Taiwan Files – Gou (Foxconn) candidato presidente. Lai negli Usa e reazione di Pechino: bilancio

In Asia Orientale, Relazioni Internazionali, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Terry Gou candidato alle presidenziali taiwanesi: i motivi della scelta e gli scenari sul voto. Il viaggio del vicepresidente Lai Ching-te tra Usa e Paraguay, con la reazione di Pechino: entrambi di basso profilo. Tsai in eSwatini. Il nodo Guatemala sulle elezioni. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

“Non lascerò che Taiwan diventi la prossima Ucraina. Anzi, farò sì che Taiwan superi Singapore nel giro di 20 anni e abbia il più alto Pil pro capite in Asia”. Due promesse impegnative, quelle con cui Terry Gou ha annunciato la sua candidatura alle elezioni presidenziali taiwanesi del gennaio 2024. Una mossa attesa da tempo e che infine è arrivata durante una conferenza stampa organizzata dal tycoon per rompere gli indugi. Gou è il fondatore e patron della Foxconn, gigante dell’elettronica e primo fornitore di iPhone per Apple. Ma ha anche enormi interessi in Cina continentale, dove si trovano ancora la maggior parte dei suoi impianti. Tra cui quello immenso di Zhengzhou, ribattezzato “iPhone City”.

Gou ha spiegato che le sue priorità, qualora diventasse presidente, sarebbero economia e tecnologia. Gou una posizione dialogante nei confronti di Pechino e si presenta come l’unica speranza per evitare un confronto militare. A luglio, aveva già lasciato intravedere le sue ambizioni con un commento pubblicato dal Washington Post, in cui criticava il Partito progressista democratico (DPP) al potere per aver innalzato le tensioni con Pechino per il suo rifiuto del “consenso del 1992”. Si tratta di un controverso accordo tra Taipei, allora governata dal Guomindang (GMD), e Pechino sull’esistenza di una “unica Cina”. Pur senza stabilire quale. Un artificio politico utile a mantenere lo status quo, ma che il Partito comunista sembra ormai interpretare senza troppe misure come la prova che Taiwan fa parte della Repubblica Popolare Cinese.

Annunciando la sua candidatura, Gou ha promesso “50 anni di pace” e sostiene di voler unire tutte le forze contrarie al DPP e al suo candidato, il vicepresidente Lai Ching-te. Non sarà semplice. Gou correrà infatti come indipendente (se riuscirà a ottenere 290 mila firme di appoggio entro il 24 novembre) e si aggiunge ad altri due candidati del campo “blu”, quello più dialogante con Pechino. Il primo è Hou Yu-ih, ex capo di polizia che è stato scelto dal GMD proprio al posto di Gou. Il secondo è Ko Wen-je, ex sindaco di Taipei piuttosto popolare anche tra i giovani. Gou sostiene di avere una “buona comunicazione” con entrambi ma al momento, nessuno dei due sembra intenzionato a ritirarsi e allearsi col patron della Foxconn. Chiang Wan-an, sindaco di Taipei e pronipote di Chiang Kai-shek, ha ribadito la sua fiducia in Hou prima di partire per Shanghai dove resta fino a giovedì 31 agosto per il forum Taipei-Shanghai. E il partito ha ufficialmente definito “deplorevole” la scelta di Gou di candidarsi.

Il rischio dunque è che la discesa in campo di Gou possa ulteriormente frammentare la scelta anti DPP e favorire lo stesso Lai. Secondo diversi sondaggi, in uno scenario a quattro candidati (inedito per Taiwan) il vantaggio dell’attuale vicepresidente sembra destinato infatti ad allargarsi. Gou ha detto più volte che i suoi 40 anni di esperienza nel settore lo rendono la scelta migliore per guidare Taiwan attraverso le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Quest’anno ha visitato gli Stati Uniti due volte e il Giappone una volta, incontrando leader del settore come il fondatore di Open AI Sam Altman, l’economista Thomas L. Friedman e l’ex primo ministro giapponese Taro Aso. Ma per ora Gou sarebbe in quarta posizione e per sperare davvero ha bisogno dell’appoggio di uno dei due partiti d’opposizione.

