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Gig-ology – I camionisti cinesi e le “avventure pandemiche”

In Gig-ology by Vittoria Mazzieri

Soli contro schermate verdi e asterischi, bloccati per giorni negli abitacoli dei camion: negli ultimi mesi i 17,28 milioni di camionisti del paese hanno sperimentato le stringenti misure della strategia “zero-Covid”. Gig-ology è una rubrica sul mondo del lavoro asiatico.

Controlli ferrei ma disomogenei

“Una barriera di complesse restrizioni di viaggio”, ha commentato Alex Colville riferendosi alle misure attuate di recente nelle aree colpite dai nuovi focolai della variante Omicron, in un lungo reportage sulla condizione degli autisti di camion uscito per The World of Chinese. Sin dallo scorso febbraio ai caselli è stato chiesto ai camionisti in transito di presentare test dell’acido nucleico negativi e lo storico dell’itinerario percorso, ma in assenza di linee guida centralizzate le direttive sono state diverse da provincia a provincia. A volte anche tra città limitrofe. Come riporta la lunga analisi in lingua cinese pubblicata dalla organizzazione non governativa China Labour Bulletin, all’inizio di aprile oltre 90 città hanno emesso linee guida che chiedevano ai camionisti di esibire un solo test negativo eseguito nelle 48 precedenti il viaggio. Altre, come Ningbo, nello Zhejiang, hanno richiesto che il test fosse fatto entro le 24 ore prima.

L’app per il tracciamento, invece, è la stessa da marzo del 2020. Lanciata dalla Academy of Information and Communications Technology, in collaborazione con i tre principali operatori telefonici del paese China Telecom, China Unicom e China Mobile, la Communication Big Data Itinerary Card (tōngxìn dàshùjù xíngchéng kǎ, 通信大数据行程卡) processa i big data delle società di telecomunicazioni al fine di tracciare le città in cui l’utente ha soggiornato per più di quattro ore negli ultimi 14 giorni. La schermata principale, in concomitanza all’imposizione delle quarantene su larga scala nella provincia di Jilin, a Shenzhen e Shanghai, si è arricchita di asterischi, a segnalare le città con aree a medio o alto rischio per numero di contagi.

La schermata indica che la città-prefettura di Yantai, nella provincia nord-orientale dello Shandong, presenta aree a medio o alto rischio.

Camionisti ad alto rischio di contagio

Un’indagine condotta dal China Truck Driver Research Group (Zhōngguó kǎchē sījī diàoyán kètízu, 中国卡车司机调研课题组) riporta che ben il 60% – su un campione di 1.801 autisti – ha attraversato località a rischio. Gli asterischi si sono diffusi a macchia d’olio, a testimonianza del serio rischio a cui sono esposti i lavoratori del settore, viste le lunghe trasferte e i contatti diretti con altri lavoratori. Nel mese di marzo la Accident Map (ānquán shìgù dìtú, 安全事故地图) di CLB ha registrato 34 casi di camionisti positivi in tutto il paese, la maggior parte nelle città costiere delle province orientali.

Solo nell’area di Shenzhen, a metà febbraio il numero dei contagiati era salito a 18, l’ultimo dei quali un autista 35enne intento a oltrepassare Man Kam To Control Point, il nevralgico posto di controllo frontaliero tra il distretto Luohu di Shenzhen e la regione settentrionale dei Nuovi Territori di Hong Kong. Una importante porta di accesso per gli alimenti freschi della Cina continentale, da cui proviene il 92% degli ortaggi freschi consumati a Hong Kong.

