Lavoro straordinario con caratteristiche cinesi: il “996” riaccende lo scontro generazionale

In Cina, Cultura, Economia, Politica e Società by Redazione

Durante il Qingnian Jie (青年节, o “Festa della Gioventù”) che si celebra il 4 maggio, Zhang Jun, direttore delle pubbliche relazioni del colosso tecnologico Tencent, ha scritto un post provocatorio nei confronti delle giovani generazioni: ”Mentre siamo impegnati nel fare progetti dedicati ai giovani, loro sono occupati a dormire”. I commenti non si sono fatti attendere: “I giovani sono da te sfruttati e non hanno abbastanza tempo per dormire” ha risposto un utente su Weibo. “Patriottismo, Progresso, Democrazia e Scienza sono lo spirito del Movimento del 4 Maggio. Zhang ha capito che non si possa dormire fino a tardi?”, ha ribattuto ironicamente un altro utente.

Una semplice boutade divenuta virale sul social media cinese dimostra la spaccatura generazionale tra chi ha beneficato della crescita esplosiva delle aziende tecnologiche e chi è bloccato nei quadri inferiori della gerarchia aziendale. Inoltre, la pubblicazione del post proprio durante la ricorrenza del 4 maggio, data simbolica a cui il Partito Comunista Cinese deve le proprie basi ideologiche, accentua il disagio dei giovani lavoratori che non vedono realizzarsi i loro diritti alla mobilità sociale e a un’occupazione dignitosa nonostante siano loro, nelle parole di Xi Jinping, i responsabili del minzu fuxing (民族复兴, “ringiovanimento nazionale”) e destinatari dei benefici del socialismo con caratteristiche cinesi. I giovani disillusi da un mercato del lavoro competitivo che non hanno il minimo controllo sulle loro vite, a differenza dei loro onnipotenti datori di lavoro, sono definiti dagongren (打工人), come i migranti che lavorano nell’edilizia.

Il China Labour Bulletin ha intervistato una ex-dipendente di Tencent che si è licenziata a causa del peggioramento delle condizioni di salute che hanno inciso sulla sua vita privata. La cultura del lavoro straordinario diffusa endemicamente all’interno delle aziende, prima nel settore manifatturiero e più di recente in quello high-tech sotto la sigla “996”, è largamente sponsorizzata dai manager a discapito dei giovani neolaureati: chi si oppone all’etica del sacrificio non merita di mantenere il proprio posto di lavoro. All’interno delle linee guida di Pinduoduo, dove avvennero i due decessi per overworking solo pochi mesi fa, viene chiamata benfen (本分): stare nella propria corsia, comprendere ciò che è il proprio dovere e ciò che va oltre le proprie possibilità. Il posto di lavoro diventa una missione.

“Nessuno mi ha detto di lavorare seguendo il 996, ma tutti sapevano che se non lavori duro vieni rimpiazzato” ha continuato l’ex-dipendente di Tencent, al punto da non lasciare l’ufficio prima delle 9 di sera per non offendere i colleghi. “Senza il 996, come persona normale, quanti guadagneresti?”. Kyle Lin, stagista per Bytedance (che controlla TikTok), ha raccontato che solo con il 996 riesce ad arrivare alla fine del mese e a permettersi un appartamento con tre coinquilini a Beijing: “Restare in azienda tutto il giorno significa pasti e palestra gratis”. Kiki Zhou, product manager che lavora in Alibaba, ha confessato di aver “già accettato la realtà di sacrificare la salute e la vita privata quando ho accettato questo lavoro dopo la laurea […] specialmente quando non c’è altro modo per guadagnare abbastanza per l’affitto”. Zhou vive a Hangzhou con il suo ragazzo, e presto cercherà un impiego pubblico che le conceda più tempo per la sua famiglia, anche a costo di lavorare ancora come dagongren.

Ciò che impedisce una resistenza collettiva all’imposizione del 996, oltre che alla pressione competitiva che aleggia sulle teste dei colletti bianchi, è la mancanza di fiducia tra i dipendenti della stessa azienda. I responsabili di ogni dipartimento sono ansiosi di controllare e prevenire ogni forma di unità tra colleghi, anche a costo di sacrificarne la produttività. Perché l’autorità non deve mai venire meno.

La comunità online offre alcune occasioni di vendetta da un approccio passivo-aggressivo della proverbiale moyu (摸鱼): se in un ambiente di lavoro staccare dopo dodici ore è quasi un privilegio, si può reagire impostando otto promemoria giornalieri sul cellulare per bere l’acqua, usare più carta igienica possibile e usufruire di tutte le risorse gratuite dell’azienda. Tuttavia, le aziende hanno intrapreso i dovuti accorgimenti anche eliminando l’accesso a internet nei bagni. Inoltre, fare lunghe pause, sognare a occhi aperti, riposare davanti alla scrivania, sono atti di disobbedienza attentamente monitorati dalle tecnologie di riconoscimento facciale e sedie intelligenti dotate di sensori.

Nonostante le prese di posizione della società civile, del sindacato (All-China Federation of Trade Unions) e dei rappresentanti del governo, non c’è stato alcun intervento significativo per migliorare le condizioni di lavoro nelle aziende high-tech e nel settore del food delivery. Pur di non entrare in una lunga e costosa disputa con la propria azienda, la quale dispone di strumenti legali per vincere le proprie cause e licenziare a basso costo, i dipendenti condividono le loro esperienze sui social media sperando che il loro caso diventi virale. “Tutti i diritti si ottengono con la lotta. I rapporti di lavoro esistono nei paesi sviluppati grazie alla persistenza”, ha commentato un utente in merito alla notizia di uno spedizioniere che si è rifiutato di sottostare al 996 ed è stato licenziato.

Le contraddizioni tra le promesse delle istituzioni e le proteste dei lavoratori della gig economy sono così forti, le ineguaglianze così evidenti e le giovani generazioni così pessimiste sul proprio futuro e il loro posto nella società che c’è da chiedersi quanto durerà la stabilità sociale e politica poggiata su una sistematica precarietà.

Di Luca Giro