Via Pelosi, ecco le esercitazioni militari intorno a Taiwan

In Asia Orientale, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

La visita di Nancy Pelosi è finita, un periodo delicato e rischioso per Taiwan è appena cominciato. Il racconto della visita della speaker della Camera Usa a Taipei e le reazioni di Pechino

Diciannove ore e diciannove minuti. Tanto è durata la permanenza di Nancy Pelosi a Taipei. Meno di 24 ore che potrebbero portare a una quarta crisi sullo Stretto. Pelosi è rimasta sull’isola un lasso di tempo maggiore di oltre sei volte rispetto a quello del predecessore Newt Gingrich. La differenza non è solo quantitativa, ma anche qualitativa. L’allora speaker della Camera si limitò a incontrare il presidente Lee Teng-hui. Pelosi è invece andata fino in fondo a un’agenda da visita ufficiale. Non tanto per l’incontro con Tsai Ing-wen, definita “presidente” ed “eccezionale statista”, quanto per il passaggio allo yuan legislativo, il parlamento locale. Era dal 1960 che uno speaker americano non vi metteva piede. Poi la visita a Tsai, che l’ha insignita con l’Ordine delle nuvole propizie con la decorazione di Gran Cordone per aver contribuito al miglioramento delle relazioni bilaterali: atto quasi scontato per visite di tale livello. Nei discorsi di Tsai e Pelosi nessuna menzione diretta della Repubblica Popolare Cinese, ma grande enfasi al tema dello scontro tra democrazie e autocrazie. Proprio ciò di cui secondo l’analista Ryan Hass Taipei non ha bisogno. Tsai ha garantito di non voler cambiare lo status quo: “I taiwanesi sono pragmatici”. Ma ha garantito che Taipei difenderà la “sovranità nazionale” di fronte alle pressioni militari.

Il viaggio di Pelosi è ruotato intorno a due parole chiave: diritti umani e commercio. Pur senza portare elementi concreti, il simbolismo della sua agenda e delle sue parole è significativo. Il primo tema è stato toccato sin dall’incontro coi rappresentanti dei quattro partiti presenti in parlamento, con la citazione Tian’anmen. Nel pomeriggio la visita al museo dei diritti umani di Jing-Mei, dedicato alle vittime del “terrore bianco” imposto da Chiang Kai-shek durante la legge marziale in vigore a Taiwan fino al 1987, quando il Guomindang era partito unico. Qui l’incontro con Wu’er Kaixi, uno dei leader delle proteste del 1989 oggi residente a Taipei. Presenti anche altri due dissidenti: il libraio Lam Wing-kee, fuggito da Hong Kong nel 2019, e il taiwanese Lee Ming-che, arrestato in Cina nel 2017.

Il commercio è il tema che per ora più preoccupa i taiwanesi, con il ban a oltre 100 prodotti agroalimentari da parte di Pechino. Pelosi ha citato un possibile “imminente” accordo commerciale (solo parlarne di recente aveva fatto scattare il blocco delle importazioni delle cernie taiwanesi nella Repubblica Popolare) e ha citato più volte il Chips Act recentemente approvato da Washington. Al pranzo col mondo del business al Grand Hotel era presente anche Morris Chang, il fondatore della Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), leader mondiale nella fabbricazione e assemblaggio di semiconduttori. Ma in realtà, Taipei non vede di buon occhio la possibilità di dover bloccare le esportazioni di semiconduttori verso Pechino. I microchip sono infatti un’importante leva diplomatica a disposizione di Taiwan nel rapporto intrastretto. Proprio questi due elementi, cooperazione commerciale e Chips Act, sono stati menzionati nella risposta di Pelosi alla ficcante domanda di Samson Ellis di Bloomberg in conferenza stampa, che chiedeva se oltre ai rischi la sua visita avrebbe portato ai taiwanesi anche dei benefici.

