Taiwan Files – L’opposizione tratta sulle elezioni, Pechino indaga sulla Foxconn

In Relazioni Internazionali, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

I due principali rivali del candidato di maggioranza alle presidenziali di gennaio cercano un (complicato) accordo. Le chance di Gou Taiming ridotte dopo l’indagine cinese sul suo colosso Foxconn. Avvertimenti dallo Xiangshan Forum, Israele e Gaza visti da Taiwan. Semiconduttori. Manifestanti contro il memoriale di Chiang Kai-shek. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Mancano ormai poco più di due mesi alle elezioni presidenziali e legislative di Taiwan del 13 gennaio 2024. Si avvicina il primo momento decisivo: quello della presentazione ufficiale delle candidature, in programma tra il 20 e 24 novembre. Nessun dubbio su chi sarà il candidato della maggioranza del Partito progressista democratico (DPP): Lai Ching-te, l’attuale vicepresidente. Ma l’attenzione degli osservatori e dei media è dominata al momento dai movimenti nell’opposizione. Un’indagine sul colosso dell’elettronica Foxconn ha ridotto le già scarse possibilità di “Terry” Gou Taiming, candidato indipendente ma dialogante con Pechino. Gli altri due candidati del campo dell’opposizione stanno provando a capire se è possibile trovare un accordo. Per ora è stato trovato sulle legislative, ma non sulle presidenziali dove il cammino resta accidentato.

Negli scorsi giorni, il livello delle trattative si è alzato tra il Guomindang (GMD), che ha come candidato l’ex poliziotto Hou Yu-ih, e il Taiwan People’s Party, un partito cucito sull’ex sindaco di Taipei Ko Wen-je. Ko ha incontrato direttamente il leader del GMD, Eric Chu, dopo una serie di scambi infruttuosi. Un deciso cambio di passo dopo che fin qui si erano incontrati solo i funzionari dei due partiti, senza riuscire a raggiungere un accordo sul come far funzionare l’eventuale coalizione. Ora, diversi personaggi in vista nella sfera del GMD stanno venendo allo scoperto per dare il via libera alla possibilità di sostenere Ko, al momento testa a testa per il secondo posto con Hou nei sondaggi. Il candidato alle elezioni del 2020 Han Kuo-yu, ancora molto popolare, si è fatto immortalare sui social insieme a Ko. E Jaw Shaw-kong, influente presidente della Broadcasting Corporation of China, ha cambiato posizione dopo aver sempre proposto Hou come candidato presidente: ora sostiene che il GMD debba accettare Ko alla guida del ticket per avere speranze di rovesciare il DPP.

Ko ha promesso un rafforzamento del ruolo del premier a discapito di quello di presidente. Come a dire al GMD che qualora diventasse presidente grazie al suo supporto, gli concederà ampi margini di manovra per l’azione governativa. La maggiore incognita resta quella sulla volontà di Ko, che ha invece basato la sua proposta politica come una terza via rispetto al tradizionale bipolarismo taiwanese e ha parlato di “matrimonio forzato“. Accettare l’accordo col GMD significherebbe “normalizzare” il TPP. Andando da solo, Ko sa che molto probabilmente perderà ma se arrivasse secondo diventerebbe il kingmaker del prossimo yuan legislativo (il parlamento taiwanese), dove nessuno dovrebbe avere la maggioranza. Per poi presentarsi come vera alternativa al DPP alle presidenziali del 2028. Viceversa, scegliesse di allearsi con Hou il voto del 2024 diventerebbe per lui un rischiatutto, dove può diventare presidente o rischiare di finire nel dimenticatoio. Le tempistiche saranno decisive.

Ko ha incontrato i corrispondenti stranieri a Taipei. Nel suo discorso (qui riassunto completo) ha auspicato migliori relazioni con Pechino, sostenendo che il Partito comunista dovrebbe proporre un nuovo modello di dialogo con Taiwan, superando il modello “un paese, due sistemi” applicato a Hong Kong. Ko ha poi presentato la sua piattaforma di politica energetica, chiedendo una transizione energetica sostenibile e l’estensione dell’uso di due centrali nucleari che sono state o sono in programma di essere dismesse. Un’associazione taiwanese di urologia ha invece criticato le recenti affermazioni con cui Ko ha paragonato le relazioni tra le due sponde dello Stretto di Taiwan al trattamento del cancro alla prostata.

