Taiwan Files – Esce Tsai, entra Lai. Che cosa cambia

In Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Il bilancio degli 8 anni di Tsai Ing-wen, gli scenari della presidenza di Lai Ching-te. Primo passaggio di potere tra esponenti del DPP, ma si tratta di due figure molto diverse. Chi è Lai, chi partecipa all’insediamento, la squadra di governo, le relazioni con la Cina continentale, l’approccio di Pechino e il ruolo del Guomindang, le altre sfide tra salari e prezzi delle case. E poi l’opposizione sull’isola di Taiping e il caos in parlamento. La rubrica di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Lunedì 20 maggio, la Repubblica di Cina (nome ufficiale di Taiwan) accoglie il suo nuovo presidente: “William” Lai Ching-te. Dalle prime elezioni libere del 1996, è la prima volta che il passaggio di potere avviene tra due esponenti dello stesso partito. Anche se, come vedremo, qualcosa cambia con l’arrivo di Lai al posto di  Tsai Ing-wen. Quest’ultima, la prima presidente donna, termina il suo mandato dopo otto anni complicati e turbolenti, ma che la vedono uscire con un gradimento non lontano dal 50%, un dato ben più alto dei suoi due predecessori, Chen Shui-bian (Partito progressista democratico, DPP, lo stesso di Tsai e Lai) e Ma Ying-jeou (Guomindand, GMD, il principale partito d’opposizione con una postura dialogante nei confronti di Pechino).

Otto anni in cui Tsai ha ottenuto risultati importanti, appropriandosi della retorica dello status quo intrastretto e avanzando sui diritti civili (sintomatico in tal senso che una delle sue ultime azioni da presidente sia stata ricevere Nymphia Wing, una drag queen taiwanese vincitrice di un concorso). Ma otto anni in cui diversi problemi, tra cui i salari e i prezzi delle case, sono rimasti irrisolti e in cui la fiducia dell’elettorato nei confronti del DPP è diminuita.

C’è grande attesa per il discorso inaugurale di Lai, per i segnali che potranno arrivare in direzione degli Stati Uniti e soprattutto della Repubblica Popolare Cinese. L’attenzione è rivolta a cogliere qualsiasi segnale di eventuale discontinuità con la cauta linea di Tsai, invisa a Pechino ma sempre attenta a non varcare le cosiddette “linee rosse” di una indipendenza formale, che in passato Lai ha invece detto diverse volte di perseguire, prima di una svolta moderata e filo Tsai una volta assunta la vicepresidenza e, soprattutto, nella campagna elettorale dell’anno scorso.  Ne ho parlato nel dettaglio qui.

Gli invitati all’inaugurazione

Il ministero degli Esteri di Taipei ha dichiarato che 51 gruppi di 508 personalità straniere parteciperanno alla cerimonia di insediamento. Tra questi, 12 gruppi provengono da paesi con cui la Repubblica di Cina, intrattiene relazioni diplomatiche, sottolineando che la Santa Sede, unico alleato diplomatico di Taiwan in Europa, manda un inviato speciale per partecipare alla cerimonia. Tra i leader presenti il re dell’Eswatini Mswati III, il presidente delle Isole Marshall Hilda Heine, il presidente di Palauan Surangel Whipps, Jr. e il presidente del Paraguay Santiago Peña Palacios parteciperanno all’evento del 20 maggio.

Tra i partecipanti ci saranno anche delegazioni di Stati Uniti, Canada e Singapore, membri del Gruppo di amicizia con Taiwan del Parlamento europeo e legislatori di Regno Unito, Giappone, Australia e Corea del Sud. Per l’Italia, come anticipato da Giulia Pompili su Il Foglio, presenti Gian Marco Centinaio della Lega, Licia Ronzulli e Daniela Ternullo di Forza Italia.

La delegazione degli Usa comprende l’ex Assistente del Presidente e Direttore del Consiglio Economico Nazionale Brian Deese, l’ex Vice Segretario di Stato Richard Armitage e l’ex Presidente dell’AIT Richard Bush. Saranno accompagnati dalla presidente dell’AIT Laura Rosenberger e dalla direttrice dell’AIT Sandra Oudkirk. Profilo non altissimo.

