Ripartire dalla Costituzione. Intervista a Wang Hui

In Cina, Economia, Politica e Società, Interviste by Simone Pieranni

Il concetto di eguaglianza alla luce delle diversità, le conseguenze cinesi del caso Snowden, il modello economico, l’urbanizzazione, il problema delle terre e delle imprese di stato. Una conversazione sull’attualità con Wang Hui, professore di lettere e rispettato intellettuale. Un punto di riferimento della Nuova Sinistra.

Wang Hui, professore alla Tsinghua University di Pechino, è uno tra gli intellettuali più originali in Cina e sicuramente è tra i più conosciuti in Italia. Alcune delle sue opere sono state tradotte in italiano dalla Manifestolibri (Il nuovo ordine cinese, 2006, La questione tibetana tra est e ovest, 2011), alcuni suoi articoli sono comparsi sulle pagine de il manifesto o quelle di Alias. La conoscenza di Wang Hui e della sua opera in Italia deve molto ad Angela Pascucci che proprio su il manifesto ha spesso ospitato e ripreso le riflessioni dell’intellettuale cinese, contribuendo e non poco al dibattito politico sulla Cina anche in Italia, partendo da posizioni originali, complesse e non stereotipate (al contrario di come spesso la Cina viene invece trattata dai media).

Etichettato – anni fa – come esponente della Nuova Sinistra locale, una dicitura che a Wang Hui non è mai piaciuta, il professore ha sempre provato a riflettere sulla contemporaneità cinese, alla ricerca di un vocabolario e di una visione del mondo che potesse essere il più globale possibile. Nel corso della chiacchierata con Wang Hui si riscoprono i motivi, qualora ce ne fosse bisogno, circa le ragioni di stare in Cina: ad ogni chiarificazione, si aprono sentieri e squarci di riflessione nuovi, inesplorati, capaci di attirare la smania di saperne di più.

In questo momento Wang Hui sta lavorando sul concetto di eguaglianza alla luce delle diversità (etniche, culturali, geografiche e ambientali), all’interno di un ragionamento capace, al solito, di creare solchi e ponti: diversità e unicità della situazione cinese, in grado però di raggiungere punti rilevanti nell’attuale riflessione occidentale, come ad esempio la questione della rappresentatività, il dibattito politico, gli spazi e i beni comuni, attraverso i quali ritrovare quella dialettica tra politica e corpo sociale che le pratiche neoliberiste sembrano avere abbattuto.

Con Wang Hui partiamo dall’attualità, ovvero dallo scandalo Prism e dalle rilevazioni di Snowden, l’ex agente Cia rifugiatosi ad Hong Kong. E già su questo argomento apparentemente spoglio di importanti conseguenze teoriche, arriva il primo squarcio di Wang Hui: «ci sono due punti importanti al riguardo: il primo consiste nelle reazione della popolazione cinese. Si tratta della prima volta in cui l’accordo che ha riportato Hong Kong alla Cina, si rimette ad un giudizio popolare. Il fatto che Snowden sia ad Hong Kong sta sviluppando riflessioni circa il rapporto tra l’ex colonia e la Cina continentale». Il secondo punto prepara ad argomenti più generali: «poi c’è l’ambito circa ciò che potrebbe fare la Cina, ovvero svelare e rendere completamente trasparenti i piani degli Stati Uniti e sviluppare un dibattito pubblico, mondiale, al riguardo».

Dibattito, discussione: è questo quello cui sembra puntare Wang Hui, quando si parla di modello di sviluppo o di importanti rilievi intellettuali, come quelli attualmente in corso in Cina sulla Costituzione. Partendo dal modello economico, non si può che iniziare dalle nuove riforme: «innanzitutto bisogna precisare che spesso le intenzioni sono buone, ma poi subentrano interessi diversi. Così nascono le contraddizioni e i conflitti, lo scarto tra la teoria e la pratica. Tutto il dibattito sul modello cinese – e c’è stato un grande dibattito – era circa l’orientamento da prendere. Sappiamo il detto di Deng, attraversare il fiume toccando le pietre, ma oggi il problema è che non c’è chiarezza neanche dove sia e quale sia la sponda del fiume, figurarci sapere dove sono le pietre. La cosa più importante è che nessuno sembra sapere definire quale sia la direzione».

C’è però da chiedersi quali siano le forze in campo in questo confronto, sebbene tutto oggi sia più complicato: «la lettura che vedeva opposti riformisti e conservatori valeva negli anni 90, oggi non più. In Cina abbiamo sempre preso come riferimenti paesi occidentali. Prima la Russia, poi gli Stati Uniti. Entrambi, in tempi diversi, sono finiti in crisi, quindi da destra a sinistra, la domanda in Cina è la stessa: qual è la direzione?».

Non si tratta di speculazioni generali, bensì di confronti molti precisi, da cui dipende il futuro del paese; prendiamo ad esempio la questione legata alla privatizzazione delle terre e delle grandi aziende di stato: «è molto chiaro che le privatizzazioni ovunque sono state portate avanti, hanno portato solo effetti negativi. Lo stesso discorso vale per le aziende di stato: contrariamente a quanto si dice, sono le uniche che sui mercati internazionali hanno un peso importante per l’economia cinese. Del resto la teoria neoliberista non è più utilizzabile, perché non prova affatto che il privato lavori meglio dello stato».