Un eventuale accordo finale tra Ko e Hou potrebbe cambiare nettamente le prospettive del voto. Secondo alcuni sondaggi, per la prima volta Lai è sceso sotto il 30% delle preferenze, ma se l’opposizione non avrà un candidato unico con ogni probabilità riuscirà a vincere piuttosto agevolmente. In tal caso, “per Pechino il miglior risultato possibile sarebbe mantenere Lai sotto il 50%. Un risultato inferiore al 45% porrebbe a Lai seri problemi di governo. Un DPP senza una chiara maggioranza è un ambiente operativo abbastanza favorevole a Pechino per causare ogni sorta di problema”, sostiene Mark Simon.

Perché attenzione, appare assai probabile che il DPP non avrà una maggioranza parlamentare. “Il governo diviso durante la presidenza di Chen Shui-bian (DPP, 2000-2008) era una costante lotta di potere tra il ramo esecutivo e quello legislativo. Ciò ha portato, ad esempio, al congelamento dell’acquisizione di armi, poiché le proposte di legge erano bloccate in Parlamento”, ricorda Mathieu Duchatel. “Cosa guadagnerebbe Pechino da 4 anni di governo diviso a Taiwan? Qualcosa di molto prezioso dal punto di vista del PCC: spazio per condurre ogni tipo di operazione volta a screditare il DPP e la democrazia taiwanese”.

Il candidato presidenziale del DPP ha dichiarato in un discorso alla Camera di Commercio Americana che si impegnerà a promuovere la pace attraverso lo Stretto di Taiwan, preservando al contempo la democrazia. Lai è il candidato più inviso a Pechino, che lo considera più “radicale” dell’attuale presidente Tsai Ing-wen.

Tsai, ex rivale di Lai all’interno del DPP tanto da arrivare a un passo dalla scissione nel 2019, ha partecipato all’inaugurazione del quartier generale del candidato per la campagna elettorale.

Lai deve ancora comunicare chi sarà la sua candidata vicepresidente: sarà senz’altro una donna e tutti gli indizi portano a Hsiao Bi-khim, rappresentante di Taipei negli Stati Uniti.

Lai ha poi fatto una mossa interessante. Sabato 28 ottobre circa 180 mila persone hanno sfilato a Taipei nella più grande marcia Pride LGBTQ+ dell’Asia orientale. Si è presentato anche Lai, diventato così il funzionario più alto in grado ad aver mai preso parte alle cerimonie.

Chao Tian-lin, deputato del DPP al potere per tre mandati, ha deciso di abbandonare la sua candidatura per la rielezione dopo aver ammesso di aver avuto una relazione extraconiugale con una cittadino cinese “anni fa”.

Le indagini cinesi sulla Foxconn e l’impatto su Terry Gou

C’è un’azienda che è il principale fornitore di iPhone per Apple ma che ha i suoi centri di produzione più vasti in Cina. C’è un’azienda il cui fondatore è candidato alle elezioni presidenziali forse più importanti del 2024 insieme a quelle per la Casa Bianca. C’è un’azienda che più di tante altre, forse più di tutte, incarna ciò che rimane del triangolo di cooperazione Repubblica Popolare Cinese-Stati Uniti-Taiwan. Quell’azienda si chiama Hon Hai, Foxconn a livello internazionale. Il suo storico patron, “Terry” Gou Taiming, ambisce a essere eletto il prossimo presidente della Repubblica di Cina (Taiwan) al voto del prossimo 13 gennaio. Al momento si ritrova quarto nei sondaggi, ma per provare una complicata rimonta si presenta come il “grande stabilizzatore”, l’unico in grado di tutelare gli affari commerciali tra le due sponde dello Stretto facendo ripartire il dialogo con Pechino ed evitando azioni militari. Ecco, quella linea sembra improvvisamente e inaspettatamente andata in frantumi domenica 22 ottobre, quando i media statali cinesi hanno dato conto dell’avvio di controlli fiscali e indagini in loco sull’uso del terreno da parte della Foxconn e delle sue sussidiarie nelle provincie di Hubei ed Henan, cioè quella che ospita l’immenso stabilimento di Zhengzhou ribattezzato “iPhone City” visto che proprio qui vengono assemblati la maggior parte dei dispositivi poi spediti alla statunitense Apple.

