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Cina ed energia nucleare: una panoramica

In Dialoghi: Confucio e China Files, Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

La Repubblica popolare è il terzo paese al mondo per numero di reattori nucleari. Ma la storia della svolta atomica di Pechino è molto più recente (e ambiziosa) di quanto tendiamo a immaginare. Ecco come è nato e si è sviluppato un intero ecosistema che dipinge il nucleare come energia pulita e alternativa per l’autosufficienza. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e Istituto Confucio di Milano.

Meno emissioni di anidride carbonica, più efficienza. Meno sbalzi di tensione sulla rete elettrica, più versatilità. Questi sono solo alcuni dei vantaggi dell’energia nucleare che campeggiano sui media cinesi, dove i successi di Pechino sembrano sempre più promettenti. Da fonte energetica marginale, oggi l’atomo rappresenta un’opportunità strategica. Non più solo un’alternativa, ma anche strumento per accelerare la transizione verde, risorsa per l’autosufficienza e una carta da giocare sul mercato globale.

Le origini

Il nucleare “civile” (ovvero per la produzione di energia) in Cina ha una storia relativamente breve. Il primo approccio, come accaduto in altri paesi, avviene nel contesto militare. La guerra di Corea (1950-1953) spinge il Partito comunista cinese (Pcc) a cercare nuove tecnologie per emergere in un contesto bellico. Il contesto storico – la divisione tra blocco statunitense e sovietico – contribuisce a creare la necessità di possedere la bomba atomica come deterrente in caso di conflitto. La prima bomba positiva ai test arriverà solo nel 1964, mentre per veder nascere una vera volontà politica verso il nucleare come fonte energetica bisognerà attendere gli anni Settanta. È in questo periodo che la Cina emana la sua prima strategia per l’energia nucleare. L’8 febbraio 1970 viene fondato l’Istituto 728, un dipartimento di ricerca con l’obiettivo di studiare e aprire la strada al nucleare in Cina.

Nel 1985 viene inaugurato il primo reattore nucleare nella centrale di Qinshan, nello Zhejiang. Il reattore sarà operativo solo nel 1992, mentre il governo pianifica altre centrali lungo la costa – un’esigenza che nasce dal boom industriale che parte dal nord nella zona del Dongbei (Liaoning, Jilin and Heilongjiang) per arrivare a sud nei poli manifatturieri del Guangdong. Gli anni successivi saranno al rilento rispetto ai piani: Pechino costruisce altri reattori e pianifica un’espansione delle centrali nel 10° Piano quinquennale (2001-2005). Nel 2011, però, un maremoto colpisce la centrale giapponese di Fukushima e impone una pausa alle aspirazioni del Pcc: il tema diventa impopolare tra l’opinione pubblica e i rischi per la sicurezza diventano un imperativo impossibile da trascurare. In quegli stessi anni, però, le conseguenze dello sviluppo industriale indiscriminato sono sempre più evidenti: le città cinesi sono soffocate dallo smog e la rete elettrica non riesce a tenere il passo con la domanda energetica nazionale.

Le politiche per il nucleare oggi

A partire dal 2013 Pechino riprende l’apertura di nuovi impianti. In cinque anni arriverà a costruirne 29, arrivando a coprire il 5% del mix energetico. Oggi la Cina è il terzo paese al mondo per numero di reattori nucleari operativi dopo Stati Uniti (92) e Francia (56). I reattori cinesi sono 54 (11 ancora in fase di costruzione) e nessun impianto è ancora stato dismesso.

Negli ultimi dieci anni il nucleare è diventato un elemento chiave per ridurre la dipendenza dal carbone (che ancora oggi occupa oltre il 55% del mix energetico) e produrre energia da fonti a “emissioni zero”. Nel 2014 viene pubblicato un Piano di sviluppo energetico strategico 2014-2020 che include il nucleare tra le fonti energetiche alternative ai combustibili fossili, mentre il 13° Piano quinquennale (2016-2021) chiede di promuovere tra i sei e gli otto nuovi reattori ogni anno per arrivare al 2030 con il 15% del mix energetico occupato da fonti definite “pulite” (tra cui, per Pechino, rientra l’energia nucleare).