Il banchetto di stato con le delegazioni straniere si terrà non a Taipei, ma a Tainan. Una scelta che dà un messaggio sia politico sia simbolico. Tainan è la città in cui Lai è stato sindaco per due mandati, ma è anche il pilastro del DPP, che controlla il consiglio comunale addirittura dal 1997. Non solo. Tainan è il fulcro dell’alterità identitaria taiwanese, sin dai tempi in cui era la capitale del regno dei lealisti Ming di Koxinga e fino alla fugace esperienza indipendentista all’alba della colonizzazione giapponese. Insomma, è una scelta che rimarca la “taiwanesità” della Repubblica di Cina. Tra le altre cose, al banchetto sarà servito anche il bubble tea.

La squadra di governo

Nelle scorse settimane sono stati annunciati i componenti principali del nuovo governo. Il segretario generale del Consiglio di Sicurezza Wellington Koo sarà a capo del ministero della Difesa. Si tratta del primo civile a ricoprire la carica dopo decenni. Piuttosto sorprendente la scelta dell’ex sindaco di Taichung Lin Chia-lung come nuovo ministro degli Esteri, vista la sostanziale assenza di esperienza diplomatica. Lin si era dimesso qualche anno fa da ministro dei Trasporti dopo un tragico incidente ferroviario. La scelta di Lin è stata inusualmente preannunciata dalla presidente uscente Tsai.

A lasciargli il posto Joseph Wu, che ha guidato il ministero con una linea molto assertiva anche sui social, che si sposta alla guida del Consiglio di Sicurezza. Tsai Ming-yen viene invece mantenuto come capo dell’intelligence.

Interessanti anche le scelte per i due enti semi governativi che si occupano dei rapporti con Pechino. Chiu Chui-cheng è stato messo a capo del Consiglio per gli Affari Continentali, un tempo guidata anche da Tsai. Si tratta di uno spostamento logico visto che fin qui Chiu guidava la Straits Exchange Foundation, dove invece viene piazzato in una mossa sorprendente l’attuale vicepremier Cheng Wen-tsan. Non si tratta di un nome qualunque, anzi da molti era un tempo considerato un potenziale candidato alla leadership in futuro.

L’ex deputato e medico Chiu Tai-yuan assumerà la carica di ministro della Salute, mentre il vice segretario generale dello Yuan Esecutivo Ho Pei-shan diventerà il nuovo capo del ministero del Lavoro. Nel frattempo, il meteorologo Peng Chi-ming è stato nominato ministro dell’Ambiente.

In molti storcono il naso per la bassa rappresentanza femminile, che sorprende dopo gli enormi segnali giunti su diritti civili e pari opportunità, tra cui il fiore all’occhiello è la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Tra Tsai e Lai

Il nuovo presidente taiwanese, che compirà 65 anni a ottobre, proviene da un ambiente molto più modesto rispetto agli ultimi due leader. Nato nell’attuale Nuova Taipei, Lai è stato allevato dalla madre e da cinque fratelli dopo la morte del padre in una miniera di carbone quando aveva due anni. In seguito, Lai è diventato medico e ha proseguito gli studi all’Università di Harvard. Alla fine degli anni Ottanta, quando a Taiwan è stata revocata la legge marziale di Chiang Kai-shek ed è stato avviato il processo di democratizzazione, Lai ha abbandonato la professione medica per dedicarsi alla politica.

Lai conquista una posizione di rilievo nella New Tide, la più antica fazione interna al DPP, un partito che al suo interno è stato spesso frammentato e in cui ancora oggi le fazioni giocano un ruolo. Tsai, che invece gravita intorno a una fazione opposta e più moderata rispetto alla radicale e originariamente idealista New Tide, lo sceglie come premier nel 2017 poco dopo essere diventata presidente. In cambio, Lai le garantisce che non l’avrebbe sfidata per la leadership interna. Promessa non mantenuta, visto che dopo la batosta del DPP alle elezioni locali del 2018 Lai annuncia all’improvviso che intende contendere a Tsai la guida del partito in vista delle elezioni presidenziali del 2020.