Malgrado i comunicati abbiano precisato che l’asterisco “non ha nulla a che vedere con lo stato di salute dell’utente”, non sono stati rari i casi in cui anche se provvisti di schermata dell’app verde – quindi con il permesso di attraversare il posto di controllo – ad alcuni lavoratori è stato impedito di continuare il viaggio. Molti denunciano che l’asterisco sia diventato un marchio discriminante – oltre che di ostacolo per il compimento del lavoro, a tal punto da spingere un centinaio di autisti della provincia nord-orientale del Liaoning a contraffare la registrazione dei loro spostamenti di lavoro. Il metodo, secondo quanto riportato dai media statali, consisteva nel presentare ai controlli un secondo telefono con un tracciamento parziale, in cui non risultavano città con asterisco.

Abitare nell’abitacolo

Le infinite attese ai caselli per i controlli della documentazione di viaggio hanno intasato le arterie di transito del paese, causando l’implosione delle catene di approvvigionamento in alcune aree particolarmente colpite come Shanghai. E, inoltre, hanno pesato gravemente sulla quotidianità dei lavoratori. Intervistato da The World of Chinese, il signor Zhang, 46enne originario del Jiangsu, ha raccontato di aver raggiunto il casello alle porte della città di Hai’An,  provincia del Jiangsu, nelle prime ore del pomeriggio del 7 aprile. È riuscito a oltrepassare i controlli solo all’una di notte, dopo ore di fila che procedeva a passo di lumaca ma con costanza, senza avere la possibilità di fermarsi e concedersi qualche ora di riposo.

Il sondaggio del China Truck Research Group riporta anche che nel mese di marzo circa la metà dei partecipanti è rimasta bloccata nei caselli da una a tre volte. L’8% è rimasto bloccato più di dieci volte e il 9,4% ha dichiarato di essere rimasta ferma, senza poter ripartire, per sette giorni o più. Il 31 marzo, un camionista della provincia dello Jilin è deceduto a seguito di un malore dopo essere rimasto bloccato – pare – per 20 giorni nell’area di servizio nei pressi della città di Songyuan.

Un articolo del China News Weekly (Zhōngguó Xīnwén Zhōukān, 中国新闻周刊) pubblicato a fine aprile allega una foto di Meng Yong, camionista 51enne originario dello Shaanxi approdato a Shanghai a fine marzo – e costretto a fermarsi nel distretto di Minhang per oltre due settimane. Ha raccontato al settimanale che dopo qualche giorno ha iniziato a condividere gli spaghetti istantanei con il suo cane Hami (哈密).

 

Testimonianze di questo genere hanno riscosso un certo successo nelle piattaforme di condivisione di video brevi come Kuaishou, come quelle che mostrano forni improvvisati costruiti con dei mattoni o pasti collettivi consumati lungo il marciapiede. Un video diffuso da Sixth Tone racconta delle vicissitudini di un altro gruppo rimasto bloccato a Shanghai nei primi giorni di lockdown: uno dei lavoratori, Zhao Feng, originario dello Henan, si riprende mentre racconta di essere arrivato il 28 marzo a Puxi, il cuore della megalopoli, e di aver parcheggiato a Chuanji Road, poco distante dal fiume Huangpu. Impossibilitato a ottenere il permesso per lasciare la città, per circa una settimana è stato costretto a restare nella via assieme ad altri colleghi, ingegnandosi per procurarsi cibo e altri beni essenziali “senza chiedere l’aiuto di nessuno”. Pare che nei giorni successivi il governo, con il supporto di organizzazioni di volontari, abbia inviato loro pacchi alimentari.

Lavoratori essenziali, lavoratori autonomi

Se in più occasioni è emerso l’importante ruolo dei volontari nell’assistenza di queste fasce più fragili, è evidente che, come ha scritto CLB, le città “non prestino attenzione alle loro esigenze”, mentre le professioni di questi individui “contribuiscono a mantenerle in vita”. Molti camionisti, si legge in uno studio condotto dalla Tsinghua University, si percepiscono come “robot da carico” (huòyùn jīqìrén,货运机器人), “macchine che non possono smettere di funzionare”, sulle cui spalle dipende il trasporto di beni essenziali che tiene in vita le città e l’intera nazione.

