scuola taoista

Dialoghi – Essere taoisti, fuori dalla Cina

In Dialoghi: Confucio e China Files by Francesco Mattogno

Il taoismo si è diffuso da secoli in Asia, dove è spesso praticato in sincretismo con altre pratiche locali, mentre in occidente non ha mai attecchito davvero. La Cina ha provato a rilanciarlo creando una nuova Federazione mondiale del taoismo. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano. Clicca qui per leggere le altre puntate

Quando in occidente si parla di correnti filosofiche o di religioni cinesi, a molti quella taoista non è la prima scuola che viene in mente. È più facile che si citi Confucio, pensatore che Internet è riuscito anche a trasformare in meme e icona pop. Oppure è possibile che ci si riferisca genericamente al buddhismo, per quanto sia una filosofia che oggi viene spesso associata ad altri paesi asiatici piuttosto che alla Cina, in cui invece gode di una storia millenaria. 

Persino gli inflazionati concetti di yin (yīn, 阴) e yang (yáng, 阳) vengono raramente accostati al taoismo (o daoismo: Dàojiào, 道教), del quale in generale si sa molto poco. Dopo varie dispute storiche, oggi è comune definire Laozi (Lǎozǐ, 老子) e non Zhuangzi (Zhuāngzǐ, 庄子) come il “fondatore” del pensiero taoista. Figura dai molti aspetti leggendari, si ritiene che Laozi sia vissuto attorno al 500 a.C. e che sia l’autore del vademecum del taoismo, il Daodejing (Dàodéjīng, 道德经). Cioè il “Canone della Via e della Virtù”, o più letteralmente il “Classico della Virtù/Potenza del Tao (Dao)”.

Già durante l’epoca degli Han orientali (25-220 d.C.) il taoismo si diffuse in alcune zone vicine all’Impero Cinese, come l’odierno Vietnam, prima di arrivare nel corso dei secoli anche nella penisola coreana e in Giappone, e solo più recentemente (intorno al diciottesimo secolo) in tutto il Sud-Est asiatico. A Taiwan, dove oggi ci sono migliaia di templi, la sua popolarità è probabilmente dovuta a Koxinga (Zhèng Chénggōng, 郑成功), storico leader militare della dinastia Ming che usò il taoismo come strumento utile a fomentare il nazionalismo dei cinesi presenti sull’isola, con lo scopo (mai raggiunto) di rovesciare gli invasori manciù Qing nella Cina continentale. 

Essendo quella taoista una dottrina aperta ai sincretismi, con il tempo e le contaminazioni culturali se ne sono formate varie versioni, ognuna con i suoi riti e tradizioni. Ad esempio in Thailandia, a Phuket, una volta all’anno si tiene il Festival dei Nove Dei Imperatori: nove giorni in cui, oltre a non mangiare carne, fare sesso e bere alcol, alcuni decidono di trafiggersi il volto con spade o grandi punte di metallo come simbolo di pentimento per i propri peccati. Paradossalmente, la versione occidentale del taoismo è invece molto più aderente a quella del pensiero tradizionale cinese. 

Il primo significativo interessamento di europei e nordamericani alla spiritualità taoista risale al secondo dopoguerra. Non era raro, all’epoca, che i maestri cinesi si trasferissero in occidente e creassero attorno a loro delle vere e proprie comunità di seguaci, formate da cinesi della diaspora ma anche da persone del posto. Più di recente si è infine arrivati al percorso inverso: ormai gran parte dei sacerdoti taoisti occidentali odierni ha alle spalle diversi anni di studi in Cina, che rappresentano per tutti un periodo di formazione fondamentale prima del rientro in patria e della partecipazione attiva all’interno delle associazioni taoiste locali. Che in alcuni casi sono state fondate dagli stessi studiosi taoisti nati in occidente.

Di queste associazioni ce ne sono ormai diverse in tutto il mondo, ma non contano più di qualche migliaia di iscritti, in maggioranza donne. Diffondere il taoismo fuori dalla Cina «resta una sfida», ha raccontato un sacerdote taoista tedesco a Sixth Tone. Secondo quanto emerso dal Congresso internazionale taoista, che si è tenuto a Napoli nel 2019, le ragioni principali per cui il taosimo non ha ancora attecchito in Europa sono quattro: la mancanza di fondi, la carenza di libri taoisti cinesi tradotti in lingue diverse dall’inglese, le difficoltà logistiche di chiamare a insegnare i maestri cinesi e la cattiva reputazione che il taoismo avrebbe sviluppato nell’opinione pubblica occidentale. Quest’ultimo punto sarebbe dovuto all’esistenza di scuole «che si professano taoiste e che utilizzano il taoismo per scopi commerciali». E in effetti, di associazioni ambigue non ne mancano. 

Già da tempo, comunque, molti credevano che fosse necessaria una maggiore integrazione tra le associazioni taoiste europee: una sorta di sistema centralizzato che raccogliesse le istanze (e i finanziamenti) di tutte le scuole taoiste. Si può dire che il desiderio si sia avverato lo scorso 24 settembre. Durante il 5° Forum internazionale del taoismo, che si è tenuto sulla montagna Maoshan nel Jiangsu, di fronte a 1.000 rappresentanti di associazioni taoiste da tutto il mondo è stata ufficialmente inaugurata la Federazione mondiale del taoismo, che comprende 52 organizzazioni taoiste provenienti dai 20 paesi fondatori.

È stato un evento importante anche per lo stesso Partito comunista cinese, che per la prima volta ha mandato a seguire la cerimonia uno dei 24 membri del Politburo, Shi Taifeng, e che ha impreziosito la serata con un intervento scritto di Wang Huning, membro del Comitato permanente del Politburo. Shi è anche presidente del Fronte Unito, il dipartimento che si occupa di estendere l’influenza del partito all’interno della società civile cinese e internazionale. Secondo Le Monde, il taoismo diventerà di fatto uno degli strumenti di soft power della Repubblica popolare cinese. Ma in realtà a qualche mese di distanza dall’evento si sa ancora ben poco di quello di cui si occuperà la Federazione. 

Al di là della fumosa volontà di favorire la diffusione del taoismo e creare una “Società taoista internazionale”, la nuova organizzazione si è per ora concretamente impegnata solo a investire in settori etici, come nei progetti di tutela dell’ambiente e di crescita sostenibile. Oltre al presidente, il maestro Li Guangfu (anche capo dell’Associazione taoista cinese), la Federazione conta 6 vicepresidenti (4 cinesi e 2 stranieri). Uno di loro è il presidente della Chiesa Taoista italiana, Vincenzo Di Ieso, che esercita con il nome di Li Xuanzong. «Il mondo ha bisogno di spiritualità, e il taoismo salverà il mondo», ha dichiarato entusiasta dal palco del Forum. Mal che vada, potrebbe sempre guadagnarne in popolarità.

A cura di Francesco Mattogno