Si tratta di un momento critico. Il DPP è quasi sull’orlo della scissione a causa della faida tra Tsai e Lai. La prima si sente tradita, anche per la premeditazione del gesto di Lai che una settimana prima della data originariamente fissata per le primarie pubblica un libro programmatico che era dunque stato stilato mentre era ancora il premier di Tsai. Ma la presidente riesce a rinviare due volte le primarie, rompendo le regole di un partito che si trova davvero diviso. Alla fine vince Tsai, ma la frattura si ricompone su spinta dei colonnelli del DPP che temono una débacle alle elezioni di gennaio 2020.
Lai torna nei ranghi con la promessa della vicepresidenza, ruolo tradizionalmente anticamera per la candidatura a presidente nel giro successivo. Per una serie di fattori, tra cui la repressione delle proteste di Hong Kong gioca senz’altro un ruolo principale, il DPP risale la china e vince le elezioni del 2020. Per circa metà del suo secondo mandato, Tsai tiene comunque piuttosto in ombra Lai e tra i due non sembra correre buon sangue. Le stilettate incrociate dei fedelissimi dell’una o dell’altro proseguono a microfoni spenti e talvolta anche accesi.

Cambia tutto nel 2022, dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei e quando diventa chiaro che Lai sarà il candidato del DPP alle presidenziali del 2024. Tsai lo usa sempre di più in importanti eventi diplomatici, dandogli risalto anche sul piano internazionale, lui contraccambia appropriandosi della linea cauta della presidente. Fino alla campagna elettorale del 2023, quando si pone in perfetta continuità con il suo approccio in merito ai rapporti intrastretto con Pechino.

Si tratta di una svolta considerevole. In passato, Lai aveva detto più volte di essere a favore di una dichiarazione di indipendenza formale. La sua frase più famosa e pluricitata in materia risale al 2017, quando si definì un “lavoratore pragmatico per l’indipendenza di Taiwan”. Che cosa significa? Uscire dalla cornice della Repubblica di Cina, non riconosciuta ma sin qui tollerata dalla Repubblica Popolare Cinese, che ha gioco facile a far combaciare la politica della “unica Cina” con la sua autorità riconosciuta da quasi tutti i Paesi sul fronte internazionale.

Per Tsai a Taiwan non serve dichiarare l’indipendenza perché di fatto esercita già la sua sovranità, seppure appunto all’interno dell’ambiguo perimetro della Repubblica di Cina fondata da Sun Yat-sen, retaggio della guerra civile persa da Chiang contro i comunisti di Mao Zedong. Una posizione centrista nel panorama politico taiwanese, dove invece Lai ha occupato a lungo una postura più radicale, perseguendo un’indipendenza come Repubblica di Taiwan che reciderebbe qualsiasi legame con la Cina. Ipotesi inaccettabile per Pechino, che non a caso etichetta Lai come un “pericoloso secessionista“, lasciando peraltro intendere di cogliere le differenze che intercorrono con Tsai.

Porsi in linea con la posizione di Tsai ha consentito a Lai di allontanare qualche timore tra l’elettorato taiwanese, nonostante il leader eletto continui a essere ritenuto più “imprevedibile”. Importante allora il ruolo giocato dalla futura vicepresidente, Hsiao Bi-khim. Si tratta dell’ex rappresentante di Taipei negli Stati Uniti ed è considerata la vera erede di Tsai. Non solo, anche Washington anela a un’autorità taiwanese stabile e “prevedibile” (leggasi niente sorprese sull’indipendenza) e il fatto che Hsiao sia un volto ben conosciuto dall’amministrazione Biden viene considerata una garanzia.

Proprio Hsiao, nei giorni scorsi, ha criticato duramente i ritardi nelle consegne di armi statunitensi, nonostante i recenti annunci di nuovi stanziamenti in tal senso. “Le carenze nella tradizionale base produttiva dell’industria della difesa statunitense” hanno fatto sì che “l’attuale base dell’industria della difesa statunitense non produca né abbastanza né in tempo l’hardware necessario per soddisfare la domanda globale”, ha dichiarato Hsiao in collegamento video al Hill & Valley Forum on AI Security a Washington. Hsiao ha anche esortato l’amministrazione Biden a consentire accordi di coproduzione con i produttori di armi statunitensi per accelerare il flusso di armi alle forze di difesa.

Questi commenti riflettono la frustrazione di Taiwan per un arretrato di 19 miliardi di dollari nelle consegne di armi da parte degli Stati Uniti. E suggeriscono che il nuovo governo spingerà l’amministrazione Biden a cercare approcci innovativi per  rafforzare la sua capacità difensiva. Ma, secondo Politico, il Pentagono è riluttante ad approvare accordi di coproduzione di armi a Taiwan a causa delle preoccupazioni sulla vulnerabilità alle operazioni di spionaggio.

Come governerà Lai?

