Cresce la tensione nel mar cinese meridionale

In by Gabriele Battaglia

Cresce la tensione nel mar cinese meridionale. La Cina sta ampliando quella che è già stata ribattezzata “la grande muraglia di sabbia”. Ma parti di quel mare sono rivendicate da Taiwan, Vietnam, Filippine, Malesia e Brunei. Oltre alla Cina che lo rivendica nella sua interezza. Gli Usa protestano ufficialmente. E la situazione si surriscalda.La Cina sta cementificando isole, atolli e perfino secche a 740 miglia nautiche a sud della sua regione più meridionale. Gli analisti l’hanno già ribattezzata “la grande muraglia di sabbia”. Siamo nelle isole Spratly, a sole duecento miglia dalle coste delle Filippine. Immagini satellitari diffuse dal Pentagono, mostrano come qui la presenza cinese sia quadruplicata in soli sei mesi. A gennaio si trattava di qualche avamposto di cemento su sette atolli, oggi le sue costruzioni si estendono su 800 ettari di barriera corallina. Il segretario della difesa statunitense Ashton Carter è stato duro. Tutto questo – ha dichiarato nell’annuale incontro che si svolge a Singapore proprio per monitorare e misurare le tensioni tra i paesi di quest’area geografica –  “non è in linea” con i regolamenti internazionali.

L’area è calda da sempre. Di qui passa già un traffico di merci del valore annuale di 5mila miliardi di dollari. Per la Cina controllare questa acque significa avere un corridoio di accesso ad oriente verso il Pacifico e a occidente verso l’Oceano indiano e, quindi, l’Europa. È di fatto un passaggio fondamentale per quella che chiama “via della seta marittima”, ovvero lo sfruttamento delle stesse tratte commerciali dell’antichità. Come se non bastasse diversi studi dimostrano che i suoi fondali sono ricchi di petrolio e gas. Ma parti di quel mare sono rivendicate da Taiwan, Vietnam, Filippine, Malesia e Brunei. Oltre alla Cina che lo rivendica nella sua interezza.

La situazione è complicata. Pechino afferma che gli atolli delle isole Spratly e delle Paracelso compaiono come parte del territorio cinese in una mappa del 1947. Taiwan, che dalla Repubblica popolare è già considerata territorio nazionale, le rivendica sulle stesse basi. Il Vietnam contesta che l’area è sotto il suo controllo fin dal Diciassettesimo secolo e che la Cina non ha dichiarato la sovranità su queste isole fino agli anni Quaranta. Le Filippine ne sottolineano la prossimità geografica alle sue coste, mentre Malesia e Brunei si appellano al fatto che alcune di quelle isole sono all’interno della loro zona economica esclusiva definita dalla Convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos).

Gli unici nell’area a non poter rivendicare nulla sono gli Stati Uniti. Questi ultimi, però, si sentono chiamati a garantire “la sicurezza della regione” e recentemente hanno definito le mosse di Pechino come una minaccia per la libera navigazione.

Pochi giorni fa, il primo “Libro bianco della difesa” cinese ha asserito che l’Esercito di liberazione popolare si concentrerà sulla protezione delle acque territoriali più che sui confini terrestri e ha definito che la marina militare cinese dovrà occuparsi di operazioni di protezione “in mare aperto”. Il mese scorso Washington ha denunciato che la Cina sta costruendo una pista lunga tre chilometri nel mar cinese meridionale. Potrebbe quindi impedire agli Stati Uniti di controllare lo spazio aereo sopra le acque contese. Secondo alcuni analisti è la dimostrazione della volontà cinese di creare una nuova Zona di difesa aerea (Adiz). Quella creata nel nel 2013 sul mar cinese orientale ha già scatenato le proteste di Giappone e Taiwan.

Oggi nessuno dei contendenti potrebbe beneficiare di uno scontro militare, ma già i dieci stati del Sudest asiatico che si raggruppano nell’Asean hanno previsto un incremento di spesa di 52 miliardi di dollari entro il 2020 per le loro marine militari. Una delle priorità dichiarate è stabilire un codice di condotta sulle acque contese del mar cinese meridionale. Fino a quando non raggiungeranno un accordo, però, è verosimile che i cinesi continuino a costruire la nuova “grande muraglia”. A meno che gli Stati Uniti non decidano di intervenire con la forza. In questo caso non ci saranno più certezze. Per nessuna delle parti coinvolte.

[scritto per il Fatto Quotidiano; fotocredits: scmp.com]