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In Cina e Asia – Hong Kong, un rifugio per gli oligarchi russi?

In Notizie Brevi by Sabrina Moles

I titoli di oggi:

  • Hong Kong, un rifugio per gli oligarchi russi?
  • Covid, Pechino invita a creare “fiducia e pazienza”
  • Microchip, la Cina risponde agli Usa: al via gli aiuti per le aziende cinesi e coreane
  • Cina, l’Esercito annuncia un nuovo traguardo nel campo delle armi ipersoniche
  • Malaysia, sciolto il Parlamento. Si va alle elezioni anticipate
  • Bangladesh, continua il giro di vite contro i manifestanti
Hong Kong, un rifugio per gli oligarchi russi?

“Il possibile utilizzo di Hong Kong come rifugio da parte di individui che eludono le sanzioni di più giurisdizioni mette ulteriormente in discussione la trasparenza dell’ambiente imprenditoriale”. Sono queste le parole contenute in un messaggio in arrivo dal Dipartimento di stato Usa nella giornata di lunedì 10 ottobre. Nella comunicazione, indirizzata alle autorità della metropoli asiatica, fa riferimento alla possibile “fuga” di beni e capitali sanzionati dai paesi occidentali per punire la Russia per l’invasione dell’Ucraina.

A scatenare il richiamo ufficiale, un evento accaduto durante la scorsa settimana. Mercoledì 5 ottobre lo yacht da 500 milioni di dollari dell’oligarca Alexey Mordant ha attraccato nel porto di Hong Kong. Mordant è il terzo uomo più ricco della Russia, nonché uno dei primi uomini d’affari a essere sanzionato da Unione europea, dal Regno unito e Stati uniti all’alba del conflitto in Ucraina.

Covid, Pechino invita a creare “fiducia e pazienza”

Al Covid non si comanda. Nemmeno quando mancano pochi giorni al Congresso del Partito comunista cinese, l’evento politico più atteso degli ultimi cinque anni. In un commento pubblicato dal Quotidiano del popolo, la testata del Pcc, si invita la leadership ad aumentare “fiducia e pazienza” nella lotta all’epidemia da Covid-19. Inoltre, si legge nel commento, “dobbiamo ottimizzare le iniziative di prevenzione e controllo dell’epidemia, migliorarle ulteriormente affinché siano più scientifiche, precise ed efficaci nel ridurre al minimo l’impatto sullo sviluppo economico e sulla vita quotidiana”. Nessun dubbio, invece, sul modus operandi cinese:  “Le attuali politiche di prevenzione e controllo dell’epidemia sono coerenti con le specificità della situazione del nostro paese e con la scienza, nonché efficaci”.

Un altro commento, pubblicato sul Quotidiano del popolo di martedì 11 ottobre, chiarisce ulteriormente che la politica casi zero è sostenibile e deve continuare nel tempo. “La diffusione dell’epidemia avrebbe inevitabilmente un grave impatto sullo sviluppo economico e sociale (…)”, ribadisce l’articolo. Si specifica, però, come la strategia da adottare debba essere più morbida e adatta alle condizioni locali: “Da un lato, non possiamo allentare le nostre misure di prevenzione e controllo. Dall’altro, dobbiamo essere vigili contro un’eccessiva prevenzione delle epidemie ed evitare semplificazioni generate dall’adozione della stessa strategia ovunque”.

Stando ai dati diffusi dalle autorità cinesi, stiamo assistendo a una nuova ondata di contagi nel paese. E Pechino risponde continuando la sua politica “casi zero”, anche se l’insofferenza dell’opinione pubblica inizia a emergere. Dalle province più remote ai quartieri delle grandi città, bastano ancora pochi casi per determinare la sorte di milioni di persone. Una serie di lockdown ha paralizzato lo Xinjiang al punto da richiedere le scuse pubbliche della leadership locale. Nella nota località turistica di Xishuangbanna (Yunnan) è stato imposto un improvviso lockdown all’interno dell’aeroporto che ha causato la cancellazione dei voli e il fermo dei viaggiatori all’interno della struttura. Infine, ad accendere l’indignazione si aggiunge l’incidente dell’autobus che trasportava alcune persone verso un centro di quarantena nel Guizhou, per un totale di 27 morti e 20 feriti.

