Generazione «wang hong»: le internet celebrities in Cina

In by Gabriele Battaglia

Sono quasi tutte donne, spesso modelle o ex modelle intraprendenti, con ampie capacità comunicative e conoscenza dei social media. Accumulano followers e diventano miniere d’oro per le imprese e per se stesse. Il governo strizza loro l’occhio perché fanno girare l’economia e contribuiscono a depoliticizzare la Rete, ma le tiene anche sotto controllo. Di fronte al rallentamento dell’economia e delle opportunità di lavoro, in Cina è tempo di «internet celebrities»: star auto o eteroprodotte che usano i social media per fare soldi. Il meccanismo è apparentemente semplice: dici o fai qualcosa di «interessante» in un video mandato sui social, ti crei un esercito di follower e poi qualcuno paga per inserire spot pubblicitari nelle tue performance. Oppure, sono le stesse imprese che affidano alla celebrity uno spazio internet, puntando sulle sua capacità di far spendere più soldi possibili a una fetta dei 720 milioni di utenti internet cinesi. Una miniera d’oro.

In mandarino sono note come «wang hong», termine composto dai due caratteri di «Rete» e «rosso» e abbreviazione di «wangluo hongren». «Hongren» sta per «favorito» (di un ministro, di un imperatore), il colore rosso è quindi anche sinonimo di popolare, qualcosa che gode dell’apprezzamento generale e va di moda. Insomma, «hot». E quindi abbiamo le celebrità della Rete. Sono qualcosa in più di semplici testimonial, se vogliamo ne ribaltano il concetto. Non c’è Rio Mare che assolda Alessandro Gassman per promuovere le Insalatissime, c’è invece la ragazzotta sconosciuta che sgomita nel paludoso mondo della Rete, diventa famosissima proprio lì e attira contatti e contratti.
Le autorità cinesi guardano con un misto di interesse e di preoccupazione al fenomeno: da un lato, fa girare l’economia; dall’altro, crea pericolosi assembramenti, anche se virtuali.

All’inizio si parlava di internet celebrity soprattutto a proposito di commentatori politici che però sono finiti sempre più nel mirino del governo. Esemplare è il caso di Ren Zhiqiang, sviluppatore immobiliare e blogger, che allo scorso febbraio aveva 37 milioni di followers sul suo account di Weibo, cioè l’incrocio virtuoso e con caratteristiche cinesi di Twitter e Facebook. Iscritto al Partito comunista, detto anche «il Donald Trump cinese» in quanto immobiliarista di successo – e il fatto che un palazzinaro sia anche un idolo della Rete ci dice molto sulla Cina di oggi – è da tempo noto per le sue invettive semi dantesche e molto fuori dagli schemi. A inizio 2016, se la prende addirittura con il presidente Xi Jinping che in una visita ai maggiori media di Stato aveva appena dichiarato che l’informazione deve «riflettere la volontà» e «preservare l’autorità» del Partito. Ren – che è amico di Wang Qishan, zar dell’anticorruzione cinese e fedelissimo del presidente Xi – ritiene evidentemente di avere le spalle abbastanza coperte e commenta sul proprio microblog: «Da quando il governo del popolo è diventato il governo del Partito?»
Errore madornale. Il suo post è immediatamente cancellato e i suoi account sia su Weibo sia su QQ – l’instant messenger di Tencent – vengono chiusi. Pochi giorni dopo, un comitato del Partito chiede che Ren sia punito perché «ha diffuso informazioni illegali e fatto commenti inappropriati online, creando un’influenza vile e provocando danno all’immagine del Pcc». A maggio, viene quindi messo «in osservazione» per un anno: se nei prossimi mesi cadrà ancora in tentazione e in errore, sarà espulso da quell’enorme comitato d’affari da 85 milioni di partner che è il Partito comunista cinese. Fine dei giochi.

Proprio mentre si consumava la saga di Ren, i media di Stato si buttavano però a corpo morto su un altro tipo di internet celebrity, quella a vocazione puramente commerciale.
Sono quasi tutte donne, spesso modelle o ex modelle intraprendenti, con ampie capacità comunicative, ma soprattutto stufe di sfacchinare in passerella e desiderose di mettersi in proprio. Si creano un account su Weibo, aprono un negozio su Taobao – il sito e-commerce di Alibaba – e mentre da una parte accumulano fans, dall’altra vendono loro prodotti di ogni genere. Ci sono quelle che diventano pure designer e creano vestiti in proprio, altre veicolano i prodotti altrui.
È un business redditizio. Zhang Dayi, una delle più note wang hong, ha guadagnato 300 milioni di renminbi nel 2015, cioè 45 milioni di dollari (40 milioni di euro). Per fare un paragone, un’attrice al top dell’indice di gradimento in Cina, Fan Bingbing, ha secondo Forbes guadagnato «solo» 21 milioni di dollari nello stesso periodo.

