Israele-Palestina: Pechino tenta la carta diplomatica

In by Gabriele Battaglia

Mahmoud Abbas, leader di Hamas, a Pechino, Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano a Shanghai. La Cina sigla accordi commerciali e tenta di affermarsi come mediatrice sulla questione arabo-israeliana, provando a organizzare un incontro tra i due leader. Una missione, che, però, appare impossibile. Negli stessi giorni in cui Mahmoud Abbas è a Pechino, Benjamin Netanyahu è a Shanghai. Il leader palestinese è ospite del presidente Xi Jinping, mentre il premier israeliano, che fin’ora ha principalmente solo discusso di accordi commerciali, è ospite del premier Li Keqiang. Sono incastri difficili quelli che tenta la diplomazia dell’ex Impero di mezzo.

Nonostante la fermezza con cui il primo ministro israeliano ha declinato l’invito, Pechino spera ancora di poter ospitare un incontro tra i due leader. Sarebbe un segno concreto della sua cresciuta influenza diplomatica, nonché del ruolo che potrebbe svolgere nella complicata situazione geopolitica del Medioriente.

Ma Abbas e Netanyahu non saranno mai nella stessa città nello stesso momento. La visita di Abbas, iniziata domenica finirà domani, quando Netanyahu arriverà a Pechino dove rimarrà fino a venerdì. Era dal 2007 che nessun leader israeliano si recava in Cina.

Nei giorni precedenti alla sua visita, in un’intervista all’agenzia di stampa governativa Xinhua, Abbas aveva dichiarato che avrebbe spiegato ai leader cinesi gli ostacoli che bloccano il dialogo con Israele e si era detto soddisfatto della visita di Netanyahu, “un’opportunità per i cinesi di ascoltarci entrambi”.

Il Global Times, spinn off in lingua inglese del Quotidiano del Popolo, enfatizza proprio l’importanza del ruolo diplomatico che la Cina riveste in questo frangente e infatti intervista il precedente ambasciatore cinese in Iran, Hua Liming, (“la mossa della Cina dimostra anche che è pronta a assumere ancora più responsabilità internazionali”) e il vicepresidente dell’Istituto cinese per le relazioni internazionali contemporanee, Li Shaoxian (“la Cina non sarà più solo un messaggero tra Palestina e Israele. Sta esercitando sempre più influenza e comincia ad offrire soluzioni pratiche al processo di pace”).

Anche il China Daily è dello stesso avviso. Qui si legge: “La quasi simultanea visita di Abbas e Netanyahu non ha precedenti nella storia cinese e indica i buoni rapporti che entrambi i paesi detengono con la Cina e la grande importanza che le attribuiscono nel processo di pace del Medioriente”. Lo sforzo cinese sarà quello di riaprire il dialogo dunque, e nel frattempo stringere accordi commerciali.

Se i leader vorranno incontrarsi in Cina, saremo felici di fornirgli tutta la nostra assistenza”, aveva dichiarato la settimana scorsa alla stampa il portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying. Ma i due non si incontreranno. Netanyahu arriverà a Pechino mercoledì, qunado Abbas sarà già partito. Nel frattempo il primo ministro israeliano, che aveva ritardato il suo arrivo a Shanghai di un giorno per partecipare al consiglio di sicurezza che discuteva quello che Damasco ha definito senza mezzi termini “un atto di guerra”, ha accuratamente evitato di parlare di Siria.

Secondo il Jerusalem Post, l’unica occasione in cui Netanyahu ha fatto un vago accenno all’argomento è stato prima che il suo aereo atterrasse a Shanghai, quando avrebbe risposto con un secco no a chi gli chiedeva se avesse considerato l’eventualità di posporre il suo viaggio a seguito dei recenti sviluppi, criticati ufficialmente dalla Cina.

Ma l’argomento Siria tornerà sui tavoli. Oggi stesso, nell’incontro con il presidente cinese Xi Jinping, o mercoledì quando il premier israeliano incontrerà la sua controporte cinese. Non dimentichiamo che Cina e Russia sono tra i principali sostenitori del presidente siriano Bashar Assad, almeno nell’opposizione alle sanzioni Onu e all’intervento militare, per tutelare le loro forniture di petrolio dalla regione.

Per il momento il presidente Xi Jinping si è espresso blandamente solo sulla questione palestinese riconoscendo alla Palestina il diritto ad essere riconosciuto uno stato indipendente e legittime le preoccupazioni per la sicurezza dello Stato di Israele la cui esistenza “deve esser completamente rispettata”.

[Scritto per Lettera43; foto credits: Afp]