“I dipartimenti competenti che conducono ispezioni fiscali e indagano sulle situazioni di utilizzo dei terreni delle imprese nazionali in Cina sono normali attività di supervisione del mercato, ragionevoli e legali” sostiene il tabloid nazionalista Global Times, ma le tempistiche e la pubblicità data all’indagine fanno sospettare l’esistenza di motivazioni politiche. Il messaggio esplicito in arrivo dai media cinesi alle aziende taiwanesi è il seguente: “Non solo dovrebbero beneficiare delle opportunità di sviluppo e dei dividendi della terraferma, ma anche assumersi le relative responsabilità sociali. Dovrebbero contribuire attivamente alla promozione di relazioni pacifiche tra gli Stretti e svolgere un ruolo positivo nel loro continuo sviluppo”.

Legittimo pensare che si tratti di un messaggio rivolto a Gou in vista delle campagne elettorali. Anche perché secondo fonti citate da Reuters, diverse aziende taiwanesi sarebbero state sottoposte a controlli da parte delle autorità cinesi negli ultimi mesi, senza che fosse annunciato. L’annuncio esplicito dell’indagine sulla Foxconn ha invece una serie di impatti concreti, al di là che siano stati perseguiti volontariamente e politicamente da parte di Pechino. Partiamo dal fronte aziendale: Foxconn sta di recente insistendo sulla diversificazione e delocalizzazione di alcune linee di produzione dalla Cina continentale ad altri Paesi, in primis India e Vietnam. Indagine e ispezioni sembrano voler dire al colosso taiwanese che deve scegliere da che parte stare: intende mantenere le radici nella Repubblica Popolare (come spera il Partito comunista che anche di recente ha corteggiato l’azienda per nuovi affari) oppure perseguire la strategia di riduzione del rischio promossa dall’occidente e che secondo la Cina è un “disaccoppiamento mascherato”? La risposta è cruciale, anche perché tradizionalmente la Foxconn è citata da Pechino come un esempio di successo di cooperazione commerciale e tecnologica tra le due sponde dello Stretto.

C’è poi il fronte politico. A Pechino potrebbe non dispiacere un’eventuale presidenza Gou, visto che l’ex presidente della Foxconn ha ottimi agganci anche con gli Stati Uniti. Nel 2019, era stato persino ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump che lo aveva anche etichettato come “vecchio amico”. Allo stesso tempo, il Partito comunista sa che la sua corsa rischia di compromettere le probabilità di successo dell’opposizione dialogante. Il fondatore della Foxconn aveva provato a ottenere la candidatura col KMT, ma come accaduto nel 2019 il partito gli ha preferito un altro nome. Nonostante l’iniziale promessa di supporto a Hou, alla fine Gou ha annunciato la sua candidatura da indipendente a fine agosto. Presentandosi a sua volta come una prospettiva di cambiamento e utilizzando lo slogan “Good Timing”, giocando sulle iniziali del suo nome e mettendo in mostra un nuovo modello di Apple Watch.

Gou fonda(va) la sua campagna sulla capacità di poter parlare sia con la Cina continentale sia con gli Stati Uniti, preservando dunque Taiwan dai rischi geopolitici. L’avvio delle indagini in Cina rischia dunque di far crollare il centro nevralgico della retorica politica di Gou. Una prospettiva citata da qualcuno a Taipei è che in tal modo la Cina vorrebbe ottenere maggiori garanzie o concessioni politiche da Gou qualora avesse un ruolo nella futura amministrazione. Un’altra teoria, la più complottista, è quella che così facendo si dà a Gou la possibilità di smentire la parte di opinione pubblica taiwanese che lo considera troppo vicino alla Cina continentale. Ma l’ipotesi più concreta è che Pechino voglia favorire un compattamento del campo dell’opposizione. Lo stesso DPP ha reagito accusando Pechino di voler fare pressioni su Gou per costringerlo ad abbandonare la candidatura. Così fosse, il campo più “dialogante” avrebbe un disturbo in meno in vista delle urne.

Foxconn ha fatto sapere che sta collaborando con le autorità cinesi ma l’impatto sulla campagna di Gou sembra essere stato negativo.

La candidata alla vicepresidenza con Gou, nota attrice della serie Netflix Wave Makers, ha annunciato di aver rinunciato alla cittadinanza statunitense per potersi candidare.

Crisis Group ha pubblicato un nuovo report sulle relazioni intrastretto, in cui come sempre adotta un approccio propositivo sostenendo che le elezioni taiwanesi potrebbero essere un’occasione per migliorare i rapporti.