Secondo alcuni analisti taiwanesi, l’impatto maggiore della candidatura di Gou potrebbe farsi sentire non tanto su Hou, nonostante i due siano ex compagni di partito nel GMD, ma su Ko, visto che Gou si rivolge direttamente alle due categorie più attratte sin qui da Ko: il mondo del business e i giovani. Gou ha già fatto alcune promesse per le generazioni più giovani, tra cui una politica abitativa equa, la promozione dell’imprenditoria giovanile e un maggiore sostegno alla famiglia.

Non a caso, le reazioni del partito di maggioranza al passo di Gou sono state moderate, dopo che nel 2019 ci fu un duro scontro per la sua controversa dichiarazione: “La democrazia non si può mangiare”, per sottolineare le difficoltà economiche a suo dire causate dall’amministrazione della presidente Tsai Ing-wen. A meno che non arrivi un accordo da qui a novembre. Per tutta l’estate, Gou si è fatto vedere a eventi pubblici in giro per Taiwan in compagnia di dissidenti interni del GMD, che vorrebbero scaricare Hou (al momento terzo nei sondaggi) per puntare sul tycoon. Aveva anche più volte dichiarato di aver chiesto “agli dei” un segnale per prendere una decisione sull’opportunità di candidarsi in vista delle elezioni del 2024, visitando i templi Cihui e Jieyun a Banqiao, a Nuova Taipei, dicendo ai giornalisti che “ha chiesto agli dei e lascerà che siano loro a decidere” se candidarsi alla massima carica. Era poi stato anche a Kinmen il 23 agosto, per le commemorazioni del 65esimo anniversario dei bombardamenti di Mao Zedong, alla presenza di Tsai e degli altri leader politici.

Gou ha d’altronde ricordato ieri che nella sua carriera ha reso più volte “possibile l’impossibile”, citando come esempio l’acquisto di 5 milioni di dosi di vaccini Pfizer nel 2021, quando la campagna di Taipei era partita a singhiozzo. Una sua eventuale, e al momento complessa, ascesa alla presidenza non dispiacerebbe a Xi Jinping. E probabilmente neppure agli Stati Uniti, qualora sempre nel 2024 ci fosse un ritorno di Donald Trump, che nel 2019 accolse il “vecchio amico” Gou alla Casa Bianca.

Il bilancio del viaggio di Lai in Paraguay via Stati Uniti e della reazione di Pechino

Un po’ di confusione sui media sul viaggio del vicepresidente Lai Ching-te in Paraguay con doppio transito negli Stati Uniti e la reazione di Pechino. E’ stato tutto molto diverso rispetto al doppio transito di Tsai Ing-wen di aprile (qui lo speciale dedicato). Ed è importante notare queste differenze, per non fare confusione ed evitare di appiattire il racconto delle complesse dinamiche sullo Stretto.

Il viaggio non è una novità assoluta ed era anzi atteso da tempo. Si tratta infatti dell’undicesima volta che un vicepresidente taiwanese effettua un transito negli Stati Uniti, la seconda per Lai che era passato da queste parti nel gennaio del 2022 sulla strada dell’Honduras, dove aveva assistito alla cerimonia d’insediamento di Xiomara Castro. La presidente honduregna ha poi deciso nei mesi scorsi di rompere le relazioni diplomatiche con Taipei, per stabilire quelle con Pechino. I paesi rimasti ad avere rapporti ufficiali con la Repubblica di Cina, il nome con cui Taiwan è indipendente de facto, sono rimasti 13. Tra questi il Paraguay, dove Lai si è recato lunedì 14 al termine del primo transito a New York per assistere alla cerimonia di insediamento del neo presidente Santiago Peña, che vincendo le elezioni dei mesi scorsi ha allontanato le possibilità che anche Asuncion possa abbandonare Taiwan, come chiedeva invece uno degli altri candidati.

Il profilo del viaggio di Lai è stato più basso rispetto a quello del 2022. C’è un dettaglio, infatti, che rende più delicato che mai il suo transito dagli Stati Uniti: Lai non è solo il vicepresidente, ma anche il candidato alle presidenziali del 2024 per l’attuale forza di maggioranza, il Partito progressista democratico della presidente Tsai Ing-wen. Non è certo strano che un candidato taiwanese si presenti negli Stati Uniti. Anzi, è una sorta di tradizione. Gli stessi rivali di Lai al voto di gennaio prossimo lo hanno fatto o lo faranno. Ko wen-je, sindaco di Taipei e attualmente secondo nei sondaggi con il suo Taiwan People’s Party, è stato a Washington nei mesi scorsi. Hou Yu-ih, il candidato del Kuomintang (il partito nazionalista cinese, dialogante con Pechino), dovrebbe andarci a settembre.

