L’India è in stato di guerra contro il Pakistan, senza la guerra

In Uncategorized by Simone

A giudicare dalla copertura mediatica degli affari indo-pakistani sembra che i due paesi siano sull’orlo di una resa dei conti finale, un grandissimo spettacolo pirobellico che galvanizza e mostrifica la stragrande maggioranza dei media locali. Un racconto assurdo e fittizio – India e Pakistan non-stanno-andando-in-guerra! – ma che viene incentivato assecondando l’esuberanza machista di una parte della popolazione indiana, che da due anni e mezzo trova rappresentazione speculare nel governo ultranazionalista di Narendra Modi. Con effetti devastanti per l’anima democratica del paese.Fin dagli «attacchi mirati» condotti dall’esercito indiano oltre la Linea di controllo che divide il paese dal Pakistan, in questo spazio ci siamo occupati principalmente della reazione del governo indiano verso l’esterno, incarnata nella strategia di isolamento totale messa in campo da Narendra Modi. Quello che è successo e sta succedendo però all’interno dei confini indiani è molto, molto più spaventoso.

La rappresaglia armata indiana all’attacco terroristico di Uri, rivendicata pubblicamente dal governo in carica per la prima volta nella storia repubblicana, ha mandato in tilt la già delicatissima anima democratica indiana, dove per «anima democratica» si intende il sistema di pesi e contrappesi che permette a uno stato democratico di dichiararsi tale. Tra questi, il diritto al dissenso e alla critica di istituzioni e strumenti dello stato, in teoria legittimi e garantiti dalla Costituzione indiana.

Mentre il partito di maggioranza Bharatiya Janata Party (Bjp) si gonfiava il petto mostrandosi come protettore ultimo della sicurezza del paese al fianco delle truppe che si sacrificano per difendere l’India dalla minaccia pakistana – il riferimento generale è sempre ai jawan, i soldati più giovani della fanteria – dalle opposizioni è arrivata qualche timida richiesta di spiegazioni e dettagli circa il blitz armato indiano oltreconfine (quanto oltre? eravamo già in territorio pakistano? quante vittime? quanti e quali mezzi sono stati impiegati? ci sono video delle azioni dei nostri soldati?). Richieste immediatamente schiacciate sotto la minaccia dell’anti-indianità, ora che mettere in discussione l’operato del proprio esercito viene considerato tradimento alla causa nazionale. I militari non si discutono, si amano.

A velocizzare questa transizione generale verso un paese che sovrappone acriticamente il proprio orgoglio nazionale alle gesta dell’esercito i media nazionali hanno giocato – e stanno giocando – un ruolo fondamentale, entrando in una sorta di trance agonistica bellica che sta raccontando un paese a tutti gli effetti ben distante da un conflitto armato come una nazione «già in guerra», con tutte le storture del caso.

Nei giorni immediatamente successivi ai «surgical strikes», diversi media nazionali hanno iniziato a fare la conta delle truppe e degli armamenti a disposizione degli eserciti di India e Pakistan, mostrando la schiacciante supremazia di New Delhi nell’eventualità di un conflitto armato. Qui, ad esempio, una tabella pubblicata da Zee News, media group platealmente pro Bjp.

La frenesia sciovinistica ha raggiunto l’apice nell’informazione televisiva, col racconto dello scontro tra India e Pakistan condotto all’interno di una «war room» allestita in studio, tra ex generali dell’esercito e giornalisti vestiti verde militare. Qui sotto la «war room» di India Today.

Mentre su Times Now, altro media group della destra indiana che grazie alla conduzione sopra le righe di Arnab Goswami vanta il record di ascolti nel paese, l’informazione viene sacrificata sull’altare della nazione, facendosi arma contundente contro le opposizioni sia politiche sia della società civile, bollati come anti-indiani. Qui sotto, nella tradizionale striscia di apertura della tribuna politica The Newshour, Goswami si scaglia contro chi mette in discussione l’esercito nazionale, minando l’unità nazionale necessaria a sostenere una guerra contro il nemico pakistano (guerra che, sottolineiamo, non si sta combattendo).

Anche i media cosiddetti «progressisti» come Ndtv non sono stati risparmiati dalla ventata nazionalista di queste settimane. Recentemente la rete ha cancellato all’ultimo un’intervista a P. Chidambaram – politico di lunghissimo corso dell’Indian National Congress e, tra le altre, ex ministro degli interni – condotta dalla giornalista Barkha Dutt, tra i volti più «progressisti» del panorama mediatico indiano. Nell’intervista l’ex ministro avanzava delle critiche all’operato del governo e dell’esercito e, visto il clima nazionale, dai piani alti di Ndtv hanno deciso di far saltare l’intero segmento. In sovrimpressione durante la trasmissione è andato in onda questo cartello.