Relazioni intrastretto

Come sempre accade, dopo il discorso di Tsai Ing-wen per la festa nazionale del 10 ottobre, Pechino risponde definendo non sincera la disponibilità al dialogo per la mancata accettazione della precondizione posta dal Partito comunista: il consenso del 1992. Lo abbiamo citato un’infinità di volte: si tratta del riconoscimento dell’esistenza di una “unica Cina”, pur senza stabilire quale secondo la visione del Guomindang. Un riconoscimento invece di appartenenza di Taiwan alla Repubblica Popolare secondo il Partito comunista.

Pechino si è detta “preoccupata” dopo che il Guomindang ha respinto l’etichetta di “filocinese”. Una definizione che al di là della posizione del partito sulla Repubblica Popolare ha poco senso, visto che il suo nome completo è ancora Partito nazionalista cinese e si percepisce appunto come cinese, semplicemente non della Repubblica Popolare ma della Repubblica di Cina (il nome con cui Taiwan è indipendente de facto).

L’ex presidente Ma Ying-jeou, unico ad aver incontrato un leader continentale (Xi Jinping nel 2015) e unico a essersi recato in Repubblica popolare dal 1949 in poi, è stato in viaggio negli Stati Uniti dove tra le altre cose ha dichiarato che Washington dovrebbe fare da “paciere” tra le due sponde dello Stretto. Ma ha anche ripetuto che il voto taiwanese sarà una scelta “tra guerra e pace”, mentre il DPP parla di scelta tra “democrazia e autoritarismo”. Un’esagerazione retorica da entrambe le parti.

Il numero 3 della gerarchia del Partito comunista, Wang Huning, ha partecipato all’apertura del sesto forum dei gruppi sociali di Taiwan e ha tenuto un discorso. Qualche settimana fa, aveva presentato il nuovo piano di integrazione Fujian/Taiwan, di cui ho scritto nel dettaglio qui.

Laura Rosenberger, direttrice dell’American Institute in Taiwan, è stata in visita a Taipei per la terza volta nel 2023 e ha incontrato di nuovo i principali candidati alle elezioni. “Non un’audizione”, si tiene a chiarire.

In una ipotetica guerra con gli Stati Uniti per Taiwan, la Cina dovrebbe creare una rete globale di aziende sottoposte a sanzioni statunitensi, sequestrare i beni americani all’interno dei propri confini ed emettere obbligazioni denominate in oro, secondo i ricercatori affiliati al governo cinese che studiano la risposta occidentale alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.

Vari avvertimenti sono arrivati dallo Xiangshan Forum, appuntamento multilaterale in materia di difesa ospitato da Pechino. Due ufficiali militari hanno avvisato che qualora la Cina dovesse operare un’azione militare sarebbe una “guerra giusta“. Il ministero della Difesa cinese sostiene che il DPP stia mettendo Taiwan su una “strada pericolosa“.

La riforma militare avviata da Xi già all’inizio del suo primo mandato ha in testa sempre Taiwan, secondo il South China Morning Post. “Ma non tutti i militari cinesi vedono Taiwan e l’Occidente come una minaccia primaria. Mentre la Cina si prepara a un ipotetico conflitto con Taiwan e gli Stati Uniti, alcuni vedono tale confronto come non necessario e non vincente”. Lo scrive Al Jazeera.

I vertici dell’intelligence statunitense ritengono che Xi non voglia la guerra su Taiwan. Anche Bonnie Glaser ritiene che una guerra non sia inevitabile, e forse nemmeno “probabile” nei prossimi anni.

Michael Pillsbury difende la politica di una “sola Cina” a Pechino, criticando la proposta di Mike Pompeo di riconoscere formalmente Taiwan. Anche il governatore della California, Gavin Newsom, fa commenti simili venendo ricevuto da Xi. Siamo in una fase di tentata stabilizzazione dei rapporti tra Usa e Cina, mentre Xi dovrebbe incontrare Joe Biden a San Francisco a margine del summit APEC di novembre.

“Se il DPP continuerà a essere al potere, le relazioni tra le due sponde dello Stretto si inaspriranno ulteriormente, e l’inasprimento delle relazioni tra le due sponde dello Stretto si estenderà anche alle relazioni sino-americane, il che potrebbe causare la fine del precedente allentamento delle tensioni”, scrivono però in Cina.

