In Cina e Asia — Cina e Germania verso un nuovo inizio

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La nostra rassegna quotidiana


Aspettando il G20: Cina e Germania verso un nuovo inizio

Le relazioni tra la Cina e la Germania stano vivendo un nuovo inizio. Lo ha annunciato ieri Xi Jinping in una conferenza congiunta con la cancelliera Angela Merkel nel corso della seconda visita tedesca del presidente cinese da quando ha assunto l’incarico. Xi ha invitato la controparte a “fissare lo sguardo su nuovi obiettivo, nuovi progetti e nuove rotte”. La partnership tra Cina e Germania — con Pechino che lo scorso anno è diventato per la prima volta il principale partner commerciale di Berlino — si snoda attraverso tre punti di contatto: la comunione d’intenti nella lotta contro i cambiamenti climatici e nella difesa della globalizzazione, cui si aggiunge la complementarietà tra il piano Made in China 2025 e il corrispettivo tedesco Industry 4.0.

Nemmeno gli strappi causati il caso del dissidente Liu Xiaobo, e dalle recenti accuse di cyberspionaggio e scarsa reciprocità nei confronti delle aziende straniere operanti in Cina sembrano aver turbato la buona riuscita della visita coronata dalla “panda diplomacy” e da una partita di calcio giovanile sicuramente gradita dal leader cinese, appassionato di football. Ma il vero convitato di pietra pare essere stato Donald Trump. La rinnovata intesa sino-tedesca arriva in un momento in cui i due paesi puntano a respingere la tendenza protezionista e isolazionista dell’America di Trump. Peraltro, diversi segni tangibili parrebbero evidenziare una crescente insofferenza del presidente americano nei confronti della Cina in riferimento agli sviluppi nella penisola coreana. A stretto giro dal lancio del primo missile balistico intercontinentale di Pyongyang, Trump è ricorso a Twitter per criticare la crescita del 40% registrata dagli scambi bilaterali sino-nordcoreani dall’inizio dell’anno. Si attende il G20 di venerdì e sabato per nuovi sviluppi.

Usa pronti a nuove sanzioni contro Pyongyang. Non è esclusa la risposta militare

Una delle nostre capacità è rappresentata dalle nostre notevoli forze militari. Le useremo se proprio dobbiamo, ma preferiremmo non dover andare in quella direzione”. E’ quanto dichiarato ieri dall’ambasciatrice americana alle Nazioni unite, Nikki Haley, durante una riunione del Consiglio di sicurezza, convocato da Washington a seguito dell’ultimo test missilistico nordcoreano, il primo potenzialmente in grado di colpire il nordovest degli Stati Uniti. Secondo Haley, si tratta di una provocazione che rischia di chiudere ogni possibilità di dialogo e che necessità l’adozione di nuove sanzioni. “Gran parte dell’onere di far rispettare le sanzioni Onu dipende dalla Cina”, ha dichiarato Haley, “lavoreremo con la Cina, lavoreremo con tutti i paesi che credono nella pace. Ma non ripeteremo gli approcci inadeguati del passato che ci hanno portati a questo giorno buio”. Ormai l’insoddisfazione di Washington nei confronti della condotta cinese non ha più freni. Per Trump lo sfoggio di muscoli di Pyongyang prova la necessità di misure più severe, per Pechino, invece, è il sintomo lampante del fallimento dell’approccio del pugno di ferro. Lo stesso lo pensa Mosca, che durante un recente incontro con Xi Jinping ha ribadito la propria contrarietà al metodo delle sanzioni e al dispiegamento di sistemi antimissile. Il vero ago della bilancia sembra essere la Corea del Sud, con il nuovo presidente Moon Jae In sprovvisto di una chiara strategia e fermo su un approccio duale che accosta promesse di dialogo ad esercitazioni militari congiunte con Washington.

Lo shopping cinese nel mattone d’oltremare raggiunge i 100 miliardi

Per la prima volta nella storia, lo scorso anno le acquisizioni cinesi di immobili all’estero hanno superato i 100 miliardi di dollari. A rivelarlo è Juwai.com, che ha incrociato i dati sulle transazioni effettuate da aziende, privati, e investitori retail. La cifra evidenzia un aumento di oltre un quarto rispetto al 2015 e dell’845% negli ultimi cinque anni. Gli investimenti risultano concentrati negli Usa, in Australia e a Hong Kong. Nonostante le limitazioni introdotte dal governo per imbrigliare la fuga di capitali, secondo gli esperti il trend si manterrà costante nel prossimo decennio, sebbene con alcune variazioni: probabilmente l’importo di ogni singolo accordo sarà più contenuto per non attirare l’attenzione delle autorità.

Cina e Usa primi per miliardari self-made

Cina e Stati Uniti da soli contano per ben l’80% del totale dei miliardari self-made sotto i 40 anni. A rivelarlo è Hurun, il Forbes cinese, in una lista che comprende 47 individui (20 americani e 18 cinesi), con il papà di Facebook Mark Zuckerberg in testa (58 miliardi di dollari), seguito dai cofondatori Dustin Moskovitz ed Eduardo Saverin. Sul versante cinese, in cima al podio troviamo il fondatore di DJI, Frank Wang (4 miliardi di dollari) — nono nella lista — che grazie alla sua startup è riuscito a monopolizzare il 70% del mercato dei droni. La classifica dà inoltre la percezione della rapidità con cui la new economy permette di ammassare ricchezza: per esempio, il conto in banca di Cheng Wei, il Ceo di Didi (l’Uber cinese), ha raggiunto i nove zeri in soli tre anni.

Negli Usa migliaia di adottati asiatici sono a rischio deportazione

Secondo Adoptee Rights Campaign, ben 35mila persone adottate negli Stati Uniti non hanno la cittadinanza americana — che prima del 2000 non scattava automaticamente con l’adozione- e sono a rischio deportazione. Alcuni di loro scoprono di non essere cittadini statunitensi solo al momento dell’espulsione dal paese. Ad essere a rischio sono sopratutto gli individui provenienti da Vietnam, Thailandia, Brasile ma sopratutto Corea del Sud. Non è ben chiaro quanti dei 110mila bambini sudcoreani adottati dagli anni ’50 siano stati deportati. Sono solo sei i casi documentati, sebbene il governo americano abbia dichiarato di non essere in grado d definire la cittadinanza di 18mila coreani legalmente adottati negli States.

Giappone e Ue pronti ad abbattere le tariffe commerciali

Giappone e Unione europea hanno raggiunto un’intesa a livello ministeriali per un accordo di libero scambio, il Japan-EU Economic Partnership Agreement. Il trattato — che comporta l’eliminazione di tariffe sul 95% dei beni scambiati- verrà concluso quest’oggi quando Shinzo Abe incontrerà il presidente del consiglio europeo Donald Tusk a Bruxelles. In cantiere dal 2013, l’accordo verrà sviluppato in tutti i suoi dettagli nel corso dei prossimi mesi. Una volta ultimato porterà alla nascita di un blocco di libero commercio paragonabile alle vagheggiate Trans-Pacific Partnership e alla Regional Comprehensive Economic Partnership.