Il clima di demonizzazione del nemico pakistano è esondato anche nell’industria cinematografica nazionale, termometro del paese. Come tradizione a Mumbai, sede degli studi di Bollywood e centro cinematografico del paese, in risposta all’affronto pakistano una serie di gruppi dell’ultrainduismo locale ha messo sotto accusa tutti gli attori pakistani attivi nel cinema indiano, riproponendo misure di protezionismo artistico per cacciare dal paese tutti i «nemici dell’India», cioè i pakistani. Shalini Thackeray – moglie del supremo del gruppo paramilitare ultrainduista Shiv Sena, Raj Thackeray (che ha alle spalle una lunga tradizione di violenze e boicottaggi contro pakistani e musulmani) – all’inizio di ottobre ha dichiarato alla stampa locale che tutti gli attori pakistani a Mumbai avevano 48 ore per lasciare il paese, ultimatum estesa per conto del dipartimento dei film del neonato partito localista di ultradestra Maharashtra Navnirman Sena (Mns), costola del Shiv Sena.

Nel mirino del Mns sono finiti una serie di attori e attrici pakistani molto noti, tra cui Mahira Khan, che affiancherà Shah Rukh Khan nel film di prossima uscita Raees, e Fawad Khan, protagonista dell’atteso polpettone bollywoodiano diretto da Karan Johar, Ae Dil Hai Mushkil. Nonostante le autorità di polizia abbiano garantito la sicurezza degli attori nominati da Thackeray, nel frattempo messi sotto scorta, il Mns ha annunciato di voler boicottare l’uscita della pellicola, prevista per la fine di ottobre in concomitanza con la festa di Diwali (il Natale indiano, detto male). La tradizione di boicottaggi violenti ad opera del Shiv Sena / Mns, che in passato hanno significato la distruzione di sale cinematografiche, ha spinto la Cinema Owners and Exhibitors Association of India (Coeai) a proibire la proiezione di Ae Dil Hai Mushkil negli stati di Maharashtra, Gujarat, Goa e Karnataka. Nel comunicato della Coeai si legge: «Tenendo a mente il sentimento patriottico e l’interesse nazionale, chiediamo ai membri dell’associazione di astenersi dal proiettare film in cui siano coinvolti attori, tecnici, registi, direttori della colonna sonora etc. pakistani. Finché le relazioni tra India e Pakistan non saranno normalizzate, nessun film con attori pakistani potrà uscire nelle nostre sale».

Karan Johar, regista di Ae Dil Hai Mushkil e personalità celeberrima nello showbusiness indiano, dopo due settimane di silenzio ha deciso di pubblicare su Youtube un appello a difesa del proprio film di prossima uscita, non senza arruolarsi nelle fila del patriottismo indiano. Il video, di nemmeno due minuti, esordisce infatti con: «Ci sono state diverse voci sulle motivazioni che mi hanno spinto a rimanere in silenzio nelle ultime due settimane. Oggi vorrei chiarire che la ragione del mio silenzio è stata il profondo dolore che ho sofferto poiché alcuni ritengono che io sia anti-nazionale. Sento di doverlo dire e di dirlo con forza: per me il mio paese viene prima di tutto».

Nel frattempo, durante un comizio in Himachal Pradesh, il primo ministro Narendra Modi ha rincarato la dose di orgoglio nazionalista quotidiano, paragonando le truppe indiane a quelle israeliane, aprendo una serie di contraddizioni semantiche inquietanti considerando, come scrive bene Siddharth Varadarajan su The Wire, che «Israele non è l’India e il Kashmir occupato pakistano non è la Palestina occupata o il Libano». L’agenzia di stampa Pti riporta: «Il valore del nostro esercito, in questi giorni, è tema di discussione nel paese. Eravamo abituati a sentire che l’esercito israeliano era in grado di fare questo e quello. Ora la nazione ha potuto constatare che l’esercito indiano non è secondo a nessuno».

Da una New Delhi che si prepara per Diwali, tra l’aver più paura di un attacco militare pakistano o di un paese in euforia militaresca, chi scrive di dubbi ne ha pochi.

[Scritto per Eastonline]