Trump contro Kim: Pechino attacca gli Usa, Tokyo in silenzio.

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All’indomani dell’esordio del tycoon all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, Cina, Giappone e Corea del Sud hanno reagito in maniera differente a quel “se necessario distruggeremo la Nord Corea” detto dal presidente degli Stati Uniti


L’altro ieri, di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il presidente Usa Donald Trump, al suo esordio al consesso, ha minacciato la “totale distruzione” della Corea del Nord in caso di nuove provocazioni. Toni duri che preoccupano i paesi più interessati della minaccia missilistica nordcoreana e spaventati da una eventuale crisi umanitaria: Cina, Corea del Sud e Giappone. Le parole di Trump, scrive il Washington Post, segnano una cesura con il passato, rispetto alla retorica moderata fin qui usata dagli Usa sulla Corea del Nord per non allarmare gli alleati nella regione. Tuttavia, le reazioni registrate finora in Asia nordorientale sono state in gran parte moderate, in particolare in Giappone e Corea del Sud. A stretto giro dal discorso di Trump all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, un portavoce dell’ufficio presidenziale della Casa Blu — come è conosciuta la residenza del presidente sudcoreano — ha fatto sapere che i commenti del presidente statunitense erano la piena dimostrazione che Washington è decisa a mantenere la pace nella penisola coreana, pur tenendo sul tavolo tutte le opzioni, anche quella militare. “Crediamo che (Trump) abbia espresso una posizione ferma e decisa circa la questione del mantenimento della pace e della sicurezza che oggi le Nazioni Unite si trovano ad affrontare”, ha spiegato il portavoce.

Tuttavia, “i commenti di oggi circa la Corea del Nord riaffermano la necessità di esercitare il massimo delle sanzioni e della pressione sulle provocazioni nucleari e missilistiche per far capire alla Corea del Nord che la denuclearizzazione è l’unica opzione per garantirsi la sopravvivenza”, ha poi aggiunto il rappresentante dell’ufficio di presidenza sudcoreana. Lo stesso presidente sudcoreano Moon Jae-in all’indomani del discorso di Trump è impegnato in vertici bilaterali con i partner delle Nazioni Uniti alla ricerca di sostegno diplomatico per giungere a una soluzione pacifica della tensione nella penisola coreana. L’impegno a breve termine è giungere ad una tregua per le Olimpiadi invernali di Pyeongchang del prossimo anno. A questo fine la missione sudcoreana alle Nazioni Unite, scrive il Korea Times, ha sottoposto all’assemblea generale dell’organismo una bozza di risoluzione per una tregua olimpica in tutte le zone del mondo interessate da conflitti e tensioni armate. “Se il mondo si unisce e le Olimpiadi si terranno in un clima di pace in un periodo di alta tensione, spazzeremo via le preoccupazioni sulla sicurezza nella regione e mostreremo un esempio di pace”.

A Tokyo, invece, nessuno si sbilancia. Nel suo discorso il capo portavoce del governo, Yoshihide Suga, ha evitato di rilasciare commenti sulle parole di Trump, Trump ha fatto riferimento alla questione dei rapimenti di cittadini giapponesi in Corea del Nord tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, una questione che sta a cuore al primo ministro Shinzo Abe. Questo, sostiene Christian Nagy, professore della International Christian University di Tokyo interpellato dal Japan Times, è un prezioso endorsement per il primo ministro giapponese che si prepara — secondo voci di corridoio — a convocare elezioni anticipate. Nessun commento ufficiale invece sulla “distruzione totale” del Regno eremitapaventata da Trump. Il capo portavoce del governo di Tokyo, Yoshihide Suga ha schivato le domande dei giornalisti a riguardo ma ha sottolineato il sostegno del suo paese alla posizione americana di tenere aperte tutte le opzioni sulla Corea del Nord.

Sempre il Japan Times scrive che nell’amministrazione conservatrice giapponese sarebbe sempre più diffusa l’insofferenza nei confronti dei tentativi diplomatici della comunità internazionale. E perciò il paese si prepara da mesi ad affrontare eventuali attacchi missilistici. Le sirene antiaeree sono risuonate nel settentrionale Hokkaido al passaggio degli ultimi due missili a lungo raggio che hanno attraversato lo spazio aereo giapponese nell’ultimo mese, mentre esercitazioni di evacuazione si tengono in scuole e residenze per anziani in tutto l’arcipelago. Di tutt’altro tenore i commenti dell’agguerrita stampa di stato cinese. Ed è pioggia di critiche tanto sul versante Nord Corea quanto sul fronte accordi internazionali. Come fa notare l’agenzia di stampa Xinhua, “oggi che il mondo si trova ad affrontare una vasta gamma di problemi, come il terrorismo dilagante e la lenta ripresa economica globale, non è certo un buon momento per celebrare l’unilateralismo e l’isolamento”; chiaro riferimento al principio cardinale dell’America First che respinge un coinvolgimento americano in trattati unilaterali da cui gli Stati Uniti “non riceverebbero nulla in cambio”. L’esatto opposto di quanto professato dal presidente cinese Xi Jinping, grande fautore di una governance mondiale a base globalizzazione e accordi multilaterali tra paesi di pari livello e dignità.

Ma è soprattutto la questione nordcoreana ad attrarre i rimproveri più velenosi. Per il Global Times, il discorso di Trump “riduce le speranze di riportare la pace nella penisola coreana”. “Spingere la Corea del Nord al suo limite rischia, prima o poi, di provocare una guerra sanguinosa”, spiega il tabloid nazionalista, che negli ultimi tempi si è fatto promotore di un approccio più intransigente nei confronti del vecchio alleato comunista, senza tuttavia mai alleggerire le critiche mosse contro Washington, che con il suo supporto militare a Tokyo e Seulviene considerato il vero responsabile dell’escalation. “È molto egoista non considerare che Corea del Sud e Cina, per via della loro vicinanza geografica al Regno Eremita, preferiscono affrontare il problema in maniera pacifica. Se scoppierà una guerra sarà un crimine di Washington e Pyongyang contro i cinesi e i sudcoreani”. Sullo stesso spartito il China Daily, che in un editoriale uscito ieri mattina rimarca come “il pericoloso stallo in cui ci troviamo è il risultato del persistente perseguimento dei propri interessi da parte Pyongyang e Washington, nonostante gli sforzi messi in campo dagli altri paesi per convincere i due nemici a parlare. La sua minaccia di ‘distruggere totalmente’ (la Corea del Nord) — se necessario — probabilmente, non farà che peggiorare una situazione già volatile”. Quanto a Pechino, “è incorretto sostenere che non abbia fatto abbastanza”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Wang Yi durante un colloquio con l’omologo francese tenutosi a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

di Alessandra Colarizi e Marco Zappa

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]