Taiwan costruirà 12 nuovi siti missilistici terra-aria Tien-Kung o Sky Bow III (TK III) entro la fine del 2026 per contrastare i missili balistici cinesi.

Taiwan spera di raggiungere l’anno prossimo un accordo fiscale con gli Stati Uniti, da tempo in discussione, ha dichiarato il ministro delle Finanze Chuang Tsui-yun.

Israele e Gaza visti da Taiwan
Taiwan ha dimostrato di essere un “buon amico” di Israele, mentre la risposta della Cina all’attacco dei militanti di Hamas è stata “preoccupante“. Lo ha detto la rappresentante di Israele a Taiwan, a un briefing con la stampa. Interessante come il governo taiwanese si sia schierato con decisione e senza sfumature al fianco di Israele, così come ha fatto con l’Ucraina, per indicare la sua convinta “affiliazione” al campo occidentale e delle democrazie liberali. A Taiwan però c’è anche chi sostiene (dal basso) che vada sostenuta la Palestina che è molto più simile a Taiwan che non Israele (nonostante gli Usa dicano sempre a Taipei di seguire il modello di Israele per le capacità di difesa e volontà a combattere).  Ne ho scritto qui.
Nei prossimi giorni arriva un approfondimento su questo tema ma anche sulla comunità musulmana a Taiwan, che dopo la cancellazione della colonizzazione giapponese “rinasce” con l’arrivo del Guomindang dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Come già accaduto sull’Ucraina, anche dopo il nuovo conflitto tra Israele e Hamas diversi media internazionali prevedono un’imminente azione militare di Pechino su Taiwan. Come già detto sull’Ucraina, è spesso affrettato il “risiko” che viene fatto da un campo di crisi alla vicenda taiwanese. Posto che una futura azione non si può certamente escludere, va sottolineato che nella realtà non v’è alcun segnale concreto di una possibile azione militare, né che questa sia inevitabile.

Il “fallimento dell’intelligence” di Israele è una lezione per i pianificatori della difesa di Taiwan, scrive il South China Morning Post.

L’entrata in guerra di Hezbollah comporterebbe un compromesso su Taiwan, dicono invece alcuni analisti statunitensi, sottolineando i tanti (forse troppi) impegni difensivi e militari degli Usa. Alcuni deputati statunitensi chiedono di velocizzare l’invio di armi a Taipei.

Semiconduttori

Morris Chang (che qui descrive i motivi del successo di Taiwan sui semiconduttori)  sarà ancora una volta il rappresentante di Taiwan al prossimo vertice della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Chang sarà a San Francisco dove incontrerà dunque anche Biden e (probabilmente) Xi Jinping. Ancora una volta i chip si rivelano avere non solo un ruolo commerciale e tecnologico, ma anche strategico e diplomatico, nel triangolo Taiwan-Cina-Usa.

Come difendere un settore che tutti desiderano? Se lo chiede l’Economist in riferimento allindustria taiwanese dei semiconduttori. Per costruire un vero e proprio ecosistema di chip, gli Usa dovrebbero imparare da Taiwan, dice The China Project.

La taiwanese TSMC ha dichiarato di aspettarsi di ricevere dagli Stati Uniti l’autorizzazione a rifornire il proprio stabilimento cinese di strumenti per la produzione di chip statunitensi a tempo indeterminato, in un’ottica di alleggerimento delle restrizioni imposte da Washington ai produttori di chip stranieri che operano in Cina.

Nel frattempo, i fornitori taiwanesi di semiconduttori puntano alle fabbriche europee di nuova generazione dopo l’accordo per la prima apertura continentale a Dresda da parte del colosso TSMC. Ma il governo taiwanese ha esortato l’Unione Europea a compiere progressi “effettivi” nei colloqui per un accordo sugli investimenti, da tempo in stallo.

TSMC dovrebbe registrare un crollo del 30% degli utili del terzo trimestre, ma gli analisti prevedono una crescita robusta per il prossimo anno, quando l’industria dei chip uscirà dall’attuale crisi. Il probabile calo dei profitti riflette anche la forte performance dell’anno scorso, quando l’azienda era ancora forte della domanda repressa post-pandemia.

Col piano con cui TSMC sta costruendo due fabbriche di wafer avanzati in Arizona, l’ammontare degli investimenti in uscita approvati da Taiwan nei primi nove mesi di quest’anno è aumentato di quasi il 200% rispetto all’anno precedente.

