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Dialoghi – Energia solare: la transizione cinese è blu

In Dialoghi: Confucio e China Files, Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

L’approccio di Pechino all’energia solare sta cambiando il mix energetico nazionale, ma il suo impatto si estende ben oltre i confini della Repubblica popolare. Presente, passato e futuro di una tecnologia che sta rivoluzionando il passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili. “Dialoghi: Confucio e China Files”è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e Istituto Confucio di Milano

Parchi solari immensi, mastodontici. Parchi solari a forma di panda e a raggiera. Parchi solari sugli altipiani, nei deserti, galleggianti. La Repubblica popolare ha sperimentato il fotovoltaico già dai tempi del Grande balzo in avanti, ma il suo successo è arrivato solo negli ultimi dieci anni. Oggi la Cina è il primo paese al mondo per produzione di energia solare e domina in tutti i passaggi chiave della catena di approvvigionamento. Di questo passo, stima una ricerca sinoamericana, l’energia solare potrebbe arrivare a occupare il 43,2% del mix energetico cinese. Oggi contribuisce, insieme all’eolico, solo all’11% del totale, contro circa il 60% costituito da energia ottenuta attraverso la combustione del carbone.

Uno sviluppo anomalo

Lo sviluppo di un’industria dei pannelli solari in Cina non nasce nel tentativo di trovare nuove forme di energia sostenibile. I primi esperimenti risalgono al 1958, ma solo negli anni Duemila verrà potenziata la capacità di Pechino in questo settore. A stimolare la conversione o la nascita di nuovi impianti di produzione sarà infatti la crescente domanda dei mercati occidentali, dove in quegli anni iniziavano a essere introdotte le prime leggi per stimolare la transizione verso le energie rinnovabili. In quegli anni, il 95% dell’output veniva destinato alla vendita ai partner stranieri, mentre solo il 5% rimaneva a uso interno. Successivamente, il governo ha continuato a sostenere l’industria dei pannelli fotovoltaici anche durante la crisi finanziaria mondiale del 2008, fornendo sussidi e sgravi fiscali alle aziende coinvolte nel settore.

Bisognerà attendere ancora molti anni prima che Pechino includa il solare tra le fonti rinnovabili necessarie e urgenti per promuovere una riconversione sostenibile del comparto energetico. Prima di allora l’interesse dei governi locali si focalizzava su eolico e idroelettrico, due tecnologie di cui sia le istituzioni che le imprese cinesi avevano maggiore esperienza. È con il 12° Piano quinquennale (2011-2015), il documento che delinea la strategia di sviluppo economico per i cinque anni successivi, che la leadership cinese inizia a dare maggiore peso alla produzione domestica di energia solare. Il documento menziona l’obiettivo di costruire nuove centrali nucleari e solari, queste ultime locate soprattutto in Tibet, Mongolia Interna, Gansu, Ningxia, Qinghai, Xinjiang e Yunnan. Non è quindi un caso che i principali parchi solari della Cina si trovino in queste province, dove la radiazione solare è più accentuata, sono presenti vaste aree di terreno inutilizzato e la rete elettrica è ancora da potenziare.

I grandi parchi solari cinesi

Tra le dieci principali imprese produttrici di pannelli solari nel 2022, sette sono cinesi. Il più grande parco solare al mondo si trova a Golmud, nel Qinghai, la terza città più grande dell’altopiano tibetano. I lavori sono iniziati nel 2009 e oggi i suoi sette milioni di pannelli producono circa 2,8 Gigawatt di energia elettrica. Per fare una stima, dobbiamo pensare che 1 Gigawatt è in grado di sostenere la domanda energetica di circa 750 mila abitazioni all’ora. L’ambizione è di arrivare a produrre 16 Gigawatt entro i prossimi sei-sette anni.

Oltre agli altipiani, le più grandi centrali fotovoltaiche sono localizzate nelle aree desertiche, come nel caso dell’impianto di Zhongwei, nel Ningxia settentrionale. Qui i pannelli si estendono per 43 km2 nel deserto del Tengger e producono 1,43 Gigawatt di energia. Vi sono poi i parchi solari che, visti dall’alto, raffigurano dei panda. Ne è un esempio quello di Datong, nello Shanxi, che ha fatto parlare di sé in tutto il mondo più per il suo aspetto bizzarro che per il potenziale produttivo. Altre centrali coprono intere montagne, come nel caso dei pannelli installati sui monti Taihang nello Hebei. Infine, ci sono aziende che stanno cercando di combinare il fotovoltaico con altre attività, come nel caso del progetto di Baofeng Energy Group che prevede la coltivazione delle bacche di goji nell’area ricoperta dai pannelli solari.

Il solare cinese nel mondo

Per passare dal nero delle fonti fossili al verde dell’energia pulita la soluzione cinese è blu. Blu come i pannelli che si stanno moltiplicando sul suolo cinese ma anche sui tetti delle case europee e nelle grandi centrali del Sudamerica. Se paesi come la Germania hanno ispirato Pechino nel suo percorso legislativo verso l’ampliamento del suo comparto solare, oggi è la Cina ad avere un impatto importante sulla transizione energetica globale. 

L’ampia disponibilità di pannelli fotovoltaici e altri componenti chiave prodotti in Cina ha rivoluzionato i prezzi del fotovoltaico: la spesa, si stima, è calata del 75% in meno di dieci anni. Nel frattempo, il know-how delle compagnie energetiche del settore è migliorato tanto da diventare uno dei punti di forza negli affari esteri della Cina.

Oggi nazioni come il Brasile vedono nelle aziende cinesi un alleato per portare questa nuova industria nella propria regione e guadagnarsi l’accesso a competenze e conoscenze approfondite in materia di tecnologie solari. Anche nel Sud-Est asiatico cresce la presenza di imprese cinesi coinvolte nei nuovi parchi solari in costruzione in Myanmar, Vietnam, Laos e Cambogia. Anche in questo caso i giganti del fotovoltaico cinesi non solo riescono ad accaparrarsi le gare d’appalto più ambiziose, ma ottengono sempre più sostegno da quei finanziatori che un tempo puntavano sulla costruzione delle centrali a carbone

Di Sabrina Moles