Ma per Pechino, con Lai è un’altra storia. Intanto perché è già la seconda carica della politica taiwanese. E poi perché viene ritenuto un “secessionista”. Questo soprattutto per alcune sue dichiarazioni passate, in cui si era raffigurato come un “lavoratore per l’indipendenza di Taiwan”. Cosa ben diversa dal riconoscere e dire di voler tutelare la sovranità de facto di Taiwan come Repubblica di Cina, la posizione ufficiale di Tsai e dello stesso Lai, che ha molto smussato la sua retorica e le sue esternazioni sulle relazioni intrastretto da quando è vicepresidente. Ma a Pechino ricordano che nel 2019, il detestato partito di maggioranza fu sull’orlo della scissione per i contrasti tra l’ala radicale di Lai e quella più moderata di Tsai.

Proprio per questo, Lai sta cercando di veicolare un’immagine di continuità sia sul piano interno sia durante il suo viaggio. “Se Taiwan è sicura, il mondo è sicuro. Se sullo Stretto di Taiwan c’è pace, nel mondo c’è pace”, ha detto durante il discorso alla comunità taiwanese di New York, a cui ha presenziato Ingrid Larson, direttrice generale dell’Ufficio di Washington dell’American Institute in Taiwan (di cui ha incontrato la presidente Laura Rosenberger nel secondo transito di San Francisco). Le direttrici del suo discorso sono state in linea con Tsai: disponibilità al dialogo con il Partito comunista, ma tutela della sovranità de facto di Taiwan come entità non subordinata alla Repubblica Popolare, entro la cornice della Repubblica di Cina e senza indipendenza formale. Presente anche il capo dello staff di Tsai, Lin Chia-lung per ribadire la pretesa di continuità con l’ex rivale all’interno del partito. Una necessità, dopo alcune esternazioni delle scorse settimane che avevano destato qualche timore sulla riedizione di un periodo Chen Shui-bian, il primo presidente eletto col Dpp nel 2000 e non apprezzato dagli Usa per la sua imprevedibilità. Caratteristica che ora renderebbe tutto più pericoloso, visto che la Repubblica Popolare Cinese non è certo quella di 20 anni fa. Lai vuole presentarsi come garante dello status quo, che nonostante le attuali tensioni a diverse componenti degli Usa (con l’amministrazione Biden che si professa comunque neutrale sul voto taiwanese) sembrerebbe più appetibile rispetto a un ritorno del Kuomintang, che invece veniva quasi apertamente sostenuto dall’amministrazione Obama fino al 2012. La stessa tendenza è emersa nella sua intervista a Bloomberg e nell’incontro coi corrispondenti stranieri del 25 agosto.

A conferma di un profilo basso non solo del viaggio di Lai, ma anche dell’accoglienza degli Stati Uniti, in Paraguay Biden non ha inviato la vicepresidente Kamala Harris, com’era invece accaduto in Honduras nel gennaio 2022. Tra i repubblicani statunitensi c’era chi aveva chiesto che la vicepresidente incontrasse Lai, una possibilità di cui si è parlato molto anche a Taipei. Ma alla fine Biden ha mandato ad Asuncion (dove un incontro con Lai sarebbe stato meno sensibile che durante i due transiti negli Usa) la segretaria degli Interni, Deb Haaland. Lai ha anche stretto calorosamente la mano al presidente brasiliano Lula.

Passiamo alla reazione di Pechino. Alla vigilia della partenza di Lai, con primo scalo negli Stati Uniti, in molti hanno parlato di reazione cinese con le esercitazioni al largo dello Zhejiang. In realtà, ci si trovava a oltre 500 chilometri dalle coste taiwanesi e si trattava di test regolari, che l’Esercito popolare di liberazione svolge durante il periodo estivo. Domenica 13 agosto il ministero degli Esteri cinese ha definito Lai un “piantagrane”, ha detto di “monitorare attentamente” i suoi transiti negli Stati Uniti e verranno prese “misure forti e risolute a tutela della sovranità nazionale e integrità territoriale”.