Microchip, la Cina offre aiuti per le aziende cinesi e coreane

Il presidente Usa Joe Biden estende le restrizioni intorno alle aziende del settore dei microchip che hanno rapporti con le imprese cinesi. E Pechino risponde in velocità: lunedì 10 ottobre le autorità cinesi hanno dato l’ok a un fondo per contenere gli effetti delle restrizioni di Washington. L’Exchange-traded fund (Etf) potrà ora investire non solo nelle principali società cinesi coinvolte nel settore, ma anche in quelle coreane, tra cui Samsung Electronics Co.e SK Hynix Inc.

Seul non sarà l’unica a pagare gli effetti collaterali delle nuove regole del Bureau of industry and security statunitense. Anche Taiwan rischia di vedere un’alterazione dei profitti dalla Cina in virtù dei profondi rapporti commerciali con le aziende cinesi. Domenica 9 ottobre la ministra per l’Economia taiwanese Wang Mei-hua ha affermato l’impatto sarà limitato e la visita dei prossimi giorni negli Usa sarà l’occasione per “rispondere alle preoccupazioni sulla resilienza delle catene d’approvvigionamento”. Nel frattempo, aumenta la preoccupazione degli investitori: martedì i titoli in borsa di Tsmc, il principale produttore di microchip taiwanese, hanno registrato un crollo record: -8%.

Cina, l’Esercito annuncia un nuovo traguardo nel campo delle armi ipersoniche

La Cina fa passi avanti e brevetta un nuovo sistema di riparazione veloce che permetterà l’impiego di missili ipersonici sulle portaerei cinesi. I ricercatori dell’Esercito popolare di liberazione hanno pubblicato un articolo dove affermano di aver superato un nuovo traguardo nello sviluppo di armi ipersoniche. Questo tipo di armi sono ancora suscettibili a danneggiamenti, e richiedono continue riparazioni delle parti esterne. Un procedimento complesso, da effettuarsi in ambienti difficili (solitamente delle portaerei) che ora sarebbe ridotto a 1/10 del tempo impiegato in precedenza. “Un prodotto del genere non è attualmente disponibile sul mercato”, sottolineano, indicando come si tratti di una scoperta all’avanguardia.

Malaysia, sciolto il Parlamento. Si va alle elezioni anticipate

Lunedì 10 ottobre il premier della Malaysia Ismail Sabri Yaakob ha annunciato lo scioglimento del Parlamento. La decisione non arriva inaspettata: negli ultimi mesi il primo ministro e il partito di maggioranza – la United malays national organization (Umno) – avevano spinto per un ritorno al voto entro la fine dell’anno.

Una scelta, questa, dettata da una profonda crisi politica fatta di continui cambi di leadership e scandali per corruzione nella classe dirigente. Ma non solo: l’inflazione, l’instabilità politica e sociale (dove la questione identitaria tra le diverse etnie è rimane centrale) farebbero desiderare all’Umno una presa di potere più ampia e solida prima che questi fattori si rivoltino contro. “Con questo annuncio, il mandato viene restituito al popolo”, ha affermato Ismail Sabri durante l’annuncio ufficiale. “Il mandato popolare è la medicina giusta per la stabilità politica di questo paese e ha ora il compito di dare vita a un governo forte, stabile e rispettato”.

I critici accusano il premier della Malaysia di aver scelto il momento sbagliato per chiedere il voto della cittadinanza: la stagione dei monsoni si avvicina e fissare le elezioni dopo novembre potrebbe creare non pochi disagi. In tutto, saranno circa 21,1 milioni i cittadini malesi aventi diritto di voto, di cui 5 milioni voteranno per la prima volta nella loro vita – una conseguenza dell’abbassamento del limite d’età per votare da 21 anni a 18.

Bangladesh, continua il giro di vite contro i manifestanti

Lunedì 10 ottobre Human Rights Watch ha risollevato il problema della repressione dei manifestanti in Bangladesh, dove da alcune settimane una serie di proteste sono finite con l’arresto e la violenza nei confronti di migliaia di cittadini e cittadine.

Alla denuncia dell’Ong statunitense si aggiunge il commento di Sairul Kabir Khan, portavoce dell’opposizione, oggi guidata dal Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp). Dal 22 agosto, ha riportato Khan, la Polizia ha arrestato almeno 4081 sostenitori del Bnp che manifestavano contro l’attuale governo guidato da Sheikh Hasina. Inoltre, almeno 5 persone sono rimaste uccise negli scontri, mentre le violenze sono arrivate sia dalle forze di Polizia che – soprattutto – da non ben identificati sostenitori della Lega popolare bengalese (o Awami league, Al), il partito al governo espressione del nazionalismo bengalese.

A cura di Sabrina Moles