Nepal – Nuove elezioni per provare a diventare democrazia

In Uncategorized by Simone

Il prossimo 19 novembre in Nepal si torna a votare per eleggere una nuova assemblea costituente che riesca dove la precedente, in cinque anni, ha fallito: trasformare l’ex regno himalayano in una giovane ma promettente democrazia. Ma le previsioni dei nepalesi, considerando le lotte intestine della politica, non promettono nulla di buono.
“Non c’è piano B. Non abbiamo altra opzione se non tornare alle urne”. Più che a una spiegazione, le parole usate dal ministro dell’Informazione nepalese Madhab Paudel per esporre le ragioni che hanno spinto il governo a convocare le elezioni per il prossimo 19 novembre somigliano a una confessione.

Ormai da un lustro il Nepal è completamente immobile, l’azione delle forze politiche è inibita da interessi configgenti e nessun attore sembra essere in grado di recidere il groviglio di nodi gordiani che hanno portato a questa impasse. Così, in mancanza di qualsiasi alternativa, l’esecutivo ha deciso di indire nuove consultazioni per il rinnovo dell’assemblea costituente, senza però aver chiaro quale tipo di scenario potrà aprirsi dopo il voto e senza che nuovi soggetti siano comparsi sulla scena per variare gli equilibri in campo.

Di certo c’è solo che, a cinque anni dalle storica consultazione del 2008, che dopo secoli di monarchia e una guerra civile conclusasi due anni prima con un bilancio di oltre 10mila morti chiamò il popolo nepalese a scegliere i propri rappresentanti per elaborare la nuova costituzione del paese, l’entusiasmo e lo slancio che hanno caratterizzato i primi momenti di vita della neonata repubblica himalayana sono solo un lontano ricordo.

L’assemblea costituente ha fallito il suo obiettivo di avviare quel processo di riforme che avrebbe dovuto trasformare il paese in una giovane ma promettente democrazia. E i governi che si sono succeduti alla guida dell’ex regno sono stati caratterizzati da continue cadute, scissioni e cambi di vertice, che hanno esacerbato il dibattito tra i partiti e impedito qualsiasi iniziativa politica.

Cinque anni difficili

Dopo l’iniziale successo elettorale i maoisti dell’Ucpn-M (Unified communist party of Nepal-Maoist), guidati dallo storico leader della guerriglia Pushpa Kamal Dahal, detto Prachanda (che in lingua nepalese significa “fiero”), hanno dovuto cedere le redini dell’esecutivo ai rivali del Nepali Congress e del Cpn-Um (Communist party of Nepal-Unified marxist-leninist).

In un secondo momento l’entrata in scena di Baburam Bhattarai, celebrato ideologo delle forze maoiste e stretto amico di Prachanda, era sembrata risolutiva, salvo poi scontrarsi con una crescente opposizione che ha portato a uno stallo completo del governo.

Preso atto dell’impossibilità che ottemperasse al mandato ricevuto, l’assemblea costituente è stata sciolta nel maggio dell’anno scorso. Subito dopo lo scioglimento un’ala radicale delle forze maoiste, guidata da Mohan Vaidhya (conosciuto con il nome di Kiran), si è separata dal partito, fondando il Cpn-M (Communist party of Nepal-Maoist), apertamente ostile alla dirigenza storica, accusata di aver tradito gli ideali della rivoluzione in favore di una politica compromissoria incapace di approdare a risultati concreti.

Sempre più indebolito Bhattarai ha rassegnato le dimissioni da primo ministro, sostituito dal capo della Suprema corte di giustizia Khilraj Regmi. Il nuovo leader dell’esecutivo aveva inizialmente fissato le elezioni per il rinnovo della costituente per il mese di novembre dello scorso anno, posticipandole poi più volte, fino ad arrivare al 19 di questo mese.

Le incognite delle elezioni

Nelle ultime settimane in molte zone del Nepal si sono registrati episodi di violenza e scontri collegati alla campagna elettorale.
Gli incidenti hanno coinvolto principalmente gli esponenti dei diversi partiti politici. Come riferito dall’agenzia indiana Indo Asian News Service (Ians), Mohammad Alam, candidato del Cpn-Uml è stato ferito nella regione del Terai, ed è morto l’11 ottobre scorso. L’auto di Bishnu Poudel, dell’Ucpn-M, è stata data alle fiamme e non sono mancati momenti di forte tensione durante alcuni comizi e azioni di disturbo intraprese per ostacolare la campagna per il voto degli avversari.

Il Cpn-M ha apertamente deciso di boicottare le elezioni, accusando l’esecutivo di aver chiamato gli elettori alle urne senza aver consultato le altre forze politiche e arrivando a minacciare i cittadini che intendono votare. La stampa nepalese ha riferito di alcune attività di sabotaggio negli uffici elettorali culminate nella distruzione di computer e registri dei votanti.

Di fronte al crescente nervosismo la Commissione nazionale per i diritti umani ha rivolto un appello a tutti i candidati, invitandoli ad abbandonare comportamenti non rispettosi delle regole democratiche. E, nonostante inizialmente l’ipotesi di impiegare le forze armate per garantire la sicurezza delle consultazioni era stata scartata per non alimentare il clima di paura, il 20 ottobre le autorità di Kathmandu hanno mobilitato 62mila militari, cui sono stati affiancati 30mila agenti di sicurezza temporanei. Una decisione che non si era resa necessaria durante le elezioni del 2008 (durante le quali fu comunque ucciso un candidato).