Poi per giorni si è parlato di “esercitazioni” prendendo i dati quotidiani del ministero della Difesa di Taipei su jet e navi di Pechino osservate nella “regione”. Non era in corso nessuna esercitazione, ma la manovre quotidiane (con anzi numero più basso del solito) all’interno dello spazio di identificazione di difesa aerea (NON lo spazio aereo) oppure oltre la linea mediana. Infine, su alcuni media internazionali si è concluso che stavolta Pechino aveva scelto di evitare qualsiasi tipo di reazione. Conclusione frettolosa, arrivata quando Lai doveva ancora completare il secondo transito a San Francisco.

Come accaduto ad aprile, le esercitazioni sono state lanciate solo dopo il ritorno di Lai a Taipei, venerdì 18 agosto. Ma sono state più un atto simbolico che altro. Sabato 19 agosto l’Esercito cinese ha dispiegato aerei e navi da guerra a nord e a sud ovest di Taiwan. Avvistati in poche ore 42 jet, 26 dei quali oltre la linea mediana sullo Stretto. L’obiettivo dichiarato delle esercitazioni è di testare le effettive capacità di combattimento e di coordinamento delle forze navali e aeree. Ma l’esercito popolare di liberazione ha chiarito che si tratta anche di “un serio avvertimento” contro le cosiddette “forze separatiste di Taiwan” e alle “collusioni con forze esterne”.

“Un tentativo di condizionare le nostre elezioni”, ribatte il Partito progressista democratico di Taipei. In realtà, in passato le azioni muscolari di Pechino hanno sempre favorito le forze politiche a lei più invise. D’altronde il viaggio di Lai ha avuto un basso profilo, soprattutto a New York e San Francisco. Una reazione troppo forte potrebbe in futuro disincentivare la tendenza al compromesso.

Alla fine, le esercitazioni sono durate meno di 24 ore. Un basso profilo, tanto quanto quello del viaggio di Lai.

Martedì 29 agosto un drone ha invece quasi completamente circumnavigato l’isola principale di Taiwan, dopo che nei giorni scorsi la Casa Bianca ha dato l’ok a una nuova vendita di armi a Taipei.

Interpretazioni da Pechino e dintorni sul viaggio di Lai, qui e qui. C’è anche chi sottolinea un’apparente sfiducia degli Usa per il vicepresidente, mentre qui c’è un’ottima raccolta di opinioni. Qui un’analisi su un’ipotetica campagna militare. Per Alessio Patalano più probabile un “decapitation strike” piuttosto che un blocco navale.

Sul fronte economico, invece, Pechino ha imposto misure antidumping temporanee sulle importazioni di un polimero termoplastico utilizzato in elettronica, automobili, imballaggi, dispositivi medici e protezioni di sicurezza dai produttori taiwanesi. Il Ministero del Commercio ha annunciato che avrebbe imposto depositi dal 16,9 al 22,4% sui prodotti in policarbonato. Formosa Chemicals & Fibre, Idemitsu Chemicals Taiwan, Chimei Corporation e Chilin Technology si vedranno imporre depositi di circa il 17% sul valore dei loro prodotti, mentre ad altre aziende taiwanesi saranno imposte aliquote del 22,4%.

Pechino ha anche vietato le importazioni di mango da Taiwan. Mossa che ricorda quella compiuta sugli ananas nel 2021.

Tsai in eSwatini e il nodo Guatemala sulle elezioni taiwanesi

Tsai Ing-wen si recherà in Eswatini, l’ultimo paese africano rimasto a riconoscere Taipei, il 5 settembre per una visita di quattro giorni con un volo charter senza fare scali. L’obiettivo della visita, che si terrà dal 5 all’8 settembre, è quello di promuovere una “cooperazione sostenibile” tra la Repubblica di Cina, nome ufficiale di Taiwan, e l’Eswatini, ha dichiarato la portavoce dell’Ufficio presidenziale Olivia Lin durante una conferenza stampa.

