cop28 cina clima

Sustanalytics – Cop28 e Cina: contraddizioni e novità della diplomazia climatica made in Beijing

In Sustanalytics by Sabrina Moles

Poche variazioni sul tema nel sillabario cinese della diplomazia climatica alla Cop28. Ma tra le novità arriva un nuovo inviato per il clima e uno slancio (all’indietro?) verso il compromesso crescita-sostenibilità. La nuova puntata con la rubrica dedicata ad ambiente, energia e cambiamenti climatici in Asia

Non solo carbone: la Cop28 conclusasi a Dubai mercoledì 13 dicembre ha portato alla prima dichiarazione che menziona esplicitamente l’intenzione di ridurre i combustibili fossili. Tutti. Lo zar del clima di Pechino, Xie Zhenhua, è rimasto fino alla fine di quella che è stata la sua ultima assemblea Onu per il clima. Dopo la Cop28 sarà qualcun altro a prendere il suo posto: Liu Zhenmin. La notizia era nota già da ottobre, ma la conferma ufficiale è arrivata con l’inaugurazione dell’evento a Dubai. Liu, 68 anni, è un volto noto della diplomazia cinese. È  stato viceministro degli Esteri fino al 2017, per poi ricoprire il ruolo di sottosegretario generale per gli Affari economici e sociali all’Onu. 

Funzionario ambientale tra il 1999 e il 2005 è stato però coinvolto dallo scandalo dell’esplosione di una fabbrica nella città nordorientale di Jilin che causò lo sversamento di sostanze inquinanti tali da impedire l’accesso alle risorse idriche a 5 milioni di persone. Come Xie Zhenhua sta alla controparte statunitense John Kerry, anche Liu Zhenmin ha collaborato volentieri con il predecessore di Kerry nel 2015 in occasione dei negoziati per l’Accordo di Parigi. Per molti proprio la relazione amichevole con Todd Stern sarebbe stata fondamentale a raggiungere il consenso tra i due principali emettitori di gas serra del mondo e ha contribuito a far rispettare lo storico accordo di Parigi del 2015. Un segnale, ancora da prendere con la giusta cautela, sulla lenta ripresa del dialogo Usa-Cina sul clima.

A ognuno la sua transizione con “caratteristiche nazionali”

Al suo primo annuncio Liu è stato perentorio (nonché criptico): “Questo [il documento finale della Cop28] non è perfetto. Rimangono alcune questioni problematiche”. Secondo quanto riportato dall’agenzia stampa Reuters il team cinese è, secondo quanto riferito dal nuovo zar per il clima, ancora al lavoro sulla bozza finale. In fondo lo aveva già premesso Xie in diversi punti, reiterando la narrazione cinese per cui la transizione verde – soprattutto quella energetica – sarà “dolorosa” e pertanto andranno prese in considerazione le “condizioni interne” che differenziano ciascun paese.

Nell’ambito della complessa diplomazia climatica Pechino non si è allontanata dalla sua posizione di interlocutore del Sud Globale. E la Belt and Road Initiative, giunta al suo decimo anniversario [qui il nostro dossier dedicato], rimane una delle piattaforme per il compimento di tali obiettivi di cooperazione allo sviluppo sostenibile. Affermazioni non indifferenti in sede Onu: l’organizzazione per la quale la Cina si è spesso schierata a difesa del multilateralismo è stata così messa davanti a una proposta di organizzazione alternativa che potrebbe ridefinire e avvicinare i piani di crescita dei paesi meno sviluppati indipendentemente dalle richieste del primo mondo – accusato di essere il primo fautore delle crisi ambientali che soprattutto queste realtà stanno pagando a caro prezzo.

“Ho parlato con un ministro di un paese esportatore di petrolio”, ha detto Xie durante una delle conferenze stampa di Cop28. “Il ministro mi ha detto che l’80-90% delle entrate fiscali derivano da petrolio e gas naturale. Se il petrolio e il gas naturale vengono eliminati, come può lo stato sopravvivere e svilupparsi? Ogni paese ha le sue difficoltà”. Pur essendo il maggiore inquinatore e consumatore di carbone la Cina non viene menzionata tra i “dirty five”, la cinquina dei paesi più legati ai combustibili fossili (Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Iran e Russia). Positiva la partecipazione ai fondi dedicati al sostegno finanziario alle realtà colpite dalla crisi climatica, che vedrà il contributo di ciascun paese firmatario e delle principali banche per lo sviluppo. Il tutto per un totale di oltre 150 milioni di dollari per il Fondo per i paesi meno sviluppati (Least Developed Countries Fund) e il Fondo speciale per il cambiamento climatico (Special Climate Change Fund).

