I Diari di Bollophur – Holi, una scusa per toccarsi

In by Simone

Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Questi sono i nostri diari.
Anche noi nel nostro piccolo abbiamo festeggiato Holi.
Siamo andati in "città", a Santiniketan, a festeggiare con le centinaia e centinaia di persone che dalle zone limitrofe, o da Calcutta, hanno deciso di farsi la gitarella fuori porta in campagna, a spargersi la polvere colorata a casa di Tagore.

Cosa c’è di diverso nei festeggiamenti di Santiniketan rispetto al resto dell’India? Non lo so, questo è stato il mio primo Holi, non ho termini di paragone.
Ma mi hanno detto che dalle altre parti è molto più violento, nel senso che siccome ad Holi tutto è permesso (lo avevamo già spiegato qui), allora ogni scusa è buona per fare i matti, formare bande di strada pronte a riempire chiunque con degli appositi liquidator caricati ad acqua colorata, far perdere la vista alla gente lanciando delle polveri colorate chimiche, palpare le ragazze, urlare.
Un po’ come da noi a Carnevale, quando c’erano i compagni violenti delle medie che riempivano i bastoni di plastica coi sassi o lanciavano la schiuma da barba che poi se avevi il Moncler non andava più via e la mamma ti faceva un mazzo così.

Un po’ terrorizzato dai racconti di amici, prima di partire per Santiniketan (pochi km dal villaggio dove viviamo) ho cercato di informarmi sui costumi locali con domande del tipo "Ma su una scala da uno a dieci, quanto posso essere violento?Se mi vengono addosso in cinque per riempirmi di polvere e io ho in manco la macchina fotografica, posso menare?"
Tutti mi hanno rassicurato che no, non ci sarebbero state risse da strada come in West Side Story, dovevo stare tranquillo e semplicemente avvicinarmi alla gente col mio sacchettino di polveri colorate – comprate il giorno prima, rigorosamente ricavate da fiori a parte una troppo fucsia per essere un colore naturale – e fare una carezza sulla guancia dicendo "Happy Holi".

Eravamo un gruppetto di occidentali, e man mano che ci avvicinavamo a piedi al centro dei festeggiamenti – il dipartimento di arte de’università – il nostro sorriso gioviale da "ma che bella festa che è Holi, ma guarda quanto sono carini tutti" si trasformava in un grugno insofferente: avendo due ragazze al seguito è parso ovvio che i festanti ragazzi indiani non vedessero l’ora di scambiare cordialità e gioia tattile coi pochi centimetri di pelle lasciati nudi dalle due occidentali in mia compagnia.
E quindi tutti a tocchicciare, per carità, solo parti non intime (braccia, guancia, spalle), ma letteralmente a centinaia, in uno scambio di carezze colorate che se per noi era una simpatica tradizione locale un po’ invadente alla lunga, per la controparte locale era spesso il coronamento di un sogno proibito: tastare pelle bianca, inimmaginabile in qualsiasi altro giorno che non fosse proprio Holi.

Ho bevuto il bhang lassi (yogurt alla marijuana)? Certo, lì per lì non mi ha fatto granché, ma sulla via del ritorno a casa mi sono stranamente dimenticato di fare il pieno al motorino, e sono rimasto a secco nel bel mezzo della campagna, a due km da casa.
Fatti tirando il motorino, al sole di marzo – leggi 35 gradi – con sandaletti di cuoio che gli indiani si mettono a matrimonio e lì si, dopo un km, mi sentivo fatto.
Forse non era solo il bhang lassi.

Sotto una selezione delle foto scattate. Al di là del dubbio valore artistico, ci sono molto legato: con tutta la polvere colorata che mi hanno lanciato addosso mentre avevo la macchina fotografica in mano, credo siano le ultime che la mia Canon potrà scattare.
E per la cronaca no, non ho menato, ma ci sono andato molto vicino.