Sempre TSMC ha dichiarato di aver deciso di abbandonare i piani per una fabbrica di wafer avanzati nella sezione Longtan del Parco Scientifico di Hsinchu, a causa dell’opposizione dei residenti per gli espropri dei terreni. In costruzione invece una fabbrica avanzata a Singapore.

Gli amministratori delegati di Foxconn e Nvidia hanno dichiarato di voler intensificare la collaborazione con l’intelligenza artificiale.

La taiwanese PSMC (di cui lo scorso marzo ho intervistato il presidente, Frank Huang) costruirà un impianto di chip a Miyagi con la giapponese SBI.

Taiwan ha approvato fondo di espansione per i semiconduttori da 375 milioni di dollari.

Quanto è resistente lo “scudo di silicio” taiwanese? Se lo chiede l’Economist.

Altre notizie
Decine di manifestanti si sono riuniti davanti alla National Chiang Kai-shek Memorial Hall di Taipei per chiedere la demolizione dell’edificio, insistendo sul fatto che la sua esistenza ostacola il progresso verso la giustizia di transizione. Il gruppo, che comprende parenti di vittime politiche e membri di tre organizzazioni non governative, ha inscenato la protesta un giorno prima del compleanno del defunto presidente della Repubblica di Cina (Taiwan). Con in mano uno striscione che recitava “Taiwan non ha bisogno di una Dictator Memorial Hall”, i manifestanti hanno sostenuto che la riconciliazione è impossibile se si lascia che il gigantesco edificio rimanga così com’è. All’interno c’è un museo dedicato all’ex leader che impose una durissima legge marziale per 40 anni, con una immensa statua e guarda d’onore. Ma anche un museo dei diritti umani in cui si racconta la sua durissima repressione di ogni forma d’opposizione.
La sezione di Kaohsiung dell’Alta Corte di Taiwan ha condannato un colonnello dell’aeronautica in pensione a 20 anni di carcere per aver condotto per almeno otto anni attività di spionaggio presso l’istruzione della Cina continentale, reclutando sei ufficiali militari in servizio attivo.
Rifuggendo dalla Cina continentale, Taiwan spinge le start-up a esplorare Stati Uniti e Sud-Est asiatico.

La presidente del parlamento lituano ha visitato Taipei. La Lituania si è molto avvicinata a Taiwan negli ultimi anni, col cambio della denominazione dell’ufficio di rappresentanza che fece reagire Pechino, subito dopo l’uscita dal meccanismo 17+1.

L’ex primo ministro australiano Scott Morrison ha espresso il suo sostegno all’inclusione di Taiwan come membro non statale nelle organizzazioni internazionali e ha suggerito che Taiwan potrebbe partecipare come membro non aggiunto al Quad.

Scintille tra il governo taiwanese e Josep Borrell.

Le autorità sudcoreane hanno citato il rischio di ritorsioni economiche cinesi quando l’anno scorso hanno accusato l’azienda di tecnologia marina SI Innotec di aver violato le leggi commerciali per il suo lavoro sul nuovo programma di sottomarini militari di Taiwan.

Il fondatore dell’Oslo Freedom Forum Thor Halvorssen, in visita a Taipei, ha sostenuto di aver ricevuto la richiesta di non criticare la Cina durante una conferenza del 2010 a cui partecipò l’allora presidente Ma Ying-jeou, che smentisce.

Negli scorsi anni si è spesso esaltato il modello taiwanese di prevenzione e contenimento del Covid. Se questo può essere giustificato da quanto (brillantemente) fatto in una prima fase, i dati “conclusivi” raccontano una storia più complessa.

La ristampa di una squallida guida turistica degli anni ’60 sulla “capitale del sesso” Taipei dipinge un quadro molto diverso dalla città di oggi.

Qui un racconto della drag-scene di Taipei.

Ho parlato di Taiwan su “Il Mondo”, il podcast di Internazionale. Si ascolta qui.

Di Lorenzo Lamperti

Taiwan Files – La puntata precedente

Taiwan Files – L’identikit di Hou Yu-ih, candidato presidente del GMD

Taiwan Files – L’identikit di William Lai, candidato presidente del DPP

Taiwan Files – Le elezioni locali e l’impatto sulle presidenziali 2024

Intervista a Ma Ying-jeou

Intervista a Audrey Tang

Intervista a Wu Rwei-ren

Reportage da Kinmen

Reportage dalle isole Matsu