Thailandia

La Thailandia evita il fallimento dell’APEC: i risultati del vertice

In Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Il vertice dei leader APEC 2022 a Bangkok si è chiuso con un una dichiarazione congiunta, risultato minimo ma inaspettato anche solo all’apertura degli incontri. Per la Thailandia è un successo: nella realtà dei fatti, si è solo evitato il fallimento del summit. Il resoconto di quello che è accaduto dal punto di vista diplomatico (con Cina e Stati Uniti protagonisti) e i risultati del summit

Si sono visti tempi migliori, questo è certo. Ma il vertice annuale della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC), in scena a Bangkok dal 14 al 19 novembre, è filato meglio del previsto e si è chiuso con una dichiarazione congiunta dei leader delle 21 economie del gruppo. Risultato non banale: il fallimento annunciato è stato a lungo dietro l’angolo. Con un sospiro di sollievo finale, il primo ministro thailandese Prayut Chan-o-cha (a cui spettava la presidenza 2022 del forum economico) ha definito il summit “un successo”.

Forse lo è stato in relazione al contesto nel quale si è svolto. Venerdì, poche ore prima dell’apertura ufficiale delle riunioni tra i leader – che erano attesi negli ultimi due giorni di meeting APEC –, è arrivata in Thailandia la notizia del lancio di un missile balistico intercontinentale da parte della Corea del Nord. La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, presente in supplenza del presidente Joe Biden, ha convocato una riunione di emergenza con i numeri uno di Giappone, Corea del Sud, Australia, Canada e Nuova Zelanda per “condannare fermamente” le azioni di Pyongyang.

Sullo sfondo, la guerra in Ucraina (già motivo di spaccature interne agli ultimi vertici APEC) e le manifestazioni di protesta contro Prayut, soffocate dai gas lacrimogeni e dai proiettili di gomma della polizia antisommossa thailandese a soli 10 km dal Queen Sirikit, il centro congressi sede del summit. Per Amnesty International Thailandia, la Royal Thai Police “non ha rispettato gli standard internazionali” delle forze di sicurezza. Si parla di 5 feriti e 25 arresti (tutti rilasciati a fine vertice) tra i circa 300 manifestanti, alcuni critici anche nei confronti di Xi Jinping.

 

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Tutti vanno da Xi

Per tre giorni, il presidente della Repubblica popolare cinese è stato protagonista indiscusso a Bangkok. Reduce da un vertice G20 carico di impegni e colloqui bilaterali, Xi ha confermato il proprio ritorno sulla scena diplomatica mondiale facendo altrettanto in Thailandia. “L’Asia-Pacifico non è il cortile di nessuno e non dovrebbe diventare un’arena per la competizione tra grandi potenze”, ha esordito con una lettera presentata alla riunione tra i rappresentanti dei paesi APEC. Ribadendo il no a una nuova “guerra fredda”, Xi ha rassicurato i partner sulla volontà della Cina nel perseguire la “cooperazione economica” e rigettato il “protezionismo” e la “politicizzazione delle relazioni commerciali”. Poi è passato ai faccia a faccia.

Il più significativo, anche se non il più importante in termini di contenuti, è stato quello (breve) di sabato con Kamala Harris. È servito per confermare quanto detto con Biden a Bali: Cina e USA devono “mantenere aperte le linee di comunicazione”. Più denso invece l’incontro con il premier giapponese Fumio Kishida. Al di là dei convenevoli diplomatici, durante il loro primo colloquio di persona i due leader hanno discusso di sicurezza e delle preoccupazioni di Tokyo riguardo il mar Cinese meridionale, le isole Senkaku (che la Cina rivendica come proprie chiamandole Diaoyu) e Taiwan. Se Kishida ha ribadito l’importanza di mantenere la “pace” sullo stretto, Xi ha confermato che la Cina non accetta “ingerenze esterne”.

Le stesse preoccupazioni dell’omologo giapponese le ha sollevate anche la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, nel suo colloquio con il leader cinese. Sul tema Taiwan interessante lo scambio di battute che Xi Jinping ha avuto con il rappresentante di Taipei al vertice, il fondatore di TSMC Morris Chang. Una conversazione lampo ma “piacevole ed educata”, ha dichiarato Chang in conferenza stampa. Oltre che con il padrone di casa Prayut, Xi si è poi intrattenuto per parlare di “affari” con i primi ministri di Singapore (Lee Hsien Loong) e Papua Nuova Guinea (James Marape), e con i presidenti di Cile e Filippine, rispettivamente Gabriel Boric e Ferdinand Marcos Jr.