Come governerà Lai? Lecito attendersi che preserverà davvero la linea di Tsai, che ha consentito al DPP di appropriarsi per la prima volta della retorica della preservazione dello status quo, il vero desiderio della stragrande maggioranza dei taiwanesi. Fino al caos di Hong Kong e al prepensionamento di “un Paese, due sistemi” nell’ex colonia britannica, quel ruolo era sempre spettato al GMD, unico partito in grado di mantenere il dialogo con Pechino. Come ho scritto in questa analisi lo scorso gennaio, Tsai è però riuscita a convincere molti taiwanesi che la sua linea è quella funzionale al mantenimento dello status quo, altrimenti messo a repentaglio dalla posizione troppo “filocomunista” del GMD.

Certo, sul piano retorico Lai non è Tsai. Tanto è schiva e misurata lei, tanto è loquace lui. Anche durante la campagna elettorale si è lasciato sfuggire un paio di dichiarazioni al di fuori della prassi istituzionale. Nel primo caso ha confessato che il suo desiderio è che in futuro il presidente di Taiwan possa entrare alla Casa Bianca, eventualità che implicherebbe un riconoscimento ufficiale di Taipei da parte di Washington. Nel secondo caso ha invece detto che gli piacerebbe poter andare a cena con Xi Jinping, offrendogli un bubble tea. Pechino e Washington non hanno apprezzato.

Ecco che allora ci si può aspettare qualche “sforamento” retorico e un maggiore uso di messaggi simbolici. In tal senso, un inizio è la decisione di tenere, nel giorno dell’insediamento, il banchetto di stato con gli ospiti stranieri a Tainan invece che a Taipei. Ma ci sono anche segnali che Lai potrebbe fare tentativi più convinti di Tsai per riaprire un canale di comunicazione con Pechino, a livello politico completamente interrotto dal 2016 per il mancato riconoscimento da parte del DPP del “consenso del 1992”, sostanzialmente un opaco accordo tra GMDe Partito comunista che riconosce che Taiwan fa parte della Cina, pur senza stabilire quale.

Estremamente interessante, come dicevamo, piazzare Cheng alla Straits Exchange Foundation in quello che appare un grande demansionamento. Sembra infatti segnalare a Pechino un serio interesse a immettere capitale politico nel tentativo di riaprire il dialogo.

Secondo Ryan Hass, “Lai non è un fanatico che si concentra esclusivamente sull’indipendenza di Taiwan. È un politico di professione che ha organizzato la sua carriera per diventare presidente. Ora che è salito alla massima carica elettiva di Taiwan, vorrà vincere la rielezione. Per farlo, dovrà quasi certamente orientarsi verso il centro dello spettro politico taiwanese, piuttosto che assecondare i desideri di una piccola minoranza di elettori taiwanesi favorevoli a gettare la prudenza al vento per servire l’indipendenza o l’unificazione di Taiwan. Infatti, meno del 6% degli elettori taiwanesi sostiene l’immediato perseguimento dell’indipendenza o dell’unificazione con la Repubblica Popolare Cinese”.

Possibile un’accelerazione della rimozione delle statue di Chiang Kai-shek.  Già da anni il governo DPP ha iniziato a rimuoverle (c’è anche un parco dove sono state pensionate centinaia di statue, è un posto clamoroso che ho visitato e di cui ho varie foto) ma ne restano ancora 760 su tutta l’isola, compresa quella gigante del memoriale di Taipei, luogo incredibile dove all’interno c’è un museo dell’ex leader al fianco di una mostra sull’era del terrore bianco con cui soffocò attraverso la legge marziale qualsiasi opposizione interna.

Poche settimane prima dell’insediamento, è stata fatta trapelare la notizia di manovre congiunte tra mezzi taiwanesi e statunitensi nel Pacifico occidentale. Una fonte citata da Reuters ha detto che le esercitazioni non esistono ufficialmente e sono state definite “incontri in mare non pianificati”, indicando un tacito accordo in cui entrambe le parti sostengono che le esercitazioni sono semplicemente il risultato di incontri casuali. Sembra però improbabile che Pechino non se ne sia accorta in tempo reale, pur scegliendo di non parlarne. La divulgazione pubblica delle esercitazioni potrebbe sembrare un tentativo di portare a una reazione, per accendere i fari internazionali su un insediamento che altrimenti potrebbe rischiare di non ricevere abbastanza attenzione.