Si è votato in Guatemala, altro paese centroamericano spinto da Pechino a disconoscere i rapporti con Taipei, come già fatto negli ultimi due anni da Nicaragua e Honduras. I rapporti con questi paesi sono importanti per Taipei, soprattutto per la cosiddetta “diplomazia dei transiti”, che consente appunto di passare dagli Stati Uniti in direzione o al ritorno degli alleati diplomatici ufficiali. Nel frattempo, il Parlamento centroamericano ha votato per l’espulsione di Taiwan, dopo oltre due decenni di permanenza come osservatore permanente, e per la sua sostituzione con la Repubblica popolare. Il parlamento di sei nazioni, noto come Parlacen, si è riunito nella capitale nicaraguense Managua e ha comunicato la decisione, deplorata da Taipei.

Tra l’altro, attenzione al Guatemala. Possibile un nuovo doppio transito di Tsai Ing-wen negli Usa. L’occasione sarebbe l’insediamento del nuovo presidente guatemalteco. L’appuntamento è per il 14 gennaio, un giorno dopo le elezioni presidenziali di Taiwan. Significherebbe dunque che Tsai passa per gli Usa subito prima e subito dopo il voto a Taiwan, in programma il 13 gennaio.

Altre notizie

Taiwan ha ripreso ad accettare le richieste di permesso d’ingresso da parte di uomini d’affari della Cina continentale, ma ha dichiarato che è necessaria la “reciprocità” da parte di Pechino per espandere le misure per il turismo, che sono considerate da alcuni troppo deboli per sostenere il settore sull’isola. Secondo il Consiglio per gli Affari continentali di Taiwan, saranno presi in considerazione i viaggi d’affari di breve durata, anche per mostre e sessioni di formazione. Da venerdì Taiwan riprenderà anche a rilasciare permessi di viaggio ai turisti cinesi residenti a Hong Kong, Macao o in altri luoghi al di fuori della Cina continentale.

Il governo di Taiwan cercherà di aumentare le spese per la difesa del 3,5%, raggiungendo la cifra record di 606,8 miliardi di dollari taiwanesi (19 miliardi di dollari) nel 2024, secondo i dettagli della proposta di bilancio del governo centrale.

I passaggi costruiti sotto il famoso Grand Hotel di Taipei durante l’epoca di Chiang Kai-shek attraggono turisti desiderosi di conoscerne la storia. Su The Guardian.

Il personale della guardia costiera taiwanese starebbe utilizzando provider internet continentali mentre è di stanza sull’isola di Taiping, nel Mar Cinese Meridionale, suscitando preoccupazioni per la sicurezza nazionale.

Vestito in mimetica e con un fucile di plastica in mano, Tsai Tsung-lin ha girato a piedi per Taiwan per più di un mese con un messaggio ai suoi compatrioti: preparatevi alla guerra. Il 22enne ex soldato, congedato dall’esercito a luglio, spera che il suo viaggio possa contribuire ad aumentare la consapevolezza della protezione civile.

Può Taiwan diventare un “ponte” tra Washington e Pechino? Se ne discute qui.

La sindaca di Hsinchu, componente del partito di Ko, è sotto inchiesta per corruzione.

Il Kaoliang è l’alcolico più conosciuto di Taiwan. Ed è stato anche bevuto da Ma Ying-jeou e Xi Jinping nel loro storico incontro del 2015 a Singapore. Ma è prodotto con sorgo importato principalmente dalla Cina continentale. Ora gli agricoltori taiwanesi stanno cercando di coltivare il proprio.

I taiwanesi investono più nell’Asia meridionale e nell’Asean che nella Cina continentale in un contesto di rimescolamento delle catene di approvvigionamento globali.

Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Taipei per chiedere un’azione immediata per fermare ulteriori perdite di vite umane sulle strade e per prevenire gli incidenti stradali che hanno portato il Paese a essere criticato come un “inferno” per i pedoni. La marcia “Stop Killing Pedestrians”, partita da Ketagalan Boulevard di fronte all’Ufficio Presidenziale, è nata a seguito di una serie di scontri mortali, il più recente dei quali si è verificato appena un giorno prima e ha causato la morte di un uomo di 82 anni.

Specialità da provare nei mercatini notturni taiwanesi.

Di Lorenzo Lamperti

Taiwan Files – La puntata precedente

Il punto verso il voto del 2024

Taiwan Files – L’identikit di Hou Yu-ih, candidato presidente del GMD

Taiwan Files – L’identikit di William Lai, candidato presidente del DPP

Taiwan Files – Le elezioni locali e l’impatto sulle presidenziali 2024

Intervista a Ma Ying-jeou