Nel 2016 la Cina entra nell’Accordo per il clima di Parigi, aprendo la strada a politiche per la riduzione delle emissioni più stringenti rispetto al passato. Con il crescere delle promesse – non ultima quella del raggiungimento della “neutralità carbonica” entro il 2060 – la leadership cinese spera di tenere il passo al rapido sviluppo del settore sia sotto il profilo quantitativo che, soprattutto, qualitativo.

Il governo ha lavorato a lungo per preparare il terreno agli obbiettivi del Piano quinquennale e delle numerose strategie per l’innovazione del settore energetico. Oggi la costruzione di centrali nucleari è favorita da sussidi e gode della direzione delle grandi compagnie statali (tra queste: China National Nuclear Corporation, China General Nuclear Power Group and State Power Investment Corporation). I governi locali vengono aiutati a riadattare la rete elettrica alle nuove centrali, mentre l’ecosistema delle politiche per il nucleare è in mano al Consiglio di stato, la National Energy Administration (Nea), la National Development and Reform Commission (Ndrc), la Chinese Atomic Energy Authority (Caea) e la National Nuclear Safety Administration (Nnsa).

Sfide e opportunità

L’energia nucleare si sposa con le ambizioni del governo di riuscire a rendere la Cina un paese autosufficiente. Proprio per questa ragione Pechino ha investito delle risorse per accelerare lo sviluppo di una propria tecnologica al 100% cinese. Ancora oggi la Repubblica popolare si appoggia a componenti e know-how di stampo statunitense, francese e canadese, ma sono già diversi i prototipi made in China che sono entrati in funzione. Il modello di riferimento è lo Hualong One, un reattore prodotto da China General Nuclear Power Group (Cgn) and China National Nuclear Corporation (Cnnc). Il primo Hualong One è entrato in funzione il 30 gennaio del 2021 nella centrale di Fuqin, nella provincia sud-orientale del Fujian. L’inaugurazione ha segnato il primo passo su una strada ancora lunga verso lo sviluppo e l’autosufficienza delle tecnologie energetiche cinesi.

Anche il percorso verso la leadership globale nel settore dell’energia nucleare richiederà tempo e investimenti. Importanti iniezioni di risorse economiche e umane che stanno dando i primi frutti: per esempio, negli ultimi anni si sono concretizzati diversi progetti che potrebbero rendere sempre più appetibili le tecnologie cinesi all’estero. Si tratta dei reattori modulari, una versione in scala ridotta dei normali reattori nucleari che richiede tempi più brevi per l’installazione e una spesa più ridotta. Un format che potrebbe avere presto successo sul mercato globale, soprattutto tra i paesi meno ricchi dove la domanda energetica aumenta a ritmi sempre più veloci: secondo un’analisi della società di consulenze Wood Mackenzie la Cina ha tutte le carte in tavola per dominare il mercato dei reattori modulari entro il 2050. Inoltre, la Cina cerca di risolvere il problema del raffreddamento dei reattori con l’acqua introducendo l’utilizzo di sali – un’opzione ideale per i territori più aridi.

Ma, come già accennato, la strada è ancora lunga. La corsa tecnologica si scontra ancora con le risorse sul campo: la rete elettrica deve rispondere alle esigenze del presente e diventare più sicura agli attacchi informatici e ai fenomeni climatici estremi. Il mercato dell’energia elettrica deve rinnovarsi per riuscire a far incontrare domanda e offerta nel momento giusto, mentre le politiche del governo centrale devono essere adattate alla realtà delle singole province: i blackout improvvisi e il razionamento della corrente avvenuti nell’autunno 2021 non devono ripetersi.

Rimane il nodo della sicurezza: nel 2011 il Consiglio di stato ha abbassato le previsioni per i nuovi reattori proprio in virtù delle problematiche sulla sicurezza, mentre le società statali coinvolte hanno avviato oltre una decina di piani di ricerca sul tema. Nel 2019 Pechino ha emanato un nuovo libro bianco per la sicurezza dell’energia nucleare nel 2019, mentre continua il lavoro di collaborazione con enti internazionali per alzare gli standard.

Infine, la Cina deve strutturare un ciclo dell’uranio coerente con le proprie esigenze e capace di resistere agli shock dei mercati. Se la Repubblica popolare si sta avvicinando all’agognato obbiettivo di avere 1/3 di uranio ottenuto localmente, molti stadi della produzione (e dello smaltimento) di questo materiale sono affidati ad attori terzi fuori dal paese.