Inondazioni in Cina, la priorità è salvare la “città del futuro” di Xi

In Economia, Politica e Società, Innovazione e Business, Sociale e Ambiente by Lorenzo Lamperti

Nei giorni scorsi piogge senza precedenti si sono abbattute sull’area di Pechino e sulla provincia dello Hebei. Proteste sui social per le affermazioni dei funzionari tese a dare priorità assoluta alla capitale e a Xiong’an, la smart city con caratteristiche cinesi voluta dal presidente

La chiamano “città del futuro”, già prima che completi il percorso che, nei piani annunciati nel 2017 dal Partito comunista cinese, la porterà a diventare l’esempio principe di smart city “con caratteristiche cinesi”. Fulgido simbolo della nuova era fatta di sviluppo, sicurezza e avanzamento tecnologico. Da allora, Xi Jinping l’ha visitata tre volte. L’ultima lo scorso 10 maggio, quando ne ha esaltato la “miracolosa” trasformazione già compiuta in sei anni.

Nel suo presente, però, Xiong’an ha vissuto diversi giorni di preoccupazione a causa delle piogge torrenziali che hanno colpito l’area di Pechino e lo Hebei, la provincia che circonda ne circonda il territorio. Nel giro di 48 ore, l’area della capitale ha registrato una media di 175,7 millimetri di pioggia, cioè quasi 176 litri per metro quadro: un dato che di solito corrisponde a un intero mese di precipitazioni. A Mentougou, il sobborgo più flagellato dall’acqua, si è arrivati a superare i 500 millimetri. Fiumi e canali esondati, strade completamente inondate, ponti spazzati via, treni bloccati: sui social sono circolate immagini drammatiche.

L’impatto è stato meno grave entro i primi anelli della capitale, ma per la prima volta in 600 anni è sembrato realistico (almeno per mezza giornata) il rischio di un allagamento della Città Proibita. Simbolo della Cina imperiale, città nella città che si affaccia su Tian’anmen, piazza del potere politico della Repubblica popolare. D’altronde, secondo il servizio meteorologico cinese, si è trattato delle piogge più abbondanti da quando sono iniziate le registrazioni, 140 anni fa. Il bilancio ufficiale è di 11 morti, 27 dispersi e circa 130 mila persone evacuate dalle proprie abitazioni. A Pechino e dintorni.

C’è però anche lo Hebei, dove i morti sono stati ufficialmente nove. È in questa provincia, a poco meno di 150 chilometri a sud della Città Proibita, che si trova Xiong’an. Qui, durante un’ispezione condotta al culmine dell’emergenza, il segretario provinciale del Partito Ni Yuefeng ha dichiarato che lo Hebei avrebbe dovuto servire come “canale per la capitale”. Come ad aiutare il deflusso delle acque provenienti dal fianco di un colle. Nella stessa occasione ha indicato proprio la “città del futuro” come “la massima priorità del controllo delle inondazioni nella nostra provincia”. Commenti che non sono piaciuti a molti abitanti della zona, anche perché la città più colpita dal tifone Doksuri è Zhuozhou, più a nord di Xiong’an ed esattamente al confine con l’area metropolitana di Pechino.

Circa centomila persone ne sono state evacuate, cioè un sesto della sua intera popolazione. Per giorni le strade si sono trasformate in fiumi, le forniture di energia elettrica e acqua potabile sono state interrotte, i segnali dei telefoni cellulari sono rimasti fuori uso, con diverse famiglie intrappolate nelle proprie case e messe in salvo da soccorritori a bordo di gommoni e barche.

Nonostante gli aiuti non si siano interrotti, le dichiarazioni di Ni hanno fatto arrabbiare in molti. “La gente di Hebei non ha bisogno di protezione?”, ha scritto qualcuno su Weibo, il social su cui si è espresso in materia anche l’ex direttore del nazionalista Global Times: “Non dovremmo sacrificare qualcuno per proteggere qualcun altro”. Alcuni utenti hanno addirittura espresso il sospetto che le acque siano state fatte defluire verso alcune aree dello Hebei da Xiong’an e da Daxing, l’aeroporto a forma di fenice inaugurato a sud di Pechino e progettato da Zaha Hadid.

Al di là delle polemiche, il vero problema è rappresentato dai fenomeni meteorologici estremi sempre più frequenti. Le inondazioni hanno colpito almeno 30 milioni di persone in Cina quest’anno, con evacuazioni di massa che hanno interessato nelle scorse settimane anche la provincia meridionale del Fujian e la metropoli di Chongqing. Dopo la tragica alluvione nel 2012 che ha ucciso 79 persone a Pechino, il governo ha investito miliardi di dollari per rendere le proprie città “come spugne”. Per assorbire le precipitazioni estreme sono stati utilizzati giardini pensili, pavimentazioni permeabili, serbatoi sotterranei. Non sembra però bastare, anche perché i progetti di gestione dell’acqua si basano su livelli di precipitazioni antecedenti e ormai superati negli ultimi anni. Segno del cambiamento climatico, il cui altro volto è rappresentato da grandi ondate di calore. Dal 1951 la temperatura registrata a Pechino è salita sopra i 40 gradi solo 11 volte: cinque di queste nel luglio appena trascorso.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]