I media cinesi ne hanno parlato, ma sin qui le reazioni si sono limitate a una giornata di massicce manovre dopo l’ultimo passaggio di una nave americana sullo Stretto. Oltre che al progressivo avvicinamento al mini arcipelago di Kinmen, in seguito all’incidente dello scorso febbraio di cui ho scritto diffusamente qui. Anche se vengono segnalate mosse maggiormente in prossimità delle coste, seppure ancora oltre le 12 miglia nautiche che segnano l’ingresso nelle acque sovrane.

L’approccio di Pechino e il ruolo del Guomindang

A Taipei c’è chi prospetta esercitazioni militari di Pechino, anche perché giugno è solitamente il mese di maggiore attività in tal senso per l’Esercito popolare di liberazione.

Dalla sponda opposta dello Stretto, Pechino alterna con sempre maggiore disinvoltura il bastone e la carota. Da una parte l’aumento delle incursioni militari degli ultimi anni e le recenti mosse intorno al mini arcipelago di Kinmen (amministrato da Taipei ma proprio di fronte alle coste del Fujian), con una costante erosione dello spazio di manovra di Taiwan. Le grandi esercitazioni militari, come quelle avvenute dopo la visita di Pelosi, sono funzionali a lanciare un messaggio ma la regolarizzazione dei movimenti di jet e navi è in realtà ben più efficace per “promuovere” la causa di Xi.

Dall’altra parte, il presidente cinese ha mostrato che col dialogo è aperto a fare concessioni. Per farlo, ha utilizzato le visite di alcune delegazioni del GMD. Un importante segnale è arrivato dall’incontro di aprile tra Xi Jinping e l’ex presidente Ma Ying-jeou (qui la mia analisi approfondita). Ma si è rivolto direttamente a Lai nelle scorse settimane, chiedendogli di costruire con “pragmatismo” sulla strada di dialogo che lui avrebbe aperto. Ma, a quanto mi risulta, l’ex leader non sarebbe del tutto entusiasta della reazione del GMD al suo viaggio. Si aspettava forse maggiore sostegno e volontà nel seguirne la strada, riscontrando invece qualche scetticismo, soprattutto dalla generazione giovane che mira alla leadership futura. Un nome su tutti, il sindaco di Taipei e pronipote di Chiang Kai-shek, Chiang Wan-an (che ha chiesto di non essere chiamato col suo nome in inglese Wayne).

Dopo la visita di Ma, un’altra delegazione del GMD è stata nella Repubblica Popolare, visita coincisa con l’annuncio della riapertura di alcune rotte turistiche, chiedendo a Taipei di assecondare la scelta anche sui voli. Una mossa che ha lasciato molto freddo il governo a guida DPP, che ha anzi invitato i taiwanesi alla cautela nel viaggiare in Cina continentale dopo l’entrata in vigore della nuova legge sul segreto di Stato.

Il messaggio inviato dal Partito comunista al DPP è evidente: se voi non dialogate con noi, comunicheremo solo attraverso il GMD. Un approccio che sul medio periodo porta rischi (l’opinione pubblica taiwanese potrebbe percepire il partito d’opposizione come eccessivamente sbilanciato a favore di Pechino), ma anche opportunità, soprattutto se vengono dosate nel modo giusto le eventuali concessioni. Una strategia che potrebbe mirare a due obiettivi fondamentali. Il primo, interno: comunicare all’opinione pubblica cinese che la “riunificazione pacifica” è ancora possibile, prospettiva utile per suggerire che la linea di Xi sta funzionando e soprattutto che il presidente non ha bisogno di farsi dettare i tempi da qualcuno. Il secondo, esterno: far percepire il DPP quasi come un’entità esterna al contesto taiwanese, sotto influenza delle “interferenze esterne” degli Usa.

Forse anche per questo Lai potrebbe provare a riappropriarsi in parte di questa dinamica, segnalando di essere in grado di migliorare l’atmosfera intrastretto pur senza fare concessioni sulla sovranità. L’impresa resta quantomai complicata. Pechino sta sì segnalando di poter anche in qualche modo costruire un “nuovo consenso” che superi quello del 1992, che il DPP non potrà mai accettare pena disconoscere la sua linea storica. Allo steso tempo, anche un ipotetico nuovo consenso si dovrà per forza di cose basare sul concetto di “unica Cina”. Difficile che le due sponde riescano a superare le reciproche precondizioni. Ma potrebbe essere l’ultima occasione a disposizione di PCC e DPP.