Non per niente gli osservatori delle Nazioni unite parlano di un “lento ma continuo deterioramento delle istituzioni democratiche e delle effettive possibilità di governo” del paese. Un allarme cui si aggiunge quello lanciato dal Carter Center, organizzazione per i diritti umani con sede negli Stati Uniti, secondo cui dei 16 milioni di possibili votanti (su una popolazione complessiva di quasi 30 milioni) solo 12,5 sarebbero stati registrati, privando del diritto di voto una fetta consistente dei cittadini.

Anche l’India e la Cina guardano con crescente apprensione a quello che succede in Nepal, preoccupate che il prolungato vuoto di potere possa destabilizzare una regione cuscinetto che confina con l’agitato Tibet e le regioni settentrionali della federazione indiana. I timori di Nuova Delhi, in particolare, sono collegati alle aree nepalesi del Terai e della Far western development region, dove risiedono i gruppi etnici e tribali più numerosi, ma anche più poveri, da sempre in lotta con la maggioranza hindu.

Una delle principali ragioni dell’impasse politico che blocca il Nepal va ricercata proprio negli attriti fra i partiti politici sull’utilizzo del federalismo come modello di organizzazione dello Stato e sui criteri per concedere forme di autonomia alle regioni in cui vivono le minoranze etniche.

La possibilità di trasformare il Nepal – in cui vivono oltre 120 gruppi etnici e in cui si parlano oltre 120 tra lingue e dialetti locali – in una federazione trova il consenso dell’Ucpn-M e di diversi partiti espressioni delle varie minoranze, come i madhesi, ma è fortemente osteggiata dalle forze che considerano il sistema federale una minaccia alla divisione della società in caste e alla supremazia hindu.

Un Gattopardo sull’Himalaya?

In questo contesto sono molti a credere che le elezioni del 19 non sposteranno di una virgola gli equilibri politici in campo, lasciando invariato la situazione attuale.

La stampa nepalese è piena di editoriali che sottolineano come la scelta di convocare le elezioni celi in realtà una gattopardesca strategia dei partiti al potere, denunciando la deriva antidemocratica del paese e delle sue istituzioni. E leggendo i commenti è facile notare che la maggior parte degli elettori condivide questa opinione. “Perché stiamo votando?”, “Chi sono i nuovi candidati che dovrebbero sostituire i vecchi?” “Cosa cambierà?” si chiedono i comuni cittadini, perplessi davanti a una consultazione che giudicano inutile e che secondo le stime della Commissione elettorale costerà non meno di 78 milioni di dollari, con uno spiegamento di circa 56 organizzazioni nazionali e internazionali e 74mila osservatori chiamati a monitorare il voto.

“Gli obiettivi della rivoluzione e gli ideali che hanno guidato il movimento popolare nel 2006 sono stati dimenticati e abbandonati”, si legge in un editoriale del Nepali Times. “I mantra della laicità e del repubblicanesimo federale sono diventati parole senza senso. La guerra civile è stata un’inutile strage e gli ultimi cinque anni sono stati sprecati”.

Molti elettori lamentano il fatto che i politici che li governano non abbiano imparato nulla dalla storia recente, decidendo di formare una nuova assemblea costituente che sarà, se non del tutto identica, molto simile alla precedente.

Anche perché, spiega l’editoriale, il sistema di rappresentanza proporzionale che è stato introdotto per dare l’idea che il potere legislativo possa effettivamente essere affidato anche ai gruppi storicamente esclusi dalla gestione del potere, è in realtà una farsa. “Come nelle ultime elezioni ci saranno 335 seggi (su un totale di 601, ndr) collegati a liste bloccate, che supereranno di molto i 240 riservati ai rappresentanti direttamente eletti”. Senza contare che “la maggior parte dei votanti, se pure dovesse riuscire a destreggiarsi tra le due complicate schede elettorali, non avrà comunque idea di chi siano i candidati o di quali siano i loro effettivi meriti”.

Né aiutano i programmi elettorali rivelati nelle scorse settimane dai partiti in lizza. Proprio come nelle consultazioni del 2008 tutti i contendenti promettono di modernizzare il paese, di migliorare il sistema dei trasporti e le infrastrutture, di favorire lo sviluppo economico e aumentare la qualità della vita dei cittadini.

Il Nepali Congess ha garantito un incremento del Pil tra l’8 e il 10 per cento, da raggiungersi mediante la crescita del turismo e investimenti nell’energia idroelettrica e nei settori dell’industria e dei servizi. Il Cpn-Uml ha annunciato che è pronto a creare 300mila posti di lavoro l’anno e l’Ucpn-M è arrivato a prospettare un aumento del prodotto interno lordo dell’11,9 per cento per i prossimi quarant’anni.

Ma come ha spiegato l’economista nepalese Bishamvar Pyakurel all’agenzia cinese Xinhua “nessuno dei partiti ha la capacità di intervenire concretamente in alcuno di questi settori. Una crescita a due cifre del Pil è impossibile per colossi come l’India e la Cina; prometterla per il Nepal è semplicemente ridicolo”.

Per Pyakurel i partiti dovrebbero piuttosto concentrasi su questioni che sono effettivamente alla loro portata, come la legge sul federalismo e l’integrazione dei combattenti maoisti dell’Esercito di liberazione popolare nelle forze armate, problemi di cui si è discusso negli scorsi cinque anni senza arrivare ad alcuna soluzione.

Come spesso accade, però, per i governanti è più facile elargire baldanzose promesse elettorali che sedersi a un tavolo e cercare di trovare risposte concrete ai bisogni reali della popolazione.

*Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.

[Foto credit: chinadaily.com]