Cosa fanno le ragazze?
Zhang, che è un’ex modella, ha creato nel 2014 «Il mio gioioso guardaroba» («Wu huanxi de yichu»), nomen omen per un negozio online dove si fa fotografare mentre indossa questo o quel vestitino disegnato e prodotto da lei stessa. Ne ha venduti anche 5mila in soli due secondi. Si intrattiene con le sue followers dispensando anche consigli per il trucco, il taglio di capelli e così via. Quattro milioni di ragazze pendono dalle sue labbra.

Il rapporto tra la celebrity e i suoi follower è un curioso mix di idoloiatria e pragmatismo.
Così, se c’è la fan che sta appiccicata al computer perché vuole essere la prima a fare gli auguri di buon compleanno alla «sua» celebrity, c’è anche la ragazza intervistata da China Daily che dichiara di seguire diverse «wang hong» perché «condividono le loro opinioni, esperienze e competenze. Questo mi fa risparmiare tempo, perché così non devo andare alla ricerca di i vestiti o borse. Internet può essere fonte di confusione, di stress, con tutti quei prodotti che fanno a gara per attirare la mia attenzione. E poi, i vestiti raccomandati dalle celebrity sono molto adatti per l’uso quotidiano e i loro prezzi non sono così alti se confrontati con quelli pubblicizzati dalle riviste di moda».
È questo per esempio il caso del negozio online di Xue Li, un’altra celebrità con 1,4 milioni di fan: tra gennaio e agosto 2015 ha guadagnato 200 milioni di yuan (oltre 26 milioni di euro) vendendo vestiti che nella maggior parte dei casi costano tra i 220 e i 240 renminbi (29-32 euro). Zhao Daxi, che ha 300mila followers su Weibo, ha aperto un negozio su Taobao quando era ancora all’università. Al momento della laurea, nel 2013, aveva già aperto una fabbrica tessile che oggi impiega circa cento persone.

Il settimanale Xin Zhoukan ha di recente fatto una disamina del fenomeno «wang hong»:
«La bellezza è il punto di partenza – si legge – ma non è tutto». In primo luogo, bisogna capire come cambiano le piattaforme Internet, come si distribuisce il traffico. Le prime celebrity sono nate sul sito di ecommerce Taobao, poi sono passate a Weibo e quindi a Wechat, che unisce le funzioni di messenger e social ed è ormai imprescindibile per chiunque viva in Cina. Si è posto poi il problema di come «collegare il business agli specifici social media». Perché se Taobao nasce già commerciale, «Wechat ha dichiarato di rifiutare l’eccessiva mercificazione e Weibo ha perso una considerevole fetta di utenti da quando è diventato troppo business oriented». Così – osserva l’articolo – i manager delle piattaforme e gli uomini d’affari ambiziosi si sono dati da fare per sviluppare il «terzo strumento», vale a dire, il contenuto. Bisogna creare roba interessante per le giovani generazioni, e quindi incorporarci la pubblicità del prodotto. È quasi impossibile diventare celebrity da soli. O per meglio dire, se la celebrity commercializza il prodotto, i gestori della piattaforma e i manager delle imprese inserzioniste commercializzano la celebrity. «Il 90 per cento del lavoro per creare una celebrità è fatto dai responsabili delle società collegate. Solo il 10 per cento è opera della celebrity stessa».

Fa buon gioco alle autorità il fatto che le celebrity commerciali concorrano a spostare il focus dell’interesse dai temi sensibili al business. La «wang hong» contemporanea diffonde con il suo semplice esistere il motto «consumare è glorioso», con il suo corollario implicito: «lasciate perdere la politica, quella la fa il Partito».

Bisogna però monitorare con cura questi assembramenti virtuali da milioni di persone, chissà mai che alla celebrity scappi la mano. È questo per esempio il caso di Papi Jiang, al secolo Jiang Yi Lei, trentenne laureata all’Accademia Centrale di Drammaturgia e famosa per i suoi video comici su Weibo, in cui imita e prende in giro note personalità o prende di petto temi sociali, come quello delle «sheng nu» («avanzi di donna»), le zitelle, di cui anche lei si dice parte. Nei suoi monologhi filmati inserisce ad arte anche microspot più o meno occulti e utilizza un linguaggio forte, al limite dello scurrile. A maggio, l’Amministrazione statale per Stampa, Pubblicazioni, Radio, Film e Televisione (SARFT) dice basta e fa rimuovere tutti i video di Papi dalle piattaforme che li ospitano: troppe volgarità, i bambini (che per il potere cinese sembrano spesso significare tutta la popolazione) ci guardano. Dato che un mese prima diversi fondi d’investimento le avevano dato 12 milioni di yuan (1,6 milioni di euro) scommettendo su di lei, Papi lancia a questo punto una promozione: un’asta in cui vende al miglior offerente un solo spot «griffato» in cui concede i propri servizi come video-testimonial. Vince una compagnia di cosmetici che sborsa la bellezza di 22 milioni di yuan (quasi 3 milioni di euro). Immediatamente, Papi e il suo management annunciano che la cifra sarà interamente donata all’Accademia Centrale di Drammaturgia, l’ex scuola della celebrity. Beneficenza. La «wang hong» torna online, l’armonia trionfa.

[Articolo scritto per Prismomag.com. Foto: la pagina Weibo di Zhang Dayi]