Intanto, Pechino ha inserito una manciata di influencer taiwanesi in una lista di persone che intende colpire con misure punitive, accusandoli di “fabbricare informazioni false e negative” sullo sviluppo della Cina continentale e di provocare tensioni tra le due sponde dello Stretto. Tra questi figurano il commentatore taiwanese Edward Huang, il conduttore televisivo Liu Baojie e tre politici: Lee Cheng-hao, che è anche conduttore di diversi programmi televisivi, Wang Yi-chuan, funzionario del DPP e l’ex generale dell’esercito Yu Pei-chen.

L’attrice televisiva e cinematografica taiwanese Wu Mu-hsuen ha invece sostenuto di essere stata costretta a firmare un impegno a sostenere la rivendicazione territoriale della Cina continentale su Taiwan, dopo aver terminato le riprese del dramma online “Hey! Come a bit closer” in Repubblica Popolare. Un caso simile sembrava aver coinvolto la band rock dei Mayday negli scorsi mesi, anche se poi erano arrivate delle smentite.

Caos in parlamento

Non va inoltre dimenticato che Lai deve far fronte a uno yuan legislativo (il parlamento unicamerale di Taipei) frammentato e dove il DPP ha per la prima volta perso la maggioranza dopo otto anni. Del tema avevo scritto diffusamente qui.

L’esempio migliore di quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi e anni è il caos assoluto di venerdì 17 maggio. I deputati taiwanesi si sono spintonati, affrontati e colpiti in parlamento in un’aspra disputa sulle riforme della Camera. Prima ancora che iniziassero le votazioni, alcuni deputati si sono urlati contro e spintonati fuori dall’aula legislativa, prima che l’azione si spostasse sul pavimento del parlamento stesso. In scene caotiche, i deputati si sono accalcati intorno al seggio del presidente Han Kuo-yu (GMD), alcuni saltando sui tavoli e tirando i colleghi a terra. Si contano alcuni feriti e il solito dramma di cui lo yuan legislativo non è certo nuovo.

Ma di che cosa parla la bozza di riforma? Tra le proposte di legge di riforma che dovevano essere votate, vi sono quelle relative alle modalità di presentazione del discorso del presidente sullo stato della nazione, al rafforzamento dei diritti di indagine del legislativo. Per quanto riguarda il discorso del presidente, il GMD e il TPP vorrebbero che il presidente facesse un discorso annuale sullo stato della nazione nello Yuan legislativo, cambiando l’attuale formulazione che rende il discorso facoltativo.

Il DPP ha lamentato la mancata presentazione della bozza finale su cui si sarebbe dovuto votare e ha tentato in tutti i modi di bloccare il voto. Uno dei suoi deputati è finito ferito a terra mentre cercava di farsi largo tra una muraglia umana di deputati avversari, mentre una esponente del GMD lamenta a sua volte dei lividi per essere stata placcata da un rivale del DPP. Virale sui social il video di un deputato del partito di governo che “scippa” i fogli della bozza di riforma e fugge dall’aula parlamentare. Si tornerà a discutere e a votare da martedì, dopo l’insediamento di Lai.

Può sembrare solo una vicenda folkloristica, invece non lo è, perché ha favorito profonde divisioni e accuse incrociate anche tra i sostenitori dei diversi partiti. Insomma, come facilmente prevedibile dopo i risultati sfaccettati delle elezioni dello scorso gennaio, la scena politica taiwanese è e sarà piuttosto frammentata, con un possibile impatto anche sullo spazio di manovra del governo e sull’immagine che Taipei vuole provare a proiettare all’esterno.

L’opposizione a Taiping

Altra vicenda che può sembrare laterale ma è molto interessante: un gruppo di deputati ha visitato sabato 18 maggio l’isola di Taiping. L’isola di Taiping, controllata da Taipei e nota anche come Itu Aba, è rivendicata anche da Repubblica Popolare Cinese, Filippine e Vietnam. Si trova a 1.600 chilometri a sud-ovest di Kaohsiung, tra le isole Spratly, nel Mar Cinese Meridionale, ricco di risorse e strategicamente importante.