Rimanendo sul tema economico e sulla necessità di trovare un punto di riferimento, Wang Hui porta l’esempio dell’urbanizzazione: «è difficile dire – in generale – se una certa scelta sia giusta o sbagliata: in alcuni luoghi ad esempio l’urbanizzazione può essere buona, in altri no. Prendiamo le zone dove l’impatto ecologico può essere devastante, mentre in altre zone può andare bene. Bisogna favorire la discussione e provare, tentare e vedere come funzionano alcuni esperimenti. Adesso già sull’urbanizzazione si comincia a parlare di un processo da effettuare con calma, proprio perché questo è un percorso che va avanti da vent’anni e non in tutte le zone ha portato risultati positivi».

Il problema deriva dal processo dall’alto verso il basso, «che produce inevitabilmente degli errori», mentre sarebbe necessario invertire, in taluni casi, la direzione decisionale. E in aggiunta, i ritmi dovrebbero essere più bassi, per consentire un reale dibattito: «a una conferenza in Italia un giornalista sottolineava che mentre in Italia è difficile trovare una connessione a Internet, in Cina in ogni villaggio si può trovare la connessione wi fi. Penso che questo non sia per forza una cosa positiva, bensì indichi invece un processo troppo rapido. Alla base c’è lo stesso concetto che si è applicato con le campagne: si sono venduti i terreni, per importare poi gli Ogm dall’America Latina, accontentando la Monsanto.

Non è un processo che è stato valutato, chiedendo alla gente cosa ne pensasse, è piuttosto il risultato di dover garantire cibo a una popolazione così vasta, ma anche fare crescere il prodotto interno lordo che in Cina avviene principalmente con la vendita dei terreni». E la popolazione senza terra, diventa «l’esercito dei disoccupati in città» con il rischio che l’urbanizzazione anziché portare allo sviluppo di una nuova «classe media», possa divenire un processo di creazione di nuovi slum.

Il confronto, come dimostrato dall’incidente di Chongqing e l’epurazione di Bo Xilai, è molto intenso, «benché l’orientamento sia rimasto molto ambiguo», tanto che nessuno sembra soddisfatto della situazione attuale, perché alla testa di tutto c’è una questione politica che rimane irrisolta. A dimostrarlo è un altro dibattito molto importante, quello sulla Costituzione cinese; si tratta di un ambito che secondo Wang Hui è fondamentale per il futuro cinese: «è importante che il dibattito sulla Costituzione si muova dalla Costituzione del 1982 (dove si dichiarò però illegale il diritto di sciopero nda) o ancora meglio da quella del 1954. Soprattutto quella del 1954, creata nel periodo maoista, è una Costituzione importante: ovviamente era dominata dalla presenza del Partito Comunista, ma venivano garantiti molti diritti.

Bisogna partire da lì, perché se ci fosse una delegittimazione della Costituzione, significherebbe portare avanti una sorta di rivoluzione che porterebbe a modifiche effettuate per forza di cose da un’élite. Non c’è nessuno oggi come oggi che possa sostituire il Partito Comunista, non c’è alternativa: quindi è necessario tuffarsi in questo dibattito e provare a condurlo, cercando di salvaguardare i diritti dei lavoratori e di chi oggi è in difficoltà. Si tratta di trovare nuove formule, in grado di fronteggiare l’attuale situazione. Significa che si devono trovare anche le parole per descrivere questa nuova struttura sociale e politica».

La Costituzione, inoltre, è un framework che specifica alcune cose importanti: «dietro a tutto c’è la presenza del Partito, ma anche la dicitura di Repubblica Socialista, è da lì che dobbiamo ripartire. Spero che su questo si apra un dibattito, pubblico. Ad esempio noi abbiamo la più grande classe dei lavoratori nel mondo: qual è il loro status politico? E’ la Costituzione che deve garantirlo. Bisogna ripartire da lì, dal concetto di eguaglianza, riportarlo alla realtà, attraverso una revisione costituzionale capace di cogliere i cambiamenti sociali. Servono nuove idee in grado di cogliere la realtà, questo è il primo passo. Se si stabiliscono queste nuove parole, concetti e punti fissi, la politica può solo seguire questi dettami, riducendosi al passo più semplice».

C’è da chiedersi chi possa guidare eventualmente questo processo. Secondo Wang Hui, Weibo, il twitter cinese e Internet in generale starebbero generando un importante confronto, capace di essere catturato, già, dalla stampa ufficiale: «è necessario che questo dibattito sia fatto insieme al Partito e ai funzionari, sebbene oggi in Cina non sia facile distinguere tra chi sia dentro e chi sia fuori alla cerchia del Partito, anche a causa dei tanti miliardari che ormai sono dentro, ma è necessario che il dibattito si apra a tutti. Il contrario di quanto diceva Deng, quando soppresse i dibattiti perché «bisognava andare avanti». Si tratta di un processo molto pericoloso che oggi rende urgente una pubblica discussione».

[Scritto per il manifesto]