Transitioning away

Il punto più interessante, per quanto intiepidito nella forma, riguarda la menzione delle fonti fossili come un elemento problematico della transizione energetica. Alla fine alla Cop28 ha vinto il “transitioning away” – che sottolinea allontanamento, transizione graduale – contro il “phase out” – l’eliminazione totale come obiettivo ultimo della transizione energetica. C’è molto delle aziende petrolifere in questa revisione della roadmap siglata il 12 dicembre, ma c’è anche una parte di Cina

Nonostante la sua potenza rinnovabile Pechino rimane un paese altamente dipendente da carbone e petrolio, e la sicurezza energetica non è mai stata tanto importante come ora. Anche – e nonostante – la lenta trasformazione dell’economia verso settori più avanzati e a minor intensità energetica. Anche se la Cina continua a battere i target annuali di produzione energetica dalle rinnovabili in forte anticipo, oltre il 70% dell’energia elettrica deriva ancora da fonti fossili. Negli ultimi anni, complice la pandemia e le instabilità del mercato energetico nazionale, non sono mancati gli episodi di blackout e di razionamento dell’energia elettrica in poli industriali e città. Nel paese che ospita parchi solari da record ed è il primo produttore al mondo di pannelli solari, turbine eoliche e batterie.

Triplicare le rinnovabili: la Cina si astiene

Non è dunque un caso che Pechino si sia astenuta – per quanto appaia contraddittorio – dalla firma del documento che vincola i governi alla promessa di triplicare la capacità di produzione energetica da rinnovabili. Durante i lavori della Cop 28 la Cina non ha mancato di ricordare il suo peso nella costruzione di nuovi impianti di energia rinnovabile e l’influenza che questo sta avendo su scala globale. Tra i punti evidenziati da Xie, per esempio, il crollo dei costi dell’80% per la produzione di energia eolica, e del 90% per quella solare. “Ponendo ottime basi per la diffusione su larga scala delle energie rinnovabili in tutto il mondo”, ha aggiunto.

La Cina è il primo paese al mondo per la produzione di energia rinnovabile a cui fanno seguito gli Stati Uniti che, però, hanno una capacità installata di tre volte inferiore ai numeri cinesi. Ciononostante mantenere questo ritmo alle attuali condizioni (di già forte sviluppo delle rinnovabili) non sarebbe fattibile per la Cina, ha sottolineato Xie alla Cop28. Il tema centrale rimane, ancora una volta, la sicurezza energetica in quei settori ad alto consumo (come l’industria pesante) che sono alla base dell’economia cinese e non vogliono scommettere sull’attuale intermittenza della produzione rinnovabile. “Ridurre questa ‘intensità energetica’ di un ulteriore 4% ogni anno fino al 2030 sarebbe estremamente impegnativo”, spiega il sito di informazione ambientale China Dialogue. Il problema non è tanto la quantità, dunque, ma la qualità delle fonti a disposizione delle aree più energivore del paese.

Pochi giorni prima, il 6 dicembre, la seconda maggiore azienda produttrice di turbine eoliche della Repubblica popolare, ha annunciato un accordo per l’installazione di 663 megawatt di capacità in India. Una corsa ai prezzi che, come accaduto in passato in altri settori, ha anche una motivazione più pratica che “di merito”: la concorrenza in questo settore sul mercato nazionale sta vedendo una crescita esponenziale che oggi ha abbattuto i margini di profitto delle aziende di settore. Una trappola, quella economica, che rischia di mantenere la Cina ancorata ancora a lungo alle fonti fossili mentre il mondo adotta le soluzioni prodotte da quelle fabbriche che sono – contemporaneamente ma non contraddittoriamente – croce e delizia del modello di sviluppo cinese.