Ma tale percezione è generata anche da quello che il sociologo marxista Michael Burawoy chiama making-out” game (gangōng yóuxì, 赶工游戏): in Manufacturing Consent: Changes in the Labor Process Under Monopoly Capitalism (University of Chicago Press, 1979), Burawoy ricercava il meccanismo ideologico che impedisse agli operai di non riconoscere il conflitto verticale e di accettare volontariamente un sistema retributivo “basato sullo sforzo individuale piuttosto che collettivo”. Più pezzi produci, più guadagni.

Una perpetua competizione orizzontale tra lavoratori, su cui di fatto è basato il sistema precario e gig delle “nuove occupazioni”, come riflette Zhao Dingqi (赵丁琪), dottorando alla Scuola di Marxismo della Qinghua University, nell’articolo pubblicato a dicembre 2020 dal sito di notizie in lingua cinese The Paper  “Involuzione, accelerazione e “making-out” game nella società cinese contemporanea” (内卷、加速与当代中国社会的“赶工游戏). L’intera gestione del lavoro è strutturata in base a premi e incentivi per convincere i lavoratori delle consegne a rendersi disponibili nelle ore di punta e ad affrontare le distanze di consegna più lunghe. I fattorini più attivi, di base, vengono privilegiati dal sistema algoritmico quando si tratta di affidare l’ordine appena commissionato.

Dal 2014 le tecnologie del cloud computing e dei big data sono state introdotte su larga scala anche nel settore del trasporto merci su strada, con il consequenziale aumento delle piattaforme logistiche online dove i lavoratori concorrono per procacciarsi nuovi clienti. Le tariffe vengono calcolate da algoritmi che, come nel caso delle app di consegna espressa, sono programmati per proporre il prezzo più “conveniente” a discapito di altri parametri, come, ad esempio, il costo del carburante.

Alla competizione sfrenata corrisponde l’abbassamento dei prezzi. Secondo lo studio accademico citato precedentemente, il 70% dei camionisti autonomi ha individuato nelle “basse tariffe ” la difficoltà più significativa incontrata dal 2020. Il China Truck Driver Research Group riporta che, a marzo di quest’anno, dei 1.801 partecipanti al sondaggio il 35,7% dei camionisti aveva un reddito netto inferiore a 3.000 yuan. Se fino a qualche anno fa per un trasporto di circa 336 km da Wuhan a Yichang, entrambe città dello Hubei, costava circa 1600 yuan, ora non si paga più di 800 o 900 yuan.

A pesare sul loro reddito, che spesso è il principale, se non l’unico, dell’intero nucleo familiare – Sixth Tone ha dedicato un bell’articolo al ruolo delle “mogli camion” (kasao, 卡嫂) – contribuisce anche l’acquisto del veicolo: il 40% dei camionisti autonomi lo ha acquistato grazie al supporto di un prestito bancario, e oltre il 20% deve sostenere rate mensili che vanno dai 9 mila ai 12 mila yuan.

Spese che i camionisti sostengono di tasca propria anche quando sono “affiliati(guakao, 挂靠) a una società di trasporti – una formalità che nasconde un lavoro del tutto autonomo, e che, secondo la ricerca condotta dalla Tsinghua University, interessa il 55,1% degli autisti. Un modello che impone basse barriere di accesso al settore, e la possibilità per chiunque di mettersi in proprio vantando, tuttavia, la “copertura” nominativa di una grande società di trasporto su strada.

Le diffuse condizioni di precarietà si sono esacerbate a causa dei recenti focolai. Se il proprietario della merce in transito ha tutto l’interesse di sincerarsi delle condizioni dell’autista quando questo deve completare il trasporto, a camion vuoto il camionista si ritrova “individuo isolato”, costretto a gestire in tutta autonomia le questioni relative alla documentazione e alla prevenzione dal Covid. Solo contro schermate verdi e asterischi, bloccato per giorni negli abitacoli dei camion.