Guidato dal vicepresidente dello yuan legislativo Johnny Chiang e dal co-presidente del Comitato per gli Esteri e la Difesa Nazionale Ma Wen-chun, entrambi appartenenti al GMD, il gruppo ha dichiarato che il viaggio era volto a dimostrare la propria “determinazione a difendere la sovranità”. In un post sui social media, sabato, Chiang ha invitato Lai a “riaffermare pubblicamente l’isola di Taiping come territorio della Repubblica di Cina” durante il suo insediamento.

Può sembrare una mossa di provocazione verso Pechino, ma non lo è. Anzi, al contrario. Se Taipei riafferma la sovranità sull’isola di Taiping rafforza indirettamente le rivendicazioni della Repubblica Popolare, che si basano sulla linea a 11 tratti (ridotte a 9 poi dal Partito comunista) sul mar Cinese meridionale predisposta dal GMD di Chiang Kai-shek quando governava anche sul continente. Il DPP, che promuove un sentimento di taiwanesità, è restio a spendere capitale politico nelle rivendicazioni delle isole contese come Taiping e o le Diaoyutai, come a Taipei vengono chiamate le Senkaku amministrate dal Giappone.

Le altre sfide della presidenza Lai

Nel 1993, il rapporto tra il prezzo delle case e il reddito annuale a Taipei era di circa 8,03, ma è schizzato a 15,5 entro il 2023. Ciò significa che oggi è quasi due volte più difficile per qualcuno permettersi una casa. I cittadini taiwanesi affermano che le questioni principali a cui vogliono che il governo entrante dia priorità sono la stagnazione dei salari e l’impennata dei prezzi degli alloggi.

Nello stesso sondaggio, il 90,4% degli intervistati si è detto insoddisfatto del proprio stipendio. Ciò avviene mentre nuovi dati governativi mostrano che il divario di ricchezza delle famiglie taiwanesi è quasi quadruplicato in 30 anni, con il 20 percento più ricco delle famiglie che detiene una ricchezza 66,9 volte superiore a quella del 20 percento inferiore nel 2021.

Il divario di ricchezza tra cittadini taiwanesi è ben peggiore di quello tra cittadini della Cina continentale e di Hong Kong. A proposito di salari, qui un grafico che mostra quanto terreno Taiwan ha perso nei confronti di Singapore, con una classe media ansiosa.

Secondo gli esperti, i bassi salari e gli alti prezzi degli immobili sono tra i fattori che contribuiscono al declino della salute mentale dei giovani taiwanesi. Molti non pensano di potersi permettere di comprare una casa, per non parlare di avere una famiglia, e questo li porta a pensare di non avere un futuro. L’anno scorso, più di 215.000 taiwanesi di età inferiore ai 30 anni hanno assunto farmaci per i sintomi della depressione, un numero più che doppio rispetto a dieci anni fa.

Altre notizie

TSMC, il più grande fabbricatore di chip al mondo e uno dei principali fornitori di Apple e Nvidia, ha previsto che le vendite del secondo trimestre potrebbero aumentare fino al 30%, cavalcando l’onda della domanda di semiconduttori utilizzati nelle applicazioni di intelligenza artificiale.

Sempre TSMC intende far pagare di più ai clienti i chip prodotti fuori da Taiwan, scrive il Financial Times.

“Le scadenze mancate e le tensioni tra i colleghi taiwanesi e americani stanno affliggendo l’espansione di TSMC in Arizona”. Imperdibile l’inchiesta di Rest of the World sull’avanzamento farraginoso dei lavori per gli impianti di chip voluti da Joe Biden a Phoenix.

Morris Chang, leggendario fondatore di TSMC, ha ricevuto la medaglia di Sun Yat-sen per aver rappresentato Taiwan in sei edizioni del summit dell’APEC.

Il ministero degli Affari Esteri ha presentato una denuncia ai pubblici ministeri accusando un deputato dell’opposizione di aver fatto trapelare un documento riservato sugli aiuti di Taiwan all’Ucraina.

A partire dal 19 maggio, le persone che si recano in strutture mediche come ospedali e cliniche, così come le case di cura per anziani, non dovranno più indossare maschere facciali, ponendo fine a tutti gli obblighi di maschere a Taiwan.

Di Lorenzo Lamperti

Taiwan Files – La puntata precedente sull’incontro Xi-Ma

Taiwan Files –Lo speciale sulle elezioni 2024

Intervista a Ma Ying-jeou

Intervista ad Audrey Tang

Reportage da Kinmen

Reportage dalle isole Matsu