Si attende ora la reazione di Pechino. Sul lato commerciale è stata sospesa con effetto immediato l’esportazione verso Taiwan di sabbia naturale, il cui quarzo viene utilizzato per estrarre il silicio utile alla fabbricazione dei semiconduttori. Una risposta soprattutto simbolica al Chips Act, visto che a Pechino non convenga bloccare il flusso di chip da Taiwan. Attenzione poi agli aspetti militari. Da oggi a mezzogiorno fino a domenica a mezzogiorno in programma le esercitazioni militari più vaste dai tempi della terza crisi sullo Stretto del 1995-1996. I test a fuoco vivo, condannati dal G7 ma sostenuti da Mosca, rischiano di trasformarsi in blocco navale, con impatto sull’operabilità di porti e aeroporti. Non è escluso il lancio di missili convenzionali sopra l’isola. A Taiwan si attende con calma apparente. Ieri sera, i media sono tornati a dare spazio a vicende di cronaca interna. Sul web cinese, alcuni nazionalisti lamentano la mancanza di azioni contro la visita di Pelosi e potrebbero esercitare su Xi Jinping che, per quanto possa non volerli utilizzare in assenza di incidenti, sembra portato a mostrare i muscoli.

Le isole di confine tra le due sponde dello Stretto

Taiwan non è solo un’isola. Taiwan non è solo Taiwan. Il governo di Taipei amministra oltre 150 isole. Alcune di esse si trovano di fronte alle coste della Repubblica Popolare Cinese. Nel punto più vicino, l’ex avamposto militare di Kinmen (qui un mio reportage di novembre 2021) dista appena due km dalla metropoli cinese di Xiamen, sede dei tanti video circolati sui social nei giorni scorsi che immortalavano lo spostamento di carri e mezzi armati di Pechino. Le Matsu (qui un mio reportage dello scorso aprile), a una decina di km dal Fujian, sono considerate strategiche perché conservano un sito missilistico. Sono quei territori di “confine” che stimolano paralleli con Crimea e Donbass. Entrambi i luoghi non hanno vissuto la colonizzazione giapponese e hanno sempre fatto parte della Repubblica di Cina, di cui rappresentano la manifestazione più visibile. Le statue di Chiang Kai-shek, figura tabù a Taipei, fanno ancora bella mostra sull’arcipelago delle Matsu. Gli abitanti non si sentono taiwanesi, ma cinesi, e parlano lo stesso dialetto del Fujian.

Pur divisi politicamente dalla Repubblica Popolare, la loro appartenenza identitaria non è in discussione. Secondo diversi analisti, queste isole potrebbero essere l’obiettivo di una prima azione militare volta a erodere il territorio controllato da Taipei. Altri ritengono che Pechino vi agirebbe militarmente solo durante un’invasione su larga scala. Al momento Kinmen e Matsu sono gli unici luoghi di interconnessione tra le due sponde dello Stretto, quelli che nella visione di Pechino possono (o potevano) fungere da ponte per una «riunificazione» (o unificazione secondo i taiwanesi) pacifica. Ci sono poi Dongsha, a 300 km di distanza da Hong Kong, e la lontana Taiping, la più grande isola delle Spratly nel mar Cinese meridionale. Popolate solo da militari, potrebbero essere una “preda” simbolica.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]

Tutto sulla visita di Nancy Pelosi a Taiwan

NANCY PELOSI ARRIVA A TAIWAN, VA IN SCENA LO SCONTRO FRA POTENZE

PECHINO LANCIA LA TRADE WAR CON TAIPEI, IL RUOLO DEI SEMICONDUTTORI

PELOSI A TAIWAN: LA VISITA VISTA DALLA PRIMISSIMA LINEA DELLE MATSU

TAIWAN FILES – IL GIORNO DI PELOSI

Taiwan Files 30.07.22 – Pelosi a Taiwan: questione “di faccia”

Taiwan Files 28.07.22 – Pelosi, Biden, Xi, Pelosi e il test di Rorschach

Taiwan Files 20.07.22 – Nancy Pelosi a Taipei? Significato e possibili conseguenze