La Cina raccontata per immagini – Chengdu (II parte)

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Cinque cose in breve da sapere su Chengdu:

  • Con i suoi 14 milioni di abitanti è il capoluogo della provincia del Sichuan e uno dei centri economici più importanti della Cina dato il suo punto strategico di collegamento sia dentro che fuori il Paese
  • Circondata da montagne, si trova su una pianura molto fertile, da alcuni soprannominata天府之国 [terra dell’abbondanza]
  • A venti minuti di taxi dalla città si trova il Centro di Ricerca e di Riproduzione del Panda Gigante
  • Il sistema di irrigazione di Dujiangyan, piccola cittadina poco fuori Chengdu, è stato costruito nel 256 a.C. e dal 2000 patrimonio UNESCO, ha apportato molti benefici allo sviluppo dell’agricoltura nella pianura circostante, riuscendo anche a controllare le forti e frequenti inondazioni
  • Nell’agosto 2021 ospiterà la 31esima Universiade

Puntate precedenti: Chongqing (I parte)Chongqing (II parte)Shenzhen, Chengdu (I parte)

Dentro le mura di Dujiangyan, a 30 minuti di treno da Chengdu, è possibile ammirare ciò per cui è diventata famosa e meta di turismo: il sistema di irrigazione formato dai tre canali Yuzui, Feishanyan e Baoping kou. Costruito nel 250 a.c. dal 2000 patrimonio UNESCO, ha permesso la crescita e lo sviluppo di tutta l’agricoltura nella pianura circostante. Grazie ai tre canali è stato possibile evitare molte delle frequenti e drammatiche inondazioni del Sichuan e risolvere il problema della siccità nei periodi di secca. Il cuore del villaggio è formato da due strade parallele separate da un piccolo canale in cui acqua cristallina scorre incessante. Ci sono mulinelli, donne con i secchi che portano l’acqua in casa, bambini che giocano a piedi nudi dentro il canale e un rumore costante, in sottofondo, di cascate.

Dei vecchi villaggi di antiche dinastie restano ricordi solo nei libri. Dell’antica città Jiezi, però, non se ne parla neanche lì. Si trova a 20 km da Dujiangyan, ai piedi del Monte Qingcheng. Riflesso millenario di abitazioni tipiche risalenti alla dinastia Qing, secolari alberi di Gingko dai mille colori, templi, pagode e porte della città in pietra. Il centro storico, se così vogliamo chiamarlo, è una strada di 1 km e mezzo piena di negozi di souvenir e street food. Il lungofiume, invece, è la parte del villaggio dove si concentra la movida notturna. Ci sono giorni, però, in cui sembra che nessuno abbia voglia di iniziare il suo turno. Tutto si muove lento e nei pomeriggi uggiosi le strade restano deserte. Anche il fiume nel suo scorrere è impercettibile, sembra non voglia disturbare i gatti che miagolano annoiati, ma che non si vedono. È come se si trovassero sospesi nel tempo in un’altra dimensione.

Il centro città è così caotico e frenetico che spesso ci si dimentica che rumore abbia il silenzio. I proprietari dei piccoli alberghi nei villaggi fuori dalle classiche rotte turistiche, però, lo ricordano ancora. Sembra abbiano tutti una passione incontrollabile per le piante, praticano taiji nei cortili interni per non disturbare i pochi turisti e offrono tè verde agli ospiti che hanno la pazienza di godersi una cerimonia minuziosa, lenta e impeccabile.

Nelle vie parallele ai negozi dalle vetrine ordinate, ci sono le nonne sedute su sgabelli in bilico a causa di un piede troppo corto. Fa così freddo che le vedi a stento coperte come sono con strati di pile, cappelli e sciarpe. Le uniche parti del corpo scoperte sono faccia e mani. Indaffarate a riempire chissà quali prelibatezze per i nipoti di rientro da scuola, discutono su quale ripieno – dolce o salato – sia più buono.
Mille stradine e cunicoli che si intersecano fino a farti perdere il senso dell’orientamento. Tutto è stato ricostruito ad opera d’arte per trasmettere un senso di Cina che non si ha nelle grandi metropoli. Per cercare di accontentare anche i viaggiatori più esigenti, lo Shifu del ristorante attira i clienti appendendo il menù ai rami di un albero ormai spoglio. La cucina è variegata: noodles saltati con tritato e tofu, Ganguo della casa, spaghetti all’italiana e pizza fatta in casa.

Il monte Qingcheng si trova a mezz’ora di autobus. È un posto isolato, difficile da raggiungere se non con gruppi di turisti locali. L’entrata è imponente e le scale, strette e scivolose, salgono a picco perdendosi nella nebbia. Una ricostruzione 1:1 del “guerriero dragone” e una targa con mappa e spiegazione in quattro lingue diverse, ti riportano dentro il cartone Kungfu Panda spiegandoti passo per passo i vari step che incontrerai lungo il cammino fino alla vetta, augurandoti che riesca ad arrivare senza il fiatone. Una volta iniziato il percorso non è difficile rivedersi dentro l’ambientazione fiabesca del cartone. Qui, però, non c’è nessuno Shifu che ti spronerà a completare il percorso e raggiungere la meta.
Ai piedi del monte, a novembre, non riesci a vederne la vetta. Inizi a dubitare delle tue stesse facoltà visive quando a 1000 metri tutto attorno a te è color nebbia, fai fatica a seguire il percorso e gli arbusti, in lontananza, prendono sembianze animali. La vera bellezza del monte Qingcheng sono le zie che incontri lungo il percorso che porta alla vetta. Ne trovi una ad ogni curva e si parlano urlando un dialetto tutto loro, forse per non farsi capire neanche dagli alberi. Alcune vendono funghi o piccoli insetti per gli infusi di alcol. Altre, invece, frutta e radici da sgranocchiare. Le più anziane, per evitare di dover scalare ogni giorno la montagna fino al tempio che sovrasta le nuvole, hanno deciso di far diventare questo bosco casa loro. Vivono una vita ad occhi chiusi, data l’età, riescono ad orientarsi meglio con gli altri sensi. Una vita ad occhi chiusi percorrendo tutti i sentieri a memoria. Fanno affidamento solo sull’udito. Il silenzio ha il suono dei loro campanacci. Ogni rintocco ha per loro un significato diverso. È il loro codice morse. Probabilmente nessuna di loro riesce a vedere bene. Vanno in giro ad occhi chiusi e non parlano per non disturbare la terra.

Di Martina Bucolo*

*Laurea magistrale in relazioni internazionali e comunicazione interculturale all’università di Enna (Kore). Ha insegnato cinese ai bambini di una scuola dell’infanzia tramite un progetto in collaborazione con l’Istituto Confucio di Enna. Dopo la laurea si è trasferita in Cina, dove ha insegnato italiano ai cinesi, prima a Chongqing in una scuola elementare e poi a Chengdu alla Sichuan Normal University (dove è tutt’ora)