Cina, al via il sesto plenum

In by Gabriele Battaglia

Tutto incentrato sulle norme interne al Partito comunista, l’appuntamento politico di questa settimana serve in realtà a preparare il rimpasto all’interno della leadership previsto per l’anno prossimo ed è un indicatore sullo stato di salute del «progetto Xi». Dell’appuntamento politico più importante dell’anno ne sapremo qualcosa solo alla fine, giovedì o venerdì. La sesta sessione plenaria del 18° Comitato Centrale del Partito comunista cinese – per gli amici, «il plenum» – comincia oggi a porte chiuse e si protrarrà fino a giovedì 27. Per quella data o per il giorno successivo è previsto il comunicato ufficiale a cui seguirà nelle settimane successive la diffusione di maggiori dettagli. Fino ad allora, quindi, libero sfogo alle interpretazioni degli addetti ai lavori.

Nel blindatissimo hotel Jingxi di Pechino si incontrano quasi 400 politici di livello nazionale, ministri, capi militari, funzionari provinciali e accademici di grido, che compongono il Comitato Centrale, il gotha del Partito. È, questo plenum, particolarmente importante perché prepara il terreno al grande rimpasto della leadership suprema che avverrà l’anno prossimo, nel corso del 19° Congresso del Pcc.

Tutta concentrata sul Partito stesso è dunque anche l’agenda dei lavori che, secondo quanto riporta l’agenzia Nuova Cina, verte su due documenti di cui sarà chiesta l’approvazione: un codice di condotta per quadri e istituzioni; una modifica delle regole per la supervisione del Partito. Tra le righe di tale entusiasmante linguaggio burocratico, si occulta di fatto la lotta di potere e la domanda che tutti si pongono è: Xi Jinping ne uscirà rafforzato o ridimensionato? Sembra che diverse forze raccolte attorno al presidente premano per dargli lo status di «nucleo centrale della leadership», un titolo che lo metterebbe al pari di Mao Zedong e Deng Xiaoping (anche Jiang Zemin veniva chiamato così, ma il titolo sparì immediatamente dopo la fine del suo mandato) e che lo porrebbe al di sopra dell’attuale «leadership collettiva» e del suo predecessore Hu Jintao, chiamato semplicemente «segretario generale». Tale status sarebbe funzionale alla ricostruzione-riconfigurazione del Partito comunista, la chiave di tutto il progetto politico di Xi.

Quando assunse il potere, nel 2013, si trovò a capo di un corpaccione sclerotizzato nelle sue pratiche quotidiane, corrotto e inviso – se non delegittimato – agli occhi di parecchi cinesi, tra cui buona parte di quelli che rappresentano le più dinamiche forze produttive: il nuovo ceto medio cosmopolita e disposto alla spesa. Come garantire sviluppo sostenibile e di lungo periodo al Paese portando anche chi era rimasto indietro nel paradiso del «benessere moderato»? Ecco quindi che la prima mossa fu il lancio di quella campagna anticorruzione «contro le tigri e le mosche» che ormai da anni sta bastonando a destra e a manca nel corpaccione da 85 milioni di iscritti.

Contemporaneamente, Xi ha anche imposto la creazione di «gruppi centralizzati» che controllano funzione chiave della vita politico-economica del Paese e la revisione dei regolamenti interni del Partito in materia di promozioni, disciplina e codici di condotta. Campagna anticorruzione e nuove norme avrebbero dovuto rafforzare il controllo sui funzionari di ogni livello e facilitare la trasmissione degli ordini lungo la catena di comando. Ha funzionato? Se è vero che il consenso a Xi appare diffuso tra la popolazione, si dice che la campagna anticorruzione abbia prodotto un’eterogenesi dei fini. Invece di rigare dritto, i funzionari sarebbero infatti paralizzati dalla paura di prendere qualsiasi iniziativa che potrebbe portarli davanti a un tribunale con l’accusa di corruzione: piuttosto che sbagliare, meglio non fare nulla.

Ma il grande progetto di Xi è ancora in corso e il problema non sembra essere tanto il fatto che i funzionari non vogliano più muovere dito, quanto che non sappiano come muoverlo. Ecco quindi tutta la retorica sullo «Stato di diritto secondo caratteristiche cinesi» e l’enfasi su regole certe, determinate, che indichino un nuovo modo di precedere. Uno Stato di diritto che, assumendo la distinzione anglosassone tra rule of law e rule by law corrisponde alla seconda interpretazione: diritto come strumento di governo, non come tutela dell’individuo.

Del resto, in Cina esiste in questo senso la tradizione del pensiero «legista», in cui l’imperatore impone le regole e gli altri le seguono. Patti chiari, amicizia lunga. Il problema, al momento, è che i patti non sembrano essere abbastanza chiari. I funzionari si trovano di fronte a cambi di marcia e a dietrofront che riguardano soprattutto l’economia. I documenti politici, quasi sempre vaghi proprio per lasciare spazio alla flessibilità necessaria per gestire la complessità, continuano a provocare discrezionalità e quindi arbitrio.

Un esempio su tutti consiste nella perdurante indicazione generica a far sì che «le regole di mercato giochino un ruolo sempre più decisivo» mentre però bisogna «mantenere la proprietà dello Stato come nucleo dell’economia». Sarà quindi estremamente interessante capire come Xi cercherà di risolvere la contraddizione tra regole chiare e discrezionalità ovvero, nel contesto cinese, tra centralizzazione e decentralizzazione. Tutte le altre congetture su «culto della personalità» e «Xi come Mao» che parecchi media corporate occidentale amano diffondere, sono folklore.

Si sottolinea che Xi stia cercando di prolungare la propria permanenza al potere e che in questo senso vorrebbe alterare le regole sul limite d’età, soprattutto per consentire a Wang Qishan, il suo fedelissimo «zar dell’anticorruzione», di restare in sella anche l’anno prossimo. Il fatto è che quelle regole sono da sempre malleabili. Il «limite d’età» fu inserito a due riprese da Jiang Zemin nel 1997 (70 anni) e nel 2002 (68 anni) proprio per estromettere dal potere alcuni avversari politici. Jude Blanchette, un analista statunitense, parla di «fictional institutionalization» proprio per descrivere questa mania (nostra, dei giornalisti) di definire «regole non scritte» qualcosa che è del tutto contingente e che dipende dal disegno politico generale. Vale per il limite d’età all’interno della leadership ma anche per tutte le altre norme che regolano la politica cinese.