La giornalista Zhang Zhan è in fin di vita. Immortalò il dramma di Wuhan

In Uncategorized by Alessandra Colarizi

Per tre mesi l’attivista testimoniò sui social network la gestione dell’epidemia a Wuhan. Poi il 14 maggio 2020 sparì nel nulla e dal 28 dicembre 2020 sta scontando una condanna a quattro anni di carcere per aver diffuso “informazioni false”. Da allora rifiuta di assumere cibo, venendo alimentata a forza attraverso una cannula nasale che le ha provocato ferite alla gola e allo stomaco. Ormai scesa sotto i 40 chili, potrebbe non farcela a superare l’inverno, come ha spiegato alcuni giorni fa il fratello su Twitter. L’articolo di Alessandra Colarizi pubblicato in collaborazione con Gariwo

Febbraio 2020, Wuhan. La corsia dell’ospedale n°7 è intasata di barelle, malati tra la vita e la morte e medici accasciati a terra per il troppo lavoro. La telecamera procede storta; la mano tremolante punta ora a destra ora a sinistra. Poi l’inquadratura si sposta: un agente della sicurezza si avvicina, cerca di coprire l’obiettivo con la mano. Urla minacce.

Sono alcune delle immagini riprese a Wuhan da Zhang Zhan, ex avvocato per la difesa dei diritti umani convertita al giornalismo partecipativo, durante le fasi iniziale dell’epidemia; quando il Covid-19 veniva ancora considerato una “misteriosa polmonite” con epicentro in Cina. All’epoca le notizie circolavano a singhiozzo sul web. Ma qualche richiesta d’aiuto è riuscita a bucare la censura insieme alla testimonianza di chi, inerme, vedeva morire i propri parenti prima dell’arrivo dei soccorsi.

Zhang lascia Shanghai all’inizio di febbraio per fare luce sul dramma di Wuhan, l’unica città cinese ad aver sperimentato veramente l’orrore del Covid-19. Per tre mesi l’attivista pubblica quanto vede con i suoi occhi sui social network (122 video solo su You Tube), alternando la testimonianza diretta alla denuncia vera e propria. In un articolo pubblicato online accusa il governo di aver insabbiato la reale portata del contagio. Il controllo delle informazioni ha rivestito un ruolo cruciale nella maldestra gestione dell’emergenza che ha visto il governo intervenire con 25 giorni di ritardo rispetto alle prime segnalazioni dei medici.

Poi il 14 maggio Zhang sparisce nel nulla. Dal 28 dicembre 2020 sta scontando una condanna a quattro anni di carcere, emessa al termine di un processo durato appena tre ore. L’accusa è di aver fomentato dispute e provocato problemi, diffondendo “contenuti deliberatamente inventati e informazioni false”.

Da maggio dello scorso anno, la 38enne rifiuta di assumere cibo, venendo alimentata a forza attraverso una cannula nasale che le ha provocato ferite alla gola e allo stomaco. Troppo debole per camminare, si è presentata alla sbarra su una sedia a rotelle, ma da allora ha continuato lo sciopero della fame per protestare contro quella che ha definito una “detenzione illegale e un atto d’accusa”. Lo scorso agosto è stata ricoverata per 11 giorni in ospedale per poi essere riportata in carcere, nonostante le precarie condizioni di salute. Il suo stato fisico è ulteriormente peggiorato. Ormai scesa sotto i 40 chili, potrebbe non farcela a superare l’inverno, spiegava alcuni giorni fa il fratello su Twitter.

Anche prima della pandemia, Zhang era già incappata nelle maglie della giustizia “con caratteristiche cinesi”. Dopo una laurea in economia e finanza presso la South West University of Economics and Finance di Chengdu, l’attivista ha studiato legge a Shanghai. Cattolica praticante, per un periodo ha esercitato la professione di avvocato prima di venire licenziata a causa delle sue battaglie politiche. Dopo essere stata ammonita dalla polizia per presunto “incitamento alla sovversione dello Stato” nel 2018, l’anno successivo è stata trattenuta con l’accusa di “disturbo dell’ordine pubblico” per aver sostenuto le proteste pro-democrazia di Hong Kong. In una video-intervista realizzata prima dell’ultimo arresto e diffusa dall’organizzazione China Change la ragazza racconta le pressioni subite in questi anni, le perizie psichiatriche e il tentativo di farla credere instabile.

In passato, Pechino ha dimostrato scarsa compassione per i dissidenti in fin di vita. Oltre al caso di Liu Xiaobo, condannato nel 2009 a 11 anni per “incitamento al sovvertimento dello stato”, stroncato dal cancro quattro anni fa dopo aver chiesto – invano – di potersi curare all’estero, va ricordata la triste fine dell’avvocato Cao Shunli, gravemente ammalata di tubercolosi, cirrosi epatica e fibromi uterini, a cui sono state negate cure e assistenza medica: è morta dopo sei mesi di prigionia nel più completo abbandono. Le pressioni esterne e la visibilità internazionale raramente favoriscono il rilascio dei condannati. Al contrario, rappresentano un’ingerenza che la leadership comunista tende a respingere col pugno di ferro.

È quindi improbabile che l’attenzione prestata dai media occidentali faciliterà la liberazione di Zhang, accusata tra le altre cose di aver rilasciato interviste a testate straniere, come Radio Free Asia ed Epoch Times. Il rammarico più grande – racconta il fratello – è che “la maggior parte dei cinesi non sa nulla di lei”. Il suo lavoro è censurato, la sua storia ignorata dalle cronache locali. “Ma ciò non significa che in futuro non sarà lodata o riconosciuta dal mondo.” Reporter Without Borders – che classifica la Cina prima al mondo per numero di giornalisti incarcerati – l’ha candidata ai Press Freedom Awards 2021.

Secondo l’ambasciata britannica, almeno 47 giornalisti cinesi sono stati arrestati per aver diffuso informazioni sull’epidemia. Alcuni, proprio come Zhang, sono citizen journalist: Li Zehua è riapparso nell’aprile 2020 dopo due mesi di quarantena forzata e arresti domiciliari. Chen Qiushi, in stato di fermo da oltre un anno, è ricomparso brevemente su Twitter a inizio ottobre. Di Fang Bin, invece, non si hanno notizie dal febbraio 2020.

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicato su Gariwo]