesi la mission della società: “Essere il fornitore di fiducia di tecnologia e capacità per l’industria globale dei circuiti integrati logici per gli anni a venire”. Dalla fondazione del 1987 a oggi c’è di certo riuscita, grazie a un nuovo modello di business che separazione la fase di progettazione dei circuiti integrati da quella della fabbricazione. Nel 2021, Tsmc ha assemblato circa 10 miliardi di microchip per 535 clienti utilizzando 291 diverse tecnologie.

“Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono la base della nostra crescita”, dice a La Stampa Nina Kao, responsabile delle relazioni pubbliche della compagnia. In 35 anni si è passati da 144 dipendenti (di cui 9 ancora a libro paga) a 63 mila. Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria esplosione dei ricavi. Il valore totale di mercato a fine 2021 era pari a 584,9 miliardi di dollari, il 26% del valore totale del mercato azionario di Taiwan. Nel terzo trimestre del 2022 gli utili sono cresciuti del 48% su base annua.

Continua qui.

Tsmc (qui una bella scheda sulla sua storia) non ha confermato le voci sulla possibile apertura di uno stabilimento in Germania.

Altre cose

Diverse aziende taiwanesi presenti in Repubblica Popolare si interessano a un parziale spostamento nel Sud-Est asiatico.

Taiwan blocca gli immigrati di Hong Kong per i legami con KPMG China e Cathay Pacific.

L’8 ottobre, in occasione della Giornata del Contemporaneo in Italia, promossa da AMACI, a Taipei l’Ufficio Italiano ha presentato l’opera dello street artist Marco Barbieri. Due artisti locali, Debe e Ogay, hanno illustrato la particolare esperienza taiwanese in questa forma di espressione artistica. La mostra è esposta alla Chens Art Gallery fino al 14 ottobre.

Sempre l’Ufficio Italiano di Promozione Economica, Commerciale e Culturale informa dell’esibizione di un duo operistico italiano composto dal Maestro Maurizio Colacicchi e dalla soprano Emanuela Barazia il prossimo 26 ottobre. I due artisti si esibiranno presso l’Università Nazionale delle Arti di Taipei alle 19.30. Il programma musicale si intitola “Omaggio a Renata Tebaldi” e comprende tra le altre anche arie tratte dalle opere di Gaetano Donizetti, Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi. Qui per registrarsi.