Le risposte di Harris

Le Filippine sono uno dei paesi con i quali la Cina ha delle contese aperte sul mar Cinese meridionale. Il segretario generale del Pcc ha chiesto a Marcos di “non schierarsi” e di non scegliere tra Washington e Pechino, ma su questo fronte Harris ha segnato un punto. A seguito del vertice APEC, la vice di Biden è partita per Manila. Lì ha messo in programma degli incontri con Marcos Jr. e la sua vicepresidente, Sara Duterte, prima di viaggiare martedì 22 nella provincia di Palawan, proprio a ridosso della zona di mar Cinese meridionale contesa con Pechino. Diventerà così il funzionario americano di più alto grado a visitare l’arcipelago.

Durante i due giorni a Bangkok, Harris ha cercato di sfidare Xi sia sul piano della diplomazia (tanti i bilaterali anche per lei, che ha parlato di semiconduttori con lo stesso Morris Chang) che della retorica. “Gli Stati Uniti sono un’orgogliosa potenza del Pacifico”, ha dichiarato al summit, “e hanno un impegno economico duraturo con la regione”. Insomma: siamo qui per restare. La numero due americana è stata accompagnata dalla rappresentante per il commercio Katherine Tai – che ha parlato con i ministri omologhi di Corea del Sud e Cina – e dal segretario di stato Antony Blinken.

Dopo aver ricevuto da Prayut il testimone della presidenza APEC (il prossimo vertice si terrà a San Francisco nel 2023), Harris ha impegnato gli USA nello sviluppo del nucleare thailandese. “I nostri investimenti sono trasparenti, rispettosi del clima” e non “indebitano” i paesi, ha detto con chiara allusione alla Cina.

I risultati del summit

Nonostante gli inviti alla cooperazione e alla liberalizzazione commerciale, il sottotesto sembra sempre essere quindi quello del confronto/scontro Washington-Pechino. Per il presidente francese Emmanuel Macron, ospite esterno del summit, evitare questo tipo di “scelta tra le due superpotenze” è fondamentale per garantire lo sviluppo economico della regione. Ed è anche quanto emerge dalla dichiarazione congiunta finale dei leader.

Non era il rafforzamento dei legami commerciali, però, il motivo per il quale si è rischiato di non produrre il documento conclusivo del vertice. A fare da ago della bilancia restavano i disaccordi sulla guerra in Ucraina, risolti con un compromesso in linea con quello già raggiunto al G20. Pur “riconoscendo che l’APEC non è il forum [adatto] per i problemi di sicurezza, i problemi di sicurezza possono avere conseguenze significative per l’economia globale”, si legge nella dichiarazione. Ecco quindi che si è deciso di inserire che “la maggior parte dei membri ha condannato fermamente la guerra in Ucraina”, fermo restando che esistono “altri punti di vista” sul conflitto.

Un equilibrismo linguistico che ha permesso alla Thailandia di portare a casa la dichiarazione, e dunque di far condividere anche dalle altre 20 economie del gruppo la propria agenda. I leader hanno approvato un piano di lavoro per un futuro accordo di libero scambio regionale – che si basi sui già esistenti RCEP e CPTPP – e per l’agevolazione dei viaggi transfrontalieri, resi più complicati dal covid. Soprattutto, con la dichiarazione i paesi APEC hanno di fatto adottato il progetto Bio-Circolare-Verde (BCG) di Bangkok, con il quale i membri si impegnano a investire in attività economiche che tutelano la sostenibilità ambientale. Sulla fattibilità e inclusività del sistema BCG permangono però dei dubbi, così come sulla buona fede del governo thailandese, accusato di greenwashing.

Quelle sull’effettiva sostenibilità dei progetti APEC e l’integrazione economica regionale saranno tutte questioni delegate al futuro. Si è visto qualche segno di disgelo, ma le divisioni tra Cina e USA restano, sul commercio e sulla guerra in Ucraina: in generale, sul destino dell’attuale sistema internazionale. Probabilmente, solo l’assenza di un profilo veramente di peso a rappresentare la Russia a Bangkok (c’era il vice primo ministro Andrei Belousov) ha permesso di evitare il fallimento del vertice. Di questi tempi, tanto è bastato alla Thailandia per ritenerlo un successo.

A cura di Francesco Mattogno