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Gig-ology – Nuovi dati sulla disoccupazione giovanile in Cina. Cosa è cambiato?

In Economia, Politica e Società, Gig-ology by Vittoria Mazzieri

Nuovi dati sulla disoccupazione giovanile: dal 21,3% al 14,9% in sei mesi. Dopo che a giugno 2023 la leadership cinese ha sospeso la pubblicazione delle stime, l’Ufficio di statistica assicura ora “un monitoraggio più accurato dei dati”. Ma secondo il ricercatore di China Labour Bulletin si tratta di “una scelta politica”. Gig-ology è una rubrica sul mondo del lavoro asiatico

In Cina la disoccupazione non sembra essere più un problema. Secondo i dati ufficiali, il 2023 si è concluso con un tasso medio del 5,2%, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2022, un anno caratterizzato dal drammatico lockdown di Shanghai, dalle manifestazioni di fabbrica e dalle proteste “dei fogli bianchi”.

Perfino il tasso di disoccupazione giovanile (residenti dei centri urbani di età compresa tra i 16 e i 24 anni) si è ridotto in maniera consistente, passando in sei mesi dal 21,3% al 14,9%. Un lasso di tempo in cui l’Ufficio nazionale di statistica cinese (NBS) ha sospeso la pubblicazione dei dati sulla base della volontà dichiarata di “migliorare e ottimizzare” le modalità di raccolta.

Voci critiche non sono tardate ad arrivare: di fatto, la difficile situazione occupazionale dei giovani e dei giovanissimi è da anni al centro delle discussioni sul web, che denunciano il progressivo peggioramento delle condizioni lavorative e raccontano le difficoltà di intere generazioni a trovare una occupazione dignitosa e che possa ripagare almeno in parte i lunghi anni passati sui libri.

Il 2023, inaugurato dalla decisione del Partito di abolire la politica di contenimento del Covid-19, ha visto la curva della disoccupazione giovanile salire vertiginosamente fino a superare il livello record del 20%. Numeri così alti (fino al 2019 la percentuale non aveva mai superato il 10,6%) si configuravano come uno scomodo promemoria per la leadership, che nel mentre ha rassicurato che la situazione occupazionale fosse in uno stato di “generale stabilità”.

Nel corso dell’anno la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma ha emanato una serie di misure volte a stimolare l’economia e sostenere i consumi, nell’ambito di un piano di ampio respiro per migliorare performance di crescita deludenti, potenziare l’ambiente commerciale e stabilizzare l’occupazione giovanile.

Cosa è cambiato

La tregua nella condivisione delle statistiche ufficiali, un decisione che secondi molti utenti dell’Internet cinese è stata sintomo dell’incapacità di Pechino di gestire il problema, ha permesso di fatto al NBS di apportare delle modifiche. Nella comunicazione ufficiale si afferma che l’Ufficio ha tenuto conto dei “suggerimenti e le opinioni avanzate dalla società”, sulla base dei quali ha delineato un processo di raccolta dei dati che, come si legge, ha preso ispirazione dagli “standard internazionali e dalle pratiche di vari paesi”.

Si tratta del secondo aggiustamento dopo quello adoperato nel 2018. Prima di quella data Pechino ha condiviso i dati relativi ai lavoratori in possesso di un hukou urbano che si erano iscritti agli uffici governativi per accedere al sussidio di disoccupazione. I risultati non raffiguravano la situazione degli oltre 250 milioni di lavoratori migranti e, inoltre, escludevano tutti coloro che non avevano lavorato precedentemente in maniera continuata in contratto subordinato.

In seguito si è iniziato a diffondere i risultati di un’indagine condotta mensilmente che includeva tutti i residenti cittadini con documentazione regolare e senza limite di età. Ma anche in questo caso i requisiti erano piuttosto escludenti: rientravano tra i “disoccupati”, infatti, coloro che di recente avevano cercato attivamente lavoro e che erano in grado di iniziare a lavorare entro due settimane.

La nuova metodologia, che secondo il direttore del NBS, Kang Yi, dovrebbe assicurare “un monitoraggio più accurato della disoccupazione giovanile”, non sembra aver davvero rimodulato il processo di raccolta. Il cambiamento principale risiede nell’aver escluso i giovani della fascia 16-24 anni che sono iscritti a scuola e all’università. E ciò ha significato restringere di molto il campo di osservazione, poiché secondo i dati ufficiali più del 60% (62 milioni di persone) sono studenti.

“L’Ufficio di statistica cinese in un certo senso ha ragione a dire che se si studia, anche se si ha problemi a trovare un lavoro part-time, si appartiene a una categoria differente rispetto a chi è del tutto disoccupato e non riesce a trovare un lavoro”, spiega Aidan Chau, ricercatore della ong China Labour Bulletin: “E il fatto che i dati precedenti abbiano mescolato i due gruppi di persone può effettivamente costituire un problema”.

Le nuove direttive prevedono anche di prestare più attenzione alla fascia di età 25-29, di solito integrata in quella categoria considerata fondamentale in termini di produzione del lavoro ma che presenta delle peculiarità, in quanto raccoglie la maggior parte delle esperienze di ricerca post-laurea (visto che la percentuale di chi sceglie di continuare a formarsi con master e corsi di formazione registra crescita costante). A fine anno i disoccupati in questa fascia d’età erano il 6,1% del totale.

Alle stime diffuse in precedenza, sostiene Chau, va riconosciuta tuttavia una funzione ben precisa: raccogliendo tutti coloro intenzionati a trovarsi un’occupazione, studenti e non, si riusciva a misurare “la capacità di creazione di nuovi posti di lavoro e quindi quanto il mercato occupazionale fosse in grado diassorbire le persone in cerca di lavoro”. Secondo il ricercatore di CLB, per dipingere un quadro fedele servirebbe un’ulteriore serie di dati a complemento di quella attuale, perché utili per scopi diversi: “Credo sia chiaro che l’atto è politico. Non vogliono che i dati vengano visti e interpretati, e che si faccia pressione sul governo”.

Una delle maggiori sfide per la leadership sarà gestire la trasformazione industriale in corso. Mentre il governo si concentra sulla green economy e sulla elettronica ad alta tecnologia, il settore manifatturiero nelle aree costiere sta sperimentando cambiamenti importanti. Chau menziona alcuni dati raccolti dal CLB, che nel 2023 ha registrato 438 proteste di lavoratori, a fronte delle 37 nel 2022. Inoltre, “molte fabbriche dell’industria tessile e, soprattutto, della strategica industria del PCB (circuiti stampati), hanno chiuso e si sono trasferite in altri paesi”. A ciò si somma il calo delle performance del settore tech e di quello immobiliare, vale a dire le attività che per un decennio sono state le più redditizie.