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L’anno caldo di Pechino. Temperature record

In Cina, Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

L’anno che è terminato è stato il più caldo in assoluto dal 1961. Un grado in più fa la differenza, e Pechino lo sa bene: solo negli ultimi due anni i fenomeni meteo estremi sono aumentati e sono diventati più frequenti

Il 2024 a Pechino è iniziato con i dati nazionali sulle temperature del 2023, le più alte dal 1961. Pochi giorni prima un altro studio, redatto dal finlandese Center for Research on Energy and Clean Air (CREA), aveva decretato un altro infelice record per la Repubblica popolare: la più alta concentrazione di microparticelle inquinanti dal 2013. Il tutto in un’estate che ha visto le città costiere protagoniste di ondate di caldo anomale, mentre il nordest veniva colpito da una serie di alluvioni. A Pechino non si vedeva una tale quantità di acqua da 140 anni.

La temperatura nazionale media del 2023 si è aggirata sui 10,7°C, ben 0,8°C in più rispetto alla media di 9,9°C. È il dato più alto degli ultimi 52 anni. Alla provincia dello Heilongjiang è invece toccato il record per le temperature più basse, -53°C registrati lo scorso gennaio. Un fenomeno, spiega il comunicato del Centro, che “riflette pienamente le caratteristiche di distribuzione dei valori registrati in un contesto di aumento delle temperature: è più probabile che si verifichino eventi caldi e freddi estremi”.

Dopo una serie di fenomeni meteorologici estremi Pechino sa che il 2024 potrebbe portare altre amare sorprese, complice il passaggio del fenomeno climatico periodico El Niño. Come spiegava a giugno un’analisi della National Oceanic and Atmospheric Administration, il passaggio di El Niño aveva in passato portato a temperature sopra la media anche per trenta giorni consecutivi in alcune province della Cina, causando una siccità diffusa nelle aree coltivate. E contribuirà a uno squilibrio che potrebbe portare a una distribuzione anomala delle precipitazioni.

Necessarie per il mantenimento delle coltivazioni e del mostruoso apparato idroelettrico cinese, le precipitazioni sono vitali anche per ripulire l’aria dalle microparticelle inquinanti. Le conseguenze di questo evento sono presto emerse dai dati sul PM 2.5, che ha raggiunto il livello più alto da quando Pechino ha lanciato la sua “lotta all’inquinamento atmosferico” nel 2014. In pochi anni, nel 2021, Pechino poteva affermare di aver ridotto le emissioni nocive del 40% rispetto ai dati del 2013. Cos’è successo perché il paese facesse marcia indietro? 

Certo, le precipitazioni e l’andamento delle correnti atmosferiche hanno contribuito all’accumulo delle microparticelle nell’aria, afferma il report del CREA. Ma anche l’imperativo della ripresa economica, assopita da un lungo periodo di restrizioni pandemiche, ha contribuito all’aumento delle emissioni. E un moloch energetico come la Cina, nonostante sia il primo paese al mondo per capacità produttiva da fonti rinnovabili, continua a scontrarsi con una rete elettrica dipendente dal carbone (ancora al 70% del fabbisogno nazionale) e tutta da regolamentare secondo le richieste del mercato attuale. 

Non stupisce che alla COP28 la Cina non abbia firmato il patto per triplicare la produzione energetica da fonti rinnovabili. Tra le motivazioni: sarebbe un target ambizioso per un paese che ha fatto già tanto. Nel 2020 la Repubblica popolare aveva fissato il target di nuova capacità rinnovabile da costruire entro il 2030 a 1.200 GW. Un obiettivo che sarà raggiunto con probabilità entro il 2025. 

Nel frattempo, Pechino sa che quel grado in più necessiterà un ripensamento non indifferente del suo comparto energetico. Ci sarà sempre meno acqua per le centrali idroelettriche, comprese quelle che si approvvigionano dalla regione himalayana, dove – agli attuali ritmi di fusione dei ghiacciai – le riserve d’acqua si esauriranno entro il 2100. E meno acqua per mantenere le temperature dei reattori nelle centrali nucleari, che pure sono nell’orizzonte ideale della transizione energetica “con caratteristiche cinesi”. Con un comparto immobiliare immenso che andrebbe efficientato ma le grandi aziende costruttrici a continuo rischio default; un’economia che nelle parole del presidente Xi Jinping è “più dinamica e resiliente” di prima ma che probabilmente non vanterà più i tassi di crescita del decennio precedente. Nella sfida energetica di Pechino lo scontro tra un futuro più pulito e la sicurezza economica è, forse ancora più di prima, una sfida che preoccuperà il Partito per gli anni a venire.

[